Home Attualita In tre anni 22 vite spezzate

In tre anni 22 vite spezzate

Vite stroncate ancora prima di nascere, perché “diverse”. Con il progresso tecnologico aumenta la possibilità per due futuri genitori di conoscere il loro piccolo fin dalle prime settimane di gestazione. Si ammira sullo schermo del ginecologo quella creatura che prende a poco a poco forma, si scopre sempre prima il sesso, ma soprattutto ci si accerta che tutto vada “per il meglio”. Parallelamente, aumenta l’età delle madri e crescono anche i rischi che qualcosa vada “storto”. In taluni casi “l’incidente di percorso” è una malattia, in altri una malformazione, in altri ancora la trisomia 21 o sindrome di Down. Dati nazionali dicono che il 2,6% degli aborti vengono effettuati dopo la 12ª settimana, cioè per rischi di salute o malformazione del feto. Impossibile ancora oggi dimenticare il caso di quella madre che nel 2007, all’ospedale San Paolo di Milano, perse due gemelle nel tentativo di eliminare quella con “il cromosoma in più”. I risultati dell’amniocentesi parlavano chiaro, ma tra il referto e il giorno dell’aborto passarono tre settimane durante le quali le gemelle si scambiarono di posto nella pancia. I medici intervennero sulla bambina sbagliata e a seguire eliminarono anche quella (probabilmente) con trisomia 21.
All’ospedale “Infermi” di Rimini le diagnosi prenatale di sindrome di Down sono in aumento: quattro nel 2010, cinque nel 2011, sei nel 2012 e sette nel primo trimestre 2013. Come spiega la dottoressa Elisa Facondini, che lavora all’U.O. di Ostetricia-Ginecologia con il compito di sostenere i futuri genitori al momento della diagnosi prenatale, tutte le coppie hanno deciso di interrompere la gravidanza. I bimbi con trisomia 21 nati negli stessi anni sono invece tutti casi in cui non era stata effettuata alcuna diagnosi prenatale “o per la giovane età della madre o per valori personali della coppia”: 5 nel 2011, 4 nel 2012, 2 nel primo semestre 2013.
È il segno culturale della “sindrome del figlio perfetto”?
Ci sono due dati su cui riflettere – spiega la psicologa -: da un lato, assistiamo ad un cambiamento socio-culturale, dall’altra ad una genitorialità che dà sempre più importanza anche alla fase di gestazione. L’ecografia ad oggi è un momento fondamentale per i genitori. La realtà descritta va a ridurre alcune caratteristiche del bambino immaginario: la conoscenza del sesso, peso, lunghezza, la sua vivacità e le sue difficoltà. Ciò può facilitare l’investimento affettivo o, al contrario, renderlo difficile”.
Al tempo stesso, quelli che erano in altri tempi annunci possibili solo alla nascita oggi lo sono fin dai primi mesi di gravidanza. “La cosa più faticosa nella diagnosi prenatale è che la possibilità di diagnosticare prima della nascita una malattia, tende a non permettere il rapporto genitore-feto poichè l’attenzione viene a porsi sulla malattia e non sul figlio. In questi casi la diagnosi costituisce per i genitori un vero e proprio evento traumatico. La violenza del dramma può generare uno stato di confusione ed impotenza. La coppia non sente più, non capisce ciò che le viene detto, malgrado venga ripetuto il contenuto della comunicazione nel corso di diverse spiegazioni tecniche. Le parole rimbalzano sulla storia personale o giungono a risvegliare lontane paure, le anomalie del feto provocano una ferita profonda…”.
Una gravidanza può essere interrotta, in queste situazioni, fino alla 22ª settimana, ma come spiega la dottoressa, “per la trisomia 21 le interruzioni avvengono generalmente prima”. Già dalla 12ª settimana, con l’esame della plica nucale, è possibile sapere se c’è qualche anomalia. In caso positivo, seguono villocentesi e amniocentesi. Le tecniche a disposizione non mancano (sebbene un Rapporto del Tribunale dei diritti del malato, nel 2006, abbia constatato che nel 12% dei casi la diagnosi prenatale è sbagliata).
Il problema diventa: come accompagnare questo carico di informazioni con un adeguato supporto psicologico? È quello che l’Ausl di Rimini cerca di fare con un percorso ad hoc che prende in carico la coppia dalla diagnosi prenatale (ostetrica), alla comunicazione diagnostica (ginecologi e neonatologi) all’attivazione, su richiesta, di un èquipe multidisciplinare (medico, genetista, psicologa) che l’accompagni nel difficile percorso, sia nel caso scelga l’aborto, sia nel caso decida di andare avanti. “Un’atmosfera di speranza incoraggia le aspirazioni e la disponibilità a rischiare posizioni di sicurezza, a impiegare vitalità e risorse. Da qui nasce la necessità di una coordinazione delle prassi che accompagnano la nascita di un neonato con sindrome di Down condivisa da ostetrici, neonatologi, genetisti, in modo da creare una rete che contenga e sostenga il nuovo nucleo ”.
Nella realtà provinciale l’Ausl di Rimini, nel 2004, ha elaborato, in collaborazione con l’associazione di genitori di ragazzi con sindrome di Down “Crescere Insieme”, il documento (ad oggi ancora in fase di bozza) Percorsi clinici e abilitativi per Persone con sindrome di Down che descrive l’attivazione di quattro percorsi: dal momento della diagnosi ai 18 mesi, dai 18 mesi ai 3 anni, dai 3 anni ai 14 anni, e dai 14 anni all’età adulta. “Si è quindi costituita un’èquipe multi professionale in collaborazione con le associazioni rappresentanti delle famiglie – spiega la Facondini -. Si ritiene opportuno, in tale situazione, un gruppo di prima accoglienza, formato delle figure professionali perinatali (neonatologo, ginecologo ostetrica, infermiera professionale, psicologo, fisiatra, genetista, assistente sociale) interne al Presidio ospedaliero e, su bisogno della coppia, l’attivazione del sostegno dei genitori attivi nelle associazioni”. Tale èquipe ha il ruolo di coordinare ed organizzare i rapporti con i diversi referenti istituzionali, di attivare la rette di servizi e offre non solo una corretta informazione, “ma soprattutto crea le condizioni perché ci sia una precoce progettualità basata sui bisogni e le esigenze della famiglia fornendo gli adeguati supporti (prenatale e postnatale)”. Infine, “dovrebbero essere programmati i possibili incontri a supporto e, su richiesta della famiglia, incontri che saranno organizzati da una figura interna al Presidio ospedaliero per rispondere alle domande, ai dubbi e fornire indicazioni per eventuali altri contatti”.

Alessandra Leardini