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INNAMORATO DI DIO E DELLA GENTE

Un libro per ricordare don Sergio Matteini, il suo stile di pastore, l’ amore alla sua gente e a Santarcangelo, sempre vicino ai più fragili

Nella mia vita tutto è stato un intreccio di doni. Tutti ringrazio e a tutti chiedo perdono”. Queste parole, contenute nel testamento spirituale di don Sergio Matteini, sono lo specchio della pienezza dell’esistenza del sacerdote riminese, vissuta in semplicità e in completa gratitudine.

Assistente scout, organizzatore di campeggi, amante e valorizzatore di antichi capolavori dell’arte, maestro attento e disponibile, creatore di numerosi gruppi parrocchiali (tuttora esistenti), direttore per anni della Casa del Clero di Rimini, interessato alla salvaguardia del Creato e alla vita sociale, don Matteini ha lasciato una eredità: quella di donarsi agli altri, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto della giornata. “ Don Sergio l’ha saputo fare, ponendo sempre davanti a sé il bisogno del prossimo, facendosi carico delle esigenze dei più fragili, fornendo un aiuto agli altri prima di pensare a sé stesso” ha scritto il Vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi nella prefazione del libro.

Don Sergio Matteini. Prete innamorato di Dio e della sua gente è il volume edito da ilPonte edizioni, voluto fortemente dalla Fondazione Francolini Franceschi di Santarcangelo per “far conoscere ai più giovani l’insegnamento di una persona che ha saputo mettersi in gioco uscendo talvolta dagli schemi classici del sacerdote di provincia, regalando sé stesso e le sue capacità al prossimo”. Per la storica Fondazione clementina il libro è quindi “ una doverosa manifestazione di riconoscenza per una preziosa guida, che ha legato per oltre trent’anni il suo nome e la sua attività a Santarcangelo”. Il ricavato delle vendite di questo volume sarà destinato alla parrocchia San Michele di Santarcangelo, al fine di contribuire al finanziamento dei lavori di restauro della Collegiata. “Questo sarebbe stato certamente anche il desiderio di don Sergio, che ha sempre amato questa chiesa e la città a cui appartiene fa notare il presidente della Fondazione Maurizio Bartolucci.

Frutto di lunghe ricerche, tra analisi di documenti, interviste e raccolta di testimonianze scritte e orali e fotografiche, il libro è stato scritto da Roberta Tamburini, santarcangiolese doc, collaboratrice del settimanale ilPonte e impegnata presso la Parrocchia di San Michele Arcangelo dove ha incontrato – sin da ragazza – don Sergio.

 

Roberta, chi è don Matteini?

“Don Sergio, mi piace che se ne parli al presente, è una persona che ha dato tanto a chi ha avuto il grande privilegio di incontrarlo e di frequentarlo. È stato un sacerdote aperto, ‘molto avanti’ come direbbero i giovani. Aperto alle novità, aperto ad accettare le proposte, come ricordano nel libro anche i sacerdoti suoi cappellani. Era uno che usciva spesso dagli schemi tradizionali del prete”.

Come è nata l’idea del libro?

“L’idea è venuta alla Fondazione Francolini Franceschi, che ha deciso di lasciare una testimonianza alle generazioni più giovani di un grande sacerdote che ha saputo guidare i suoi parrocchiani, ma direi l’intera città, per oltre 30 anni. Su indicazione del parroco don Giuseppe Bilancioni, la Fondazione mi ha chiamata e mi ha proposto di realizzare questo libro”.

Il volume si sviluppa su diversi piani: la storia di don Sergio, le immagini, i documenti e tante testimonianze. Perché una tale scelta?

“Ho deciso di concentrare il tutto sulla sua vita a Santarcangelo, con ovviamente anche un capitolo riguardante la precedente esperienza (appena nominato) a Savignano e uno inerente gli ultimi anni passati a Rimini, alla Casa del Clero. Nei giorni in cui ho accettato l’incarico, una sera è venuto a cena a casa nostra don Andrea Turchini che mi ha dato un po’ un’idea di come realizzarlo. Poi ho incontrato il Vescovo, mons. Lambiasi, che ha voluto innanzitutto contribuire scrivendo la prefazione al libro e che mi ha detto alcune cose che ho seguito alla lettera. Subito si è raccomandato, dicendomi: «La prego, scriva in modo semplice e scorrevole. Faccia un lavoro snello, chiaro. Il libro deve restare sul comodino di chi lo comprerà per essere letto e riletto, non per rimanere lì – come spesso accade – perché non fa venir la voglia di sfogliarlo. Si ricordi di com’era don Sergio e scriva in maniera semplice, come era lui». È per questo che ho scelto di lasciare molte frasi, molte parole, in bocca alla gente che me le ha dette: per farlo risultare genuino, come era don Matteini e come le storie che la gente mi ha raccontato”.

Dove nasce la vocazione di don Sergio?

“Da quello che ho scoperto (ma che forse si poteva ben immaginare, conoscendo la famiglia), don Sergio ha sempre respirato in casa, fin da bambino, un’aria ‘che sapeva di buono’ (come mi ha raccontato il fratello). Una vocazione che poi è maturata, ovviamente, in parrocchia a Coriano, dove è cresciuto e da dove sono partiti all’epoca tanti ragazzini per il seminario. Decisiva, poi, è stata la frequentazione del giovane Sergio con don Michele”.

Qual è l’importanza di don Sergio per Santarcangelo?

“Questa è una domanda difficile. Penso che don Sergio sia stato importante per la città perché ha lasciato tra la gente, e tra le cose, il suo modo di fare: sempre presente, ma sempre in punta di piedi, senza disturbare. Come si potrà leggere anche nella testimonianza di frate Prospero Rivi, bellissima, il don ha creato dei legami tra la città e i suoi abitanti che ancora oggi resistono, ha ricucito degli strappi che potevano rimanere tali senza il suo intervento. (nella foto, don Sergio riceve la cittadinanza onoraria dal sindaco di Santarcangelo, Mauro Vannoni, il 13 settembre 2001). Non condivideva con tutti le stesse idee, questo è ovvio, ma ha insegnato che avere opinioni diverse non vuol dire essere per forza nemici”.

Il don è una personalità poliedrica. Quali sono però i tratti caratteristici?

“Ne aveva molti: il più importante forse era che ascoltava, molto, poi suggeriva e ti indicava la strada. Ma senza sottolineare gli errori, piuttosto aiutando le persone a capire e a fare un percorso per accettare le fragilità. Questa è una cosa che mi ricordo io, ma che è uscita fuori praticamente da tutti coloro che ho intervistato. E poi, aveva una vera passione per l’arte, diceva che ogni cosa, ogni talento e ogni opera erano manifestazione della misericordia del Signore. Ha dedicato molti sforzi (in tutti i sensi) al recupero dell’arte a Santarcangelo: ha voluto riaprire la Pieve, che al suo arrivo era chiusa. Ha fatto eseguire molti lavori alla Collegiata, ai muri, al tetto, all’organo”.

Dopo aver lavorato su documenti e persone per il libro, lo ritrova o ha conosciuto un don Sergio diverso?

“Sì, ritrovo il ‘mio’ don Sergio tra le parole che ho ascoltato. Ma ho conosciuto anche qualche aspetto che mi era sfuggito. Io l’ho frequentato molto quando ero più giovane; ci siamo visti sì fino alla fine, ma il rapporto stretto c’è stato quando ero ragazza. E su certi aspetti ho imparato certe cose da chi l’ha frequentato in età più matura. Direi però che praticamente tutti abbiamo del don lo stesso ricordo, questo significa che lui usava lo stesso bel modo di fare con tutti, indistintamente da età, sesso, ruolo…”.

Tutto il materiale raccolto è nel libro?

“No, avendo scelto di parlare soprattutto di Santarcangelo non ho citato alcune persone che pur mi hanno fornito utili informazioni. Ad esempio, uno su tutti, don Danilo Manduchi (l’economo della Diocesi), che mi ha parlato della collaborazione tra lui e don Sergio ai tempi della formazione ai giovani, indicandomi poi altre fonti. La sua collaborazione è stata fondamentale. Come anche quella di don Davvide Matteini, nipote di don Sergio. E di altri. E poi c’è stato chi mi ha fornito le fotografie: ne ho scelte alcune, le vedrete anche nel libro, che forse non sono tutte di buona qualità ma quasi tutte inedite. Sono belle, tutte, alcune bellissime perché ritraggono un don Sergio bambino o comunque molto giovane”.

I proventi del libro andranno per i lavori della Collegiata.

“Lui ha vissuto per la Collegiata, la riteneva la sua casa, ha speso tempo, denaro e anche salute per mantenerla viva. E quindi, devolvere il ricavo della vendita al suo mantenimento, mi pare sia come esaudire un suo desiderio e come averlo ancora un po’ qui tra noi. A questo proposito, c’è una novità: le cose di don Sergio rimaste alla Casa del Clero (alcuni oggetti, dei quadri, molti libri…) verranno messe ‘in vendita’, attraverso un mercatino che allestiremo prossimamente. La famiglia ha deciso di lasciare anche tutte queste cose alla parrocchia perché anche le offerte raccolte per la loro vendita vadano sempre destinate allo stesso fine. Qui devo quindi ringraziare i famigliari e anche don Luigi Ricci (attuale direttore della Casa del Clero, ndr) che ci ha permesso di andare a raccogliere tutto con grande disponibilità”.

Qual è l’eredità che ci lascia oggi don Sergio, e cosa lascia alla Santarcangelo che ha tanto amato?

“Un’eredità molto ricca, piena di esempi, consigli, parole. Una cosa voglio dire: preparando questo lavoro, ho ben capito come don Sergio sia ancora tra di noi. Mi spiego: ho incontrato tante persone, non tutte le conoscevo approfonditamente, pur essendo concittadini da sempre. Ho avuto l’occasione di stringere rapporti di amicizia che non avrei mai creduto si potessero concretizzare, molte persone mi hanno raccontato cose molto personali, molto intime, e questo ha fatto in modo che si instaurasse un rapporto nuovo, molto bello, con persone che conoscevo davvero poco. Credo che ci sia un po’ lo zampino di don Sergio: lui era un ‘conciliatore’ e mi piace pensare che questi nuovi rapporti siano un po’ opera sua. E vedere tanta attenzione ancora oggi nei confronti di don Sergio è un segno di quello che ci ha lasciato”.