Home Cultura IL POVERELLO DI ASSISI… E SANT’AGATA

IL POVERELLO DI ASSISI… E SANT’AGATA

STORIA&STORIE. All’inizio del 1200 San Francesco d’Assisi si fermò, per un periodo prolungato, a S. Agata Feltria a pregare, predicare e fare penitenza presso la cella di Fausto, un eremita vissuto diversi secoli prima. La ricostruzione

È ancora oggi viva la tradizione che san Francesco si sia fermato a Sant’Agata Feltria e che abbia dimorato in una piccola cella pregando, predicando e facendo penitenza. Anche se il Poverello di Assisi peregrinò per diversi anni, troppi e ingiustificabili sono i siti in cui le tradizioni popolari locali ne attestano il passaggio. Non è il caso di Sant’Agata Feltria perché i documenti storici concordano con la tradizione popolare.

“MASSA CELLA FAUSTI”: così era denominato il territorio più produttivo dell’antica Terra di S. Agata. Il toponimo Massa Cella Fausti compare per la prima volta nella registrazione n. 182 del Breviarum Ecclesiae Ravennatis, conosciuto come Codice Bavaro, riconducibile al periodo 723 – 998. Nell’anno 874, l’antichissimo convento di San Salvatore, collocato proprio nella Massa Cella Fausti, fu oggetto di una lunga contesa fra il papa Giovanni VIII e l’arcivescovo Giovanni di Ravenna, che coinvolse l’imperatore Ludovico II. Massa Cella Fausti e il monastero di San Salvatore spettavano, in temporale e in spirituale, alla Chiesa ravennate, quantunque beni usurpati al papato. Mentre il Codice Bavaro definisce Cella Fausti come un’estensione territoriale a conduzione prettamente agricola, priva di un centro abitato rimarchevole (massa), la bolla di papa Onorio II dell’anno 1125 ci specifica che Cella Fausti era anche un fabbricato. “Cella di Fausto” è la traduzione letterale di tale toponimo.

Le celle

Nel monachesimo primitivo il termine latino cella stava ad indicare la capanna solitaria in cui il monaco si rinchiudeva per la maggior parte della giornata per cercare il raccoglimento. Secondo l’apoftegma Antonio 34, nell’anno 330 fu proprio il Padre dei monaci a consigliare l’abate Ammonio quando organizzò in celle la montagna di Nitria. Poiché i monaci si moltiplicavano nella solitudine, egli ordinò che essi fossero separati abbastanza da non udire l’uno la voce dell’altro, pur potendo farsi visita tra loro e riunirsi la domenica. I cellani erano monaci, non appartenenti ad alcun ordine monastico, che adottavano una forma estrema di vita penitenziale consistente nel farsi rinchiudere (murare) in solitudine in uno spazio ristretto (cella) per un periodo limitato della propria vita o per sempre. Il recluso poteva comunicare con l’esterno solo attraverso una piccola apertura, spesso rotonda, attraverso la quale veniva sostentato dalla carità della gente. La bolla di papa Gregorio V del 7 luglio 997, con la quale concedeva all’arcivescovo di Ravenna la diocesi feretrana, testimonia che nel Montefeltro esistevano le celle prima dell’anno Mille.

La presenza di San Francesco a Sant’Agata 

Nella primavera del 1213 san Francesco disse a fra Leone: “Andiamo a predicare in Romagna”. Ed è proprio il 1213 l’anno più accreditato dai biografi del passaggio del Santo a Sant’Agata Feltria. Il documento che comprova storicamente la permanenza di san Francesco nel nostro paese è costituito da una pietra votiva di forma quadrata, grande circa un piede, con un foro rotondo al centro, sulla quale erano incise le seguenti lettere C S F (Cella Sancti Francisci) H O (Hic Oravit) P P E (Predicavit Poenitentiam Egit), ossia “Cella di San Francesco, qui pregò, predicò e fece penitenza”. […] Il Santo arriva a Sant’Agata Feltria, ma non sosta presso l’abbazia camaldolese della Santissima Trinità di Mont’Ercole, né in quella di San Salvatore e neppure nelle case notabili di Sant’Agata Feltria. Va oltre… fino ad imbattersi nell’antica Cella di Fausto, che è posta lungo il percorso che conduce in Romagna e a Bologna, ed è lì che si ferma.

San Francesco, giungendo alla cella, avrà certamente notato la pietra incisa (allora priva dell’iscrizione) con quel semplice segno del tau il cui significato ben conosceva: all’interno troverai l’ultimo degli ultimi. Quale richiamo irresistibile per il Patriarca francescano! La prima riga dell’iscrizione è chiarissima e ci testimonia che fu la cella di san Francesco. Non è quindi immaginabile che il passaggio del Santo si sia concretizzato in una sua breve sosta, appena il tempo per rifocillarsi. L’iscrizione prosegue specificando che pregò, predicò e fece penitenza. Questi tre verbi ci indicano un susseguirsi di azioni non estemporanee di san Francesco in Cella Fausti. Per predicare ci vuole il concorso del popolo. Non fu certamente una predica, perché le popolazioni del rettorato arrivarono scaglionate: dalle più vicine a quelle più lontane. Inoltre, la penitenza non ammette fretta. Il soggiorno del Santo nella Cella di Fausto non fu, dunque, di breve durata.

Il convento di Cellafausti

Pietro Ridolfi da Tossignano, uno degli analisti più accreditati dell’Ordine dei Minori Conventuali, che personalmente visitò il convento e la cella, afferma che non si può stabilire con certezza, sulla base di prove o documenti, chi abbia concesso l’area e il suolo per l’edificazione del convento. Annota che nella campana della chiesa, intitolata alla Madonna, si leggevano queste parole: AVE MARIA, ANNO 1258. A soli trentadue anni dalla morte di san Francesco, dunque, il convento di Cellafausti era già stato costruito. La fusione della campana, posta sul campanile a vela, ci testimonia che il convento doveva essere perfettamente funzionante e con affluenza di popolo, se si era ravvisata la necessità di rintoccare le liturgie della giornata. Lo stesso Ridolfi afferma: “Franciscus pluries oravit, praedicavit, poenitentiam egit”. A nessuno sfuggirà il fatto che sono le stesse parole dell’iscrizione lapidea. Precisa, inoltre, che il convento prese il nome di Cellafausti dalla cella ove abitò il beato padre Francesco e che, in seguito, si cominciò a chiamare con il nome del luogo, Sant’Agata. È, quindi, del tutto evidente che la cella ove il Santo ‘habitavit cioè dimorò senza avervi la proprietà, era quella di Fausto. […] Con decreto napoleonico del 25 aprile 1810 il convento fu soppresso. Caduto Napoleone, nel 1814 Sant’Agata Feltria tornò a fare parte dello Stato Pontificio, Legazione di Urbino, ma i frati minori conventuali non fecero più ritorno. Tutti i loro beni furono venduti, ad eccezione di Rocca Fregoso con annessa chiesa di San Francesco alla Rosa, che furono devoluti alla comunità santagatese per disposizione di papa Pio VII.

Manlio Flenghi