Home Cultura Il principe dei restauratori con Rimini nel cuore

Il principe dei restauratori con Rimini nel cuore

Il 10 settembre si è spento nel sonno, all’età di 89 anni, Ottorino Nonfarmale: il restauratore di fiducia della Soprintendenza alle Belle Arti di Bologna, “il più capace e sensibile del mondo”, secondo Cesare Gnudi e Andrea Emiliani, che lo stimavano moltissimo, “il più grande dei restauratori italiani”, come ha scritto Vittorio Sgarbi. A lui si debbono i restauri più importanti e impegnativi eseguiti specialmente in regione: quelli dei grandi cicli di affreschi del Trecento e del Quattrocento, delle bolognesi Biennali d’arte antica, delle opere d’arte della Pinacoteca Nazionale di Bologna, compresa la Santa Cecilia di Raffaello.

A Rimini

Nonfarmale ha lavorato molto anche a Rimini e per Rimini, sempre per conto della Soprintendenza: sono suoi gli ultimi restauri degli affreschi trecenteschi di Sant’Agostino, del Crocifisso di Giotto e dell’affresco di Piero della Francesca nel Tempio Malatestiano e, nel nostro Museo, del Crocifisso ligneo tedesco e della Pietà di Giovanni Bellini (quest’ultima insieme a Otello Caprara, altro straordinario restauratore bolognese scomparso alcuni anni fa).

Una fama internazionale

Aveva una fama ”internazionale”: tra l’altro gli spettano i restauri di alcuni portali di cattedrali gotiche in Francia, nelle cui sculture spesso è anche riuscito a individuare, a recuperare e a salvare tracce delle policromie originali; a lui e ai suoi collaboratori era affidato il restauro della facciata della Basilica di San Marco a Venezia, tuttora in corso.

Ma è inutile, e anche impossibile, fare un elenco dei suoi lavori, moltissimi in tanti decenni di ininterrotta e feconda attività, decenni che sono stati di grande dibattito e di grandi interrogativi per quanto riguarda i problemi del restauro, problemi che rimangono sempre aperti, e che lo vedevano attento e partecipe.

Uno studio-laboratorio

Nonfarmale non era bolognese, ma mantovano, e a Mantova ha avuto il suo maestro, il celebre restauratore e pittore Arturo Raffaldini (1899-1962), che ricordava sempre con grande affetto e riconoscenza. Aveva costruito e organizzato un grande studio-laboratorio nella periferia di Bologna, a San Lazzaro, dove gli era possibile lavorare a opere di grandissime dimensioni. In questo laboratorio si sono avvicendati, come aiutanti e come scolari, molti futuri e bravi restauratori, come ospiti interessati molti grandi studiosi, e per le cure indispensabili opere di Giotto, Vittore Carpaccio, Raffaello, Tiziano, Veronese, Reni, Guercino (tra gli altri). Era una persona cordiale e aperta, sempre disponibile a consigliare e a spiegare; e non aveva segreti e ricette miracolose, ma una grande intelligenza pratica e una accorta sensibilità che gli permettevano di superare tutte le difficoltà che ogni serio restauro comporta e inoltre di sperimentare nuovi metodi su tutti i materiali, dalla carta al bronzo. Non teneva conferenze, ma volentieri parlava del suo lavoro e ne spiegava i motivi; non amava scrivere e, anche per le indispensabili relazioni di restauro, si affidava a collaboratori.

Ha firmato pochi scritti a stampa, ma su suoi suggerimenti e descrizioni, sempre molto precise, sono stati redatti da altri (anch’io ne ho scritti alcuni).

Protagonista della cultura

Dunque se ne è andato un altro grande protagonista della conservazione e del restauro, anzi della nostra cultura. Ma ci lascia un bell’esempio di attività e di lavoro, e molte opere d’arte da rivedere e ammirare e soprattutto da recuperare correttamente per la comprensione della nostra storia.