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In Gesù Cristo il nuovo umanesimo

Il Sinodo appena concluso, il Giubileo straordinario della Misericordia e il Convegno che si pone al centro del decennio dedicato dai Vescovi italiani alla «Vita buona del Vangelo». L’appuntamento di Firenze (9-13 novembre), il quinto Convegno Ecclesiale Nazionale, si pone all’interno di un periodo molto fecondo per la Chiesa italiana. Il tema è “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, ed è prevista la visita di Papa Francesco lunedì 10.
Rimini si prepara all’appuntamento con riflessioni, studi e incontri. Per cogliere la portata dell’evento toscano, l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli”, in collaborazione con la Diocesi di Rimini e il Servizio per il Progetto culturale, ha organizzato un seminario di studi presso il Teatro del Seminario vescovile, moderato dal prof. Natalino Valentini, Direttore dell’Istituto di Scienze Religiose. Relatore padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato al Monte e membro del Comitato preparatorio del Convegno. A padre Bernardo Gianni abbiamo posto alcune domande.

Qual è l’atteggiamento giusto per attendere e guardare all’evento di Firenze?
“Questo appuntamento va posto all’interno del tempo di grazia che stiamo vivendo: il Sinodo appena concluso, il Giubileo straordinario della Misericordia che inizierà l’8 dicembre; e non dimentichiamo che il Convegno si pone al centro del decennio, 2010 – 2020, che gli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano hanno dedicato alla «Vita buona del Vangelo»”.

La traccia di preparazione su cui già da tempo i delegati delle diocesi, compresa quella di Rimini, si stanno confrontando poggia su cinque parole chiave.
“Sì, sono cinque parole saldate sulla strada aperta dal Concilio Vaticano II e il faro che le illumina è la Gaudium et spes promulgata da Paolo VI l’8 dicembre 1965, a cinquant’anni esatti di distanza dal grande giubileo che ci accingiamo a vivere. Le cinque azioni, definite «cinque vie» sono: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare”.

Padre Bernardo, lei ha avviato la sua riflessione con il saluto che Mario Luzi rivolse a Giovanni Paolo II in visita a Firenze, il 18 ottobre 1986: L’uomo: si imparò qui a Firenze a dire questa parola con particolare intenzione; come intendendo un prodigio in cui la creazione si fosse identificata con il creatore; o come di un mistero di cui fosse impossibile delineare i contorni. (…)
“Quello del poeta è uno sguardo prezioso fresco, fecondo. Firenze, con la sua storia, con lo splendore della sua arte, insegna che l’ideale umanistico, di cui fu nido e culla, non può essere un’illusione. La grande tradizione artistica fiorentina, ideale cornice al Convegno, vero e proprio scialo di bellezza, serve per capire chi può essere l’uomo”.

La sua relazione è tutta tesa ad approfondire la parola umanesimo.
“Oggi si parla di umanesimi e post umanesimi, ma al centro c’è l’evidenza di un’umanità ferita e fragile.
È esplicito il richiamo alla allocuzione di Paolo VI a conclusione del Concilio Vaticano II: «L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo».
Parlare di nuovo umanesimo significa tornare alla consapevolezza di una dignità filiale, all’accorgersi di quanto è prezioso l’uomo per Dio. In questa prospettiva brilla l’umanesimo della carità, quello di Cristo e della grande storia dei santi che hanno incarnato questo primato”.

“È bene essere uomo”: questo è un passaggio fondamentale.
“La nostra umanità non è un fallimento, non è un’avventura senza senso; con Cristo possiamo visitare le bruttezze delle nostre periferie senza anestesia, restituendo all’uomo una dignità sublime. Non si può fuggire dalla concretezza dell’umano, ma occorre una misura nuova per abbracciarlo, per ricostruirne la memoria dove il richiamo ai Greci e ai Romani non sia una nostalgica rievocazione.
Per tanta antropologia l’uomo è solo un fenomeno culturale e sociale; questa è la raggelante prospettiva in cui vivono i giovani che non vedono un futuro animato da una speranza abitabile: appiattiti nel presente, non riescono a leggere ciò che li precede come una storia, né il futuro come qualcosa che si schiude. Invece l’umanesimo della carità riconosce l’anteriorità dell’amore di Cristo che, accolto, trasfigura la fragilità stessa”.

Qual è in due parole il compito del Convegno?
“Far brillare fin oltre il perimetro ecclesiale, l’umanesimo cristiano. Ci immergiamo in un mistero: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome … », c’è uno di più, inafferrabile”.

Rosanna Menghi