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Il volontariato e la ricerca di senso

Da quando sono piccola ho nel cuore il desiderio di essere utile. In adolescenza la mia mente è stata invasa da un vuoto di senso: il trascinarmi nelle giornate era lento, l’essere utile – tanto desiderato – non volevo avesse come destinatario un mondo che mi appariva insensato. Non ero affezionata a nulla del mio tempo, se non a due ore il sabato pomeriggio in una casa di riposo. Ricordo l’odore terribile e i lunghi corridoi verso la stanza in cui gli anziani ci aspettavano per cantare insieme. Eravamo quindici ragazzi che, gratuitamente e senza voti in più a scuola, si dedicavano a un ospizio storico di Rimini. Le prime volte andavo per pura filantropia, poi – iniziando a sentire la fatica che quell’impegno richiedeva – mi sono accorta che non lo facevo solo per questo. Quel luogo poteva essere l’esasperazione dell’insensatezza che avvertivo, eppure io ci tornavo costantemente. Iniziata l’università, ho cercato a Milano un posto in cui poter fare la stessa esperienza. Da quattro anni, il venerdì pomeriggio offro due ore di aiuto allo studio a ragazzi delle medie nella zona di Corvetto. Nella frenesia della settimana milanese, quelle sono le ore «per me». Niente Spa o parrucchieri, dedico il tempo al desiderio di amare ed essere amata.

IL PERCORSO

Con questi ragazzi tutti i miei buoni propositi spesso cadono: tante volte è impossibile farli studiare. Ma grazie a loro sto intuendo che la consistenza della mia utilità sta nel mio essere lì, capisco che ho valore perché ci sono e non per la buona riuscita della mia performance. Allora, perché fare volontariato a 20 anni oggi? Perché si scopre che la bellezza della vita aumenta quanto più si chiarifica la consapevolezza di esserci. Questo credo che rompa tutti gli schemi perbenistici, meritocratici e performanti che la società impone. Un gesto del genere è più rivoluzionario per il mondo – e per la mia vita – di qualsiasi piazza gremita di gente con forconi alla mano.

LA RIFLESSIONE

La testimonianza sopra riportata è quella di Emilia, una redattrice de ilPonte Giovani, che in una lettera pubblicata sul Corriere della Sera racconta la propria ricerca di senso attraverso l’attività di volontariato. Una prospettiva che è comune a tantissimi ragazzi e ragazze, diversamente dall’immagine che dei giovani si ricava dalla narrazione dominante, che li vuole apatici, viziati, individualisti e incapaci di crescere e maturare.

A confermarlo sono i numeri. Qualche mese fa, in occasione della Giornata Internazionale della Gioventù, il portale Openpolis, realtà indipendente no profit che si occupa di indagini giornalistiche ed elaborazione di dati, ha realizzato la consueta analisi legata al mondo dei giovani, con particolare riferimento al loro impegno nelle realtà di volontariato e solidarietà. Con risultati importanti, sotto diversi punti di vista. “Nonostante una descrizione che li vorrebbe passivi e apatici – si legge nell’indagine – negli ultimi anni le giovani generazioni hanno dimostrato un notevole attivismo in numerosi campi. Sono diversi gli indicatori in grado di restituire la partecipazione dei giovani alla vita della società e delle proprie realtà locali. In primo luogo la quota di persone che frequentano associazioni, come quelle ecologiche, per i diritti civili e la pace. Gli under 25 sono la fascia di popolazione più coinvolta nell’associazionismo in questo ambito. Rispetto alla media nazionale (l’1,6% delle persone con almeno 14 anni che nel 2022 hanno partecipato a riunioni di queste organizzazioni) nessuna classe demografica over 25 raggiunge la quota del 2%. Percentuale conseguita invece dagli adolescenti (14-17 anni), dai 20-24enni e ampiamente superata tra i neomaggiorenni. I giovani di 18 e 19 anni sono infatti la classe anagrafica più attiva nell’associazionismo per i diritti e la cura dell’ambiente (2,9% del totale). Un altro dato interessante – prosegue lo studio di Openpolis – è che, sebbene in media non siamo ancora tornati ai livelli pre-Covid, nella progressiva uscita dalla pandemia è tornata a crescere la partecipazione nel volontariato. In particolare tra i giovanissimi (14-17 anni). Tra i minori, anche a causa dell’emergenza sanitaria, la possibilità di svolgere queste attività era crollata al 3,9%. Nel 2022 è cresciuta di 2,5 punti, l’aumento più importante rispetto alle diverse fasce d’età. L’impegno dei giovani, in particolare nella fascia 18-24 anni, emerge anche nell’attivismo all’interno associazioni non di volontariato. Il 2,7% della popolazione complessiva ha svolto attività gratuite per questo tipo di organizzazioni nel 2022. Tra i 20-24enni la quota sale al 3,3%, tra i 18-19enni arriva addirittura al 4,1%. Per le comunità in cui vivono, i giovani rivestono quindi un valore inestimabile come agenti di cambiamento

Emilia Protti