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Il risveglio degli ordini mendicanti

È stato scritto, Dio risponde sempre alle particolari necessità e alle difficoltà di un’epoca suscitando i grandi santi. Furono san Francesco e san Domenico i profeti del tempo, che indicarono alla Chiesa la via per non soccombere sotto il peso di preoccupazioni troppo “mondane” e per non perdere il contatto con le classi popolari povere. Con le loro parole e la loro vita mostrarono che la forza e la potenza non avrebbero salvato l’unità cristiana e che la crisi poteva essere superata solo attraverso l’intima adesione allo spirito del Vangelo.

Gli Ordini mendicanti
e il nuovo slancio pastorale
Gli Ordini mendicanti, nati dalla loro predicazione e insediati a Rimini nella prima metà del Duecento, diedero nuovo slancio alla pastorale e furono protagonisti di un apostolato più moderno e intraprendente di quello dei Benedettini, ormai in declino, e dei sacerdoti secolari, spesso incolti e a volte privi di vocazione. Seppero rispondere alle necessità spirituali di una società dinamica e in forte evoluzione, rivolgendosi alle classi umili e marginali, ma anche ai ceti emergenti e a quelli dominanti e riuscendo a fronteggiare gli avversari più sul piano della pastorale che su quello esclusivamente repressivo.
Il loro insediamento in città fu preceduto dalla presenza di singoli predicatori itineranti, come il francescano Antonio da Padova e il domenicano Pietro da Verona. Anzi, fu proprio il carisma di questi santi che favorì l’affermazione dei rispettivi Ordini, determinando un crescente consenso verso i frati da parte dei fedeli.

Collocazione strategica
Seguendo un preciso piano, gli Ordini mendicanti si collocarono nei punti strategici della città: i Francescani nei pressi della Fossa Patara, nell’area di maggiore densità ereticale, gli Eremitani di sant’Agostino vicino ai palazzi del potere civico e non lontano dalla zona ebraica, i Domenicani (o Predicatori) nel quartiere a mare, a ridosso della zona del porto (i Servi di Maria saranno presenti in città solo a partire dal Trecento e i Carmelitani solo nel tardo Cinquecento). Le loro chiese, costruite secondo uno schema semplicissimo, formato da un’unica navata conclusa da tre cappelle absidali, divennero presto i nuovi poli di riferimento, costituendosi come spazio alternativo a quello tradizionale della parrocchia e della cattedrale. Nel corso del secolo la loro presenza si allarga anche in molte altre località della diocesi e accanto alle comunità maschili si insediano anche quelle femminili, prime fra tutte le clarisse.


Molti frati nominati vescovi
Per l’integrità della loro vita e la capacità di “parlare a tutti” molti membri degli ordini mendicanti vennero promossi alla cattedra episcopale, a Rimini come a Cesena, Cervia, Faenza. Tra l’altro, la scelta di un vescovo-frate forestiero garantiva il necessario ruolo super partes, in una fase particolarmente travagliata della vita comunale, dove allo scontro tra famiglie filo-imperiali e filo-papali si aggiungeva il contrasto tra popolo minuto e magnanti. Furono domenicani, nel corso del Duecento, i vescovi Ugolino (1245-1249), Luigi da Rosate (1250-1251) e Ambrogio da Orvieto (1265-1277).

Pacificatori sociali
La capacità dei frati di mediare i conflitti e il legame con tutte le componenti sociali li impone come pacificatori sociali: Pietro da Verona svolse un’importante azione di mediazione tra le città romagnole in lotta tra loro e nomi di frati compaiono ripetutamente come garanti in importanti atti pubblici, a cominciare dall’atto di formale sottomissione della città al papa, nel 1278, dove figurano come testimoni Malatesta da Verucchio, capo del partito guelfo, Montagna da Parcitade, capo del partito ghibellino e tre frati domenicani. La fiducia che riscuotono è tanta che si diffonde la prassi di affidare ai francescani la custodia dei registri pubblici, anche di natura contabile.

L’impegno contro gli eretici
Il loro impegno contro gli eretici, oltre che attraverso l’opera dei tribunali si realizzò col ricorso ad una nuova, più moderna forma di predicazione, che sapeva esortare a gesti concreti di conversione, di carità, di conciliazione, affermando il valore del creato e la dignità delle creature; sapeva usare uno strumento linguistico adeguato nel lessico e nello stile e sapeva tener conto delle diversità dell’uditorio, del fatto, cioè, che non a tutti si potevano proporre i medesimi modelli di comportamento; nei sermones ad status, indirizzati alla nuova classe mercantile, per esempio, si legittimava moralmente la ricchezza se derivata da attività professionali produttive e se opportunamente utilizzata.

La centralità della Parola
La loro predicazione traeva alimento da uno studio rigoroso, che si basava sulla assoluta centralità della parola divina nella sua corretta interpretazione. Nelle costituzioni dell’ordine dei domenicani era prevista una precisa organizzazione degli studi, poi mutuata dai francescani, che prevedeva la fondazione di Studi generali, in grado di confrontarsi con le Università nate agli inizi del XII secolo, e di Studi di ambito più locale, provinciale o conventuale. In queste scuole si insegnava la nuova teologia di Tommaso, si commentavano le Sentenze di Pietro Lombardo (il manuale teologico di riferimento del Medioevo) e la Bibbia.

Il rigore degli studi
Anche se attestazioni sicure risalgono solo alla fine del Duecento, la fondazione delle scuole a Rimini avvenne certamente nel periodo di poco posteriore all’insediamento degli Ordini mendicanti in città. Il rigore degli studi troverà presto l’apprezzamento del papa Benedetto XII (che nel 1336 abiliterà i “lettori” dello studio di Rimini a insegnare a Oxford, Cambridge e Parigi ) e permetterà ai frati di svolgere un ruolo importante nei due secoli successivi, sia a livello religioso che politico-sociale. (6 – continua)

Cinzia Montevecchi