Dai, raccontaci qualcosa”: mi sento ripetere da diverse voci amiche. È vero. C’ero anch’io giovedì 20 novembre nel monastero delle Agostiniane di Montefalco quando è arrivato in elicottero papa Leone, dopo aver incontrato i vescovi italiani nella vicina Assisi. Sia chiaro: se mi decido a scrivere di quell’incontro non è affatto per il mascherato, recondito obiettivo di accendermi i fari addosso, come se la mia presenza a quella visita strettamente privata fosse motivata da chissà quale arcano privilegio. Semplicemente: mi trovavo lì già dalla domenica precedente per trascorrervi l’intera settimana, dietro invito della comunità monastica a guidare il corso dei loro esercizi spirituali annuali.
Dell’eccezionale evento io ero stato informato appena qualche giorno prima dalla priora, la carissima Madre MariaCristina Daguati, in via rigorosamente riservata, come del resto ne erano al corrente anche le dodici professe della comunità, oltre le due postulanti. Ma posso anche confidare che la notizia condivisa “sotto segreto pontificio” non aveva prodotto alcuna spasmodica frenesia nella comunità. Che, anzi, si è lasciata guidare, nel cammino spirituale proposto, con pacata, imperturbabile docilità, anzi con l’impegno maggiorato di poter testimoniare all’amico papa Leone, la propria indiscussa fedeltà allo spirito – il “carisma” – e alla legge della vita contemplativa.
E viene il giorno: l’elicottero ‘papale’ decollato poco prima da Assisi, atterra puntuale nell’improvvisato eliporto dello stadio comunale di Montefalco. Alle 10,15, come da programma, il Papa arriva in macchina al cancello del Monastero ed entra nella zona inaccessibile della clausura, accolto dalla priora e dalla neo-eletta preside della Federazione dei monasteri agostiniani d’Italia, l’indimenticabile MariaRosa Guerrini, la monaca dei disegni briosi e frizzanti i cui personaggi si riconoscono subito per il loro gradevole faccione simpatico e birichino. Tra parentesi: come non ricordare le favole di Natale, da lei disegnate e pubblicate dal nostro ilPonte alcuni anni fa?
Tre sono stati i momenti che hanno ritmato l’incontro. Il primo, il colloquio ‘a porte chiuse’ del Papa con l’intera comunità.
Ovviamente io non dovevo partecipare e non vi ho partecipato. Ma di questa più che condivisibile segretezza, ho intensamente goduto.
Mi è bastato vedere la luminosa dolcezza dei volti delle Sorelle, che ne sono uscite intimamente ‘toccate’ e quasi teneramente sfiorate da una limpida carezza.
Il secondo momento, quello centrale, è stata la celebrazione della santa Messa, presieduta dal Papa, alla quale ho partecipato come unico vescovo concelebrante.
Mi rivedo nella foto della consacrazione, scattata a mia insaputa – a tradimento (?!) – e mi ritrovo con lo sguardo fisso sull’ostia consacrata. No, non sto guardando il Papa, ma guardo nella stessa direzione e formulo in cuore una appassionata preghiera: Che io mi lasci sempre aiutare dal Papa di turno nella mia vita – si chiami Pio o Giovanni, Paolo o Giovanni Paolo 1° o 2°, Benedetto o Francesco o Leone – a “tenere sempre fisso lo sguardo su Gesù”, come si legge nella Lettera gli Ebrei (12,2).
Il terzo momento, il pranzo con Leone. Mi colpisce innanzitutto la disposizione dei posti.
Tavolo unico delle monache con il Papa al centro, con a destra Madre MariaCristina e a sinistra suor MariaRosa.
In un tavolo in fondo alla sala il sottoscritto con i due segretari privati.
Vedere il Papa a mensa con due donne rispettivamente posizionate ai suoi lati mi fa tornare con la memoria al papa della mia infanzia, di cui sentivo raccontare che, secondo il rigido protocollo, mangiava sempre da solo, nella compagnia esclusiva di un canarino in gabbia. E mi dico: il tempo passa anche per i ‘sommi pontefici’. O non è vero?!
Ma in sintesi è proprio questa l’emozione di fondo che, ne sono sicuro, mi
resterà a lungo stampata in cuore, dopo l’incontro ravvicinato con Leone XIV: ci siamo imbattuti in un papa “fratello e amico”, come lo ha definito la persona che più di ogni altra gli è stata vicino quel giorno, la madre Priora.
Confermo in pieno: a colpirmi e a contagiarmi è stata proprio quella sua umanità semplice e schietta, senza trucchi e senza creme, davvero “disarmata e disarmante” che traspare dalla sua persona.
Qualcuno potrebbe dire: Va bene, ma… e la fede? e la pietà? e lo zelo? e la santità dove vanno a finire? Stiamo sereni: tutto il corredo di virtù tipicamente papali traspaiono proprio dalla sua umanità.
In fondo non è la fioritura rigogliosa della propria umanità che fa del Papa un testimone credente e credibile di quel Gesù che ha vissuto una umanità pienamente umana?
Allora mi si perdoni il pensiero monello: insieme al protocollare titolo di “Sua Santità”, sarebbe davvero disdicevole, troppo ardito e del tutto improprio rivolgergli anche il titolo di “Sua Umanità”?
Francesco Lambiasi

