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Infiltrazioni mafiose: segnali e anticorpi

Assemblea organizzata dal Gruppo Nuove Frontiere presso la parrocchia di San Gaudenzo. I maggiori allarmi per la Riviera giungono dal turismo e dai suoi servizi

Mafia. Organizzazione criminale suddivisa in più associazioni, rette dalla legge dell’omertà e della segretezza, che esercitano il controllo di attività economiche illecite e del sottogoverno.

La lotta contro questa cricca ha radici longeve e, per evidenziarne l’importanza e rilevanza, ogni 23 maggio si ricorda, con una data simbolo, il sacrificio dei magistrati Giovanni Falcone, la moglie e collega Francesca Morvillo e Paolo Borsellino, con le loro scorte.

Assieme a loro, tutte le vittime e i martiri della mafia. Proprio in nome di questa ricorrenza, venerdì 26 maggio, presso la parrocchia di San Gaudenzo, a Rimini, si è svolto un incontro dal titolo Infiltrazioni mafiose: segnali di allarme e anticorpi, moderato dal giudice Eugenio Cetro e in cui sono intervenuti il sostituto procuratore della Repubblica Paolo Gengarelli; l’assessore alla Legalità del Comune di Rimini Francesco Bragagni e il vescovo Nicolò Anselmi.

Una conferenza che ha sollevato un vivace confronto anche con il pubblico che riempiva la sala, un tradizionale momento di riflessione comunitaria, aperta alla comunità civile, organizzato da diciassette stagioni dal Gruppo Nuove Frontiere Nel segno di Falcone, Borsellino e di tutti i martiri delle Mafie.

Come Comune di Rimini abbiamo promosso diverse iniziative – esordisce l’assessore Bragagni – La strage di Capaci avvenuta il 23 maggio 1992 è un anniversario che abbiamo voluto rievocare non in maniera strettamente commemorativa, ma anche portando avanti l’importante messaggio di parlare di tutti questi argomenti alle nuove generazioni.

Non sono il primo a dirlo, ma l’impegno essenziale oltre al ‘fare legalità’, oltre al lavoro certamente meritorio delle magistrature e delle forze dell’ordine, è quello di incentivare una cultura della legalità, che può essere assimilata dai più giovani, coloro che si apprestano a formarsi per la propria vita futura”.

Fondamentale, dunque, capire come il fenomeno della mafia si sia sviluppato dalla fine dell’800 fino ai giorni nostri, e comprendere come esso abbia seguito un’espansione importante legata al profitto.

Il nostro territorio – continua l’assessore – è prettamente concentrato sull’economia turistica e la mafia si radica molto spesso nelle attività alberghiere, nella ristorazione, e nel commercio.

Cito a titolo d’esempio l’episodio di qualche tempo fa accaduto a Cesenatico: alcuni lavoratori stagionali si sono visti mancare il proprio stipendio da maggio a settembre. Naturalmente i sindacati sono intervenuti e hanno trovato, a capo di quest’attività, un 89enne originario di Gioia Tauro. Il Comune, insieme alla magistratura e alla prefettura, ha incrementato i controlli e ha scoperto la conduzione mafiosa.

Nel 2013 il Comune di Rimini ha firmato un Protocollo per la legalità, poi rinnovato nel 2020, assieme al Comune di Riccione ed altri. È utile perché predispone una piattaforma web in cui si possono condividere delle segnalazioni di attività sospette e prevede l’obbligo di intervento da parte del Comune, se riscontrati elementi sufficientemente convincenti.

In questi ultimi 3 anni sono sopravvenute un centinaio di segnalazioni. Vi è nata una grande collaborazione tra enti, istituzioni e associazioni di categoria, con tutte quelle realtà private che hanno una visione d’insieme migliore rispetto a questi fenomeni, difficili da intercettare dall’esterno”.

Come riconoscere ristoranti, alberghi, attività gestite dalla malavita? È molto comune che, dopo aver prestato soldi a qualche malcapitato che non è riuscito poi a restituirli, organizzazioni mafiose si siano fatte consegnare proprietà come ‘pegno’, come ‘risarcimento’.

Molto importante a questo proposito è citare la legge 646 del 1982, detta anche Legge Rognoni-La Torre – risponde il P.M. Gengarelli – una legge che contiene misure di contrasto e di prevenzione nei confronti della mafia. L’art. 1 della norma, introduce nel codice penale italiano l’art. 416 bis, che delinea la fattispecie del reato dell’associazione di tipo mafioso, descrivendone le condizioni ricorrenti.

Ma è essenziale anche che ogni cittadino tenga la guardia alta rispetto a questi fenomeni, vestire i panni di una sentinella. Per non incappare in situazioni pericolose, con prestiti ad interesse, o simili, è bene che si chieda consiglio a professionisti.

Per esempio nel settore dei bonus edilizi si è detto di tutto e di più, alcuni hanno spinto altri a iniziare determinati lavori che non sono andati a buon fine”.

La presenza del Vescovo, è segno della rilevanza anche religiosa e non solo civile del fenomeno ‘mafia’.

Monsignor Anselmi ha riportato una sua esperienza personale: “ Sono originario di Genova e prima di venire qui a Rimini ero un parroco.

Ho assistito ad una confisca cospicua di 98 beni immobili appartenenti alla famiglia ad associazione mafiosa Canfarota. Inizialmente i beni confiscati vengono controllati e valutati se possono essere d’aiuto allo Stato.

Non possono essere venduti, perché altrimenti le famiglie mafiose se li ricomprerebbero facilmente e non possono essere messi a reddito. Ma possono essere messi a disposizione per finalità istituzionali o di associazioni di volontariato.

Quelli della famiglia Canfarota erano stati da loro accaparrati attraverso un processo di usura, di prestito di denaro e interesse. Alla mia parrocchia, a quel tempo, furono assegnati – di quei 98 – 13 immobili: 11 dei quali trasformati in piccoli appartamentini per famiglie o singole persone con difficoltà e 2 in negozietti.

È andato tutto liscio? Ovviamente no. Il signor Franco, nuovo gestore di uno dei due negozi, si è venuto a lamentare con me, impaurito, delle minacce subite da alcuni famigliari in libertà della famiglia Canfarota che lo esortavano ad abbassare la saracinesca. Mi sono mobilitato a raccontare il fatto al maresciallo di zona, il quale ha rassicurato il signor Franco. Quest’ultimo si è sentito parte di una rete, di una comunità, si è sentito ‘protetto’ e questo è importante. Se fosse stato da solo si sarebbe spaventato e avrebbe ceduto”.

Si è parlato di mafia, o bisognerebbe parlare di mafie? Ce ne sono di diversi tipi, è necessario proporre una topografia delle mafie nei nostri territori”; Potrebbe essere utile dare delle indicazioni precise su come fare ad evitare e non rimanere vittime di questi fenomeni”, queste alcune delle proposte sollevate dal pubblico in sala.

Per ricordare le parole di Paolo Borsellino, «l’antimafia è un lavoro culturale che deve portare tutti a sentire il fresco profumo di libertà contro il puzzo del compromesso morale» è necessario avere delle accortezze – chiosa l’assessore alla legalità – Come ad esempio: non andare in luoghi in cui non si elargisce lo scontrino; non fidarsi di chi offre lavoro in nero; non accettare prestiti all’apparenza convenienti, ma che nascondono elementi di usura”.

Questo incontro, che ha toccato tematiche tanto delicate quanto più importanti e pericolose, si è svolto in una parrocchia perché, come ha ben spiegato don Aldo Amati in chiusura: “ la parrocchia è un luogo di informazione, crescita, umanità, un luogo dove le persone – in nome della fede – compiono delle scelte, la scelta dell’onestà e della gratuità.

Nostro compito è, come si è detto, promuovere la cultura della legalità.

Onestà pubblica e privata, onestà della solidarietà. Ecco perché siamo qui”.

Perché per sconfiggere la mafia è sufficiente volerlo dato che, come ha affermato Giovanni Falcone con fermezza: « la mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni » .