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Il trauma della violenza negli occhi dei bambini

Le conseguenze drammatiche della violenza assistita nei minori. L’analisi severa della psicologa Veronica Baiocchi

Oltre 400.000. Questo è il numero paurosamente alto dei minori che, in Italia, assistono loro malgrado ad episodi di violenza dentro le mura di casa; un dato che racconta un fenomeno drammaticamente diffuso che ha conseguenze gravi per la loro crescita psicofisica.

Si chiama ‘violenza assistita’ ed è definita dal Cismai ( Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia) come ‘ il fare esperienza da parte del bambino di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte e minori’.

Secondo le stime Istat, nelle famiglie in cui sono presenti pratiche di maltrattamento, circa il 50% dei minori assiste alla violenza, mentre il 10% la subisce.

Importante sapere inoltre che una ricerca sul bullismo a scuola ha dimostrato che il 61% dei bambini vittime di violenza assistita diventano bulli e che il 71% dei bambini che a scuola sono vittime di bullismo subiscono violenza assistita in famiglia. Il fenomeno si è largamente aggravato anche a causa della pandemia da Covid-19, la quale ha costretto adulti e bambini dentro le mura domestiche per periodi prolungati, con un effetto devastante sulla crescita della vittima. Secondo studi recenti i genitori sono i primi a sottovalutare i danni della violenza domestica e assistita dai figli. Molte mamme picchiate, quando interrogate sulla possibile percezione che di tutto questo possono avere i propri figli, rispondono che loro dormono in un’altra stanza, o che comunque non sono presenti, non sentono o addirittura non capiscono.

Ad oggi, la violenza assistita non è dunque ancora approfonditamente riconosciuta, anzi spesso minimizzata. Ma gli occhi che fotografano, le orecchie che registrano e la mente che imprime ricordi indelebili, riguardo questi abusi, segnano nella crescita del minore importanti danni, che devono essere presi in considerazione e adeguatamente trattati.

Ne parliamo più nel dettaglio con la dott.ssa Veronica Baiocchi, psicologa e psicoterapeuta di Rimini, specializzata – tra l’altro – nelle tematiche del trattamento del trauma, conflitto (coppia o familiare) e percorsi psico-educativi.

Quali sono le principali conseguenze che un minore subisce assistendo a violenza?

“Anzitutto dobbiamo specificare che tante e diverse sono le aree che comprende la ‘violenza’. Non vi è solo quella fisica, bensì anche quella psicologica, verbale, sessuale ed economica. E dunque sono altrettanto numerosi i danni alla crescita evolutiva di un minore che vi assiste. Non solo vedere la violenza ha un impatto doloroso, confondente e spaventoso. Lo ha anche sapere che certe cose avvengono; venire a contatto o a conoscenza degli effetti fisici del maltrattamento famigliare; percepire la tristezza, la disperazione, l’angoscia e il terrore… ‘Solo’ questo può generare nel bambino un disturbo post traumatico da stress. In più, ancor maggiormente preoccupante, nella mente del piccolo si può creare una struttura definita di ‘falsa credenza’. Viene introiettata l’idea che per amare, essere amato ed evitare i maltrattamenti, bisogna fare tutto ciò che il partner dominante dice o pretende; oppure, di contro, l’idea che – diventando il partner dominante – sia lecito sminuire, vessare e picchiare l’altra persona. La ragione per cui i bambini sono influenzati così negativamente dalla violenza assistita ha a che fare con il vissuto di impotenza, la loro incapacità di comprendere, di provare fiducia.

Si danneggia la loro relazione di attaccamento, l’alimentazione e il ciclo sonno/veglia sono disturbati e secondo una ricerca svolta con bambini tra i 3 e i 5 anni persino le abilità linguistiche vengono gravemente compromesse”.

Non vi è un modo per evitare o ridurre l’impatto di queste conseguenze deleterie?

“Ciò che è fondamentale sono le figure che gravitano attorno al bambino. Oltre a quelle disfunzionali che appunto possono essere rappresentate dai genitori che discutono e litigano, magari possono essercene delle altre protettive, quali per esempio una zia, un amico di famiglia, una babysitter, che possono concedere un modello diverso e migliore al minore, una concezione differente di affetto e di relazione. Il trauma che subisce ha la T maiuscola e deve essere trattato con i giusti mezzi”.

Come, ad esempio?

“Spesso si parla del ‘ verdetto di dodo’, la teoria secondo la quale tutti i tipi di psicoterapia sono ugualmente efficaci, essendo la validità e il successo del trattamento dovuti non agli specifici metodi usati dallo psicoterapeuta, quanto piuttosto a qualcosa di molto più generale e che tutte le psicoterapie hanno in comune: il conforto derivato dall’avere qualcuno con cui poter parlare dei propri problemi. Essenziale, dunque, anche nel caso della violenza assistita, è la relazione che si instaura tra terapeuta e paziente. Essa sola può essere salvifica e indispensabile nell’elaborare il trauma”.

Se non si interviene prontamente, quali sono le possibili ripercussioni?

“Crescendo e convivendo o ignorando il trauma subito, il bambino può manifestare vari disturbi o problematiche legate al comportamento. Molti hanno complicazioni con la legge, o si isolano sviluppando e covando sentimenti di odio e rancore. Vi può essere un lento ma inesorabile incremento di sintomi depressivi in adolescenza, che possono anche culminare in comportamenti suicidari”.

Come si può, da persone estranee agli episodi, riconoscere il disagio in cui i minori versano?

“I minori hanno modi diversi di esplicitarlo. I più piccoli spesso si affidano ai disegni o ai giochi: manifestano così il proprio disagio e dunque le figure come gli educatori, gli insegnanti dell’asilo, giocano un ruolo molto importante nell’interpretarlo. Se invece parliamo di ragazzini o adolescenti, ciò che è importante è captare ciò che dicono o raccontano, fare attenzione alle confidenze che possono avvenire come detto prima anche con un altro membro della famiglia, oppure una figura positiva con cui si sentono a proprio agio. Spesso molti fanno riferimento allo psicologo scolastico, perché non sanno a chi chiedere e cosa fare”.

E, poi, come muoversi?

“Dapprima, certamente, allertare le autorità competenti. Dopodiché vi è un iter specifico da seguire, capitanato soprattutto dagli assistenti sociali. Poi, ovviamente, la figura dello psicologo – come pocanzi accennato – è quella che in maniera più profonda riesce a creare un legame con il minore per accompagnarlo verso la rielaborazione e comprensione del trauma. Un aspetto che mi sento di sottolineare è che si tratta di un percorso che richiede tempo e pazienza.

Nella società frenetica nella quale viviamo, bombardati da innumerevoli stimoli e dalla fretta, spesso ed erroneamente ci convinciamo di dover avere tutto e subito. Non è così. Per salvare il sé e la costruzione dell’io, bisogna essere cauti”.