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Il Ponte di San Vito: è o non è il Ponte di Cesare?

Per gli storici riminesi – ad eccezione di Luigi Tonini che se ne era “smarcato” – il Rubicone storico, quello del cesareo dado è tratto, era l’Uso. I colleghi savignanesi, invece, propendevano per il Fiumicino, mentre gli studiosi cesenati puntavano sul Pisciatello. Il ponte romano sul fiume Uso è sempre stato al centro di diverse “diatribe”. Per almeno cinque secoli l’identità di questo fiume ha diviso gli storici. La recente scoperta di un imponente ponte romano di età augustea sull’Uso in località San Vito, ha riaperto le ricerche archeologiche.
A 80 anni dal passaggio da Savignano di Romagna a Savignano sul Rubicone, per volontà di Benito Mussolini, la rivistaAriminum riapre “La questione del Rubicone”. Ci ha pensato lo storico riminese Giovanni Rimondini nell’interessante articolo “Il Ponte sul fiume Uso riapre la questione del Rubicone” (Ariminum, numero 2, anno XX, marzo/aprile 2013) <+nero>a ripercorre i nodi dell’annosa, intrigante vicenda
.

“Con decreto di Vittorio Emanuele III, ma per volontà del Duce, il 4 agosto 1933, Savignano di Romagna diventava Savignano sul Rubicone. Il 10 settembre dello stesso anno, a Rimini si inaugurava la statua di Giulio Cesare, presentato come l’antenato politico del donatore Mussolini. – scrive Rimondini- Sembrava chiudersi con un atto di imperio la secolare questione dell’identità del Rubicone che aveva diviso per cinque secoli gli storici locali dei tre torrenti Uso, Fiumicino e Pisciatello. Per il primo si erano schierati gli storici di Rimini – con la sola defezione di Luigi Tonini – e di Santarcangelo, per il secondo gli storici di Savignano e per il terzo gli storici di Cesena. Il diktat del Duce non aveva e non ha nessun valore storico”. Il passaggio di Cesare sul Rubicone, invece, come rilancia Siegfried Stöhr, ha segnato la storia di Roma e del mondo occidentale. “È stato l’inizio della guerra civile, forse uno dei momenti più studiati della storia, cantato anche da Shakespeare e conosciuto in tutto il mondo tanto che «Cesare» è diventato sinonimo di condottiero (Kaiser, Czar)”.

L’identità
“Oggi gli storici e gli archeologi di mestiere che affrontano il problema dell’identità del Rubicone non si pronunciano affatto per il Fiumicino o per gli altri due torrenti”. Lo storico riminese chiama in giudizio, ad esempio, Gian Luca Bottazzi il quale, preso atto che le “prove” che i partigiani dell’uno o dell’altro fiume hanno presentato lungo i secoli – soprattutto idronomi e toponomi – sono labili e inconcludenti, scrive: «La problematica del confine cesariano tra il suolo italico e la provincia della Gallia Cisalpina (per Plinio:…fluvius Rubico, quondam finis Italiae…) resta pertanto ancora aperta: l’indicazione della fonte è infatti perspicua e specifica cronologicamente e, soprattutto, limitatamente al solo punto di attraversamento stradale del Rubico».

A favore
dell’Uso

Due novità importanti che Rimondini cita ampiamente nel suo testo su Ariminum, hanno riaperto le ricerche scientifiche, archeologiche e storiche, facendo pendere la bilancia in favore dell’Uso. La prima arriva da Oltralpe. “L’archeologo francese Gerard Chouquer, studiando le centuriazioni, ossia le divisioni regolari del territorio di Rimini antica, individuava la prima di tre nel triangolo del conoide del fiume Ariminus futuro Marecchia. – scrive ancora Rimondini – Un triangolo il cui lato ovest è segnato, come da un fossato, proprio dal percorso dell’Uso. Così si potrebbe affermare che dalla fondazione di Rimini nel 286 a.C. al 171 a.C., data dell’arrivo della via Flaminia, sulla quale, a parere dello studioso francese, venne impostata la seconda centuriazione della città antica, il confine della colonia e, forse, dell’Italia, era segnato dall’Uso. Non si tratta di una prova decisiva, ma solo di un indizio a favore e di indizi ce ne sono tanti anche per gli altri due torrenti”.

La novità
Se il confine dell’Uso ipotizzato da Chouquer è più un indizio che una prova, la seconda novità è più importante. Si tratta della scoperta di un ponte antico di età augustea vicino alla pieve di San Vito, monumentale come il ponte di Tiberio di Rimini ma più grande di tre arcate. Spiega Rimondini: “Il ponte giace nell’ansa dell’Uso sotto l’arcata di un ponte medievale distrutto, detta popolarmente «E puntazz»”.
Studi sulla pieve di San Vito, promossi dalla Cassa Rurale e Artigiana di S. Vito e S. Giustina – oggi Banca Malatestiana – e patrocinati dal parroco di San Vito monsignor Giuseppe Celli, “hanno fatto uscire dalla mitologia popolare il ponte antico. Nel 1825 l’ingegnere distrettuale Maurizio Brighenti disegnava una carta con la posizione della testa del ponte antico, di là dall’Uso, dalla parte di Savignano. Tra questa testa e l’arco medievale ci stavano otto o più arcate. Nell’alveo del fiume, in regime di secca, erano visibili i resti di un pilone, massi di calcare chiamati «Le Genghe»sulle quali le donne di San Vito andavano a lavare i panni, prima dell’arrivo delle lavatrici. Infine apparivano numerosi documenti che l’antico ponte era stato una generosa e secolare cava di pietre per le città e le terre circonvicine” .
Nel 2004 la svolta. I giovani archeologi dell’ARRSA (Associazione Riminese per la Ricerca Storica e Archeologica) davano inizio a scavi sotto E puntazz , grazie all’autorizzazione dell’Istituto di Sostentamento del Clero, allora proprietario dell’area, e per conto del Comune di Rimini. “Quello che agli inizi doveva essere un piccolo sondaggio divenne in breve un grande scavo, – rilancia sempre su Ariminum Marcello Cartoceti – fino a quando non fu chiaro che il ponte medievale era stato costruito sui resti di un ponte di epoca romana” .
Sorpresa: un arco del ponte antico augusteo. Rimondini: “Che cosa significa un ponte tanto monumentale su un piccolo torrente? Viene subito in mente che dovesse celebrare il passaggio di Giulio Cesare sul Rubicone, e che il ponte sorgesse forse nei pressi dell’area sacra dove sappiamo il vincitore della guerra civile lasciò liberi i suoi cavalli” .
A ottant’anni dal diktat di Mussolini – «Abbiamo pazientato ottant’anni, ora basta» – la ripresa degli scavi al ponte antico di San Vito potrebbe fornire le prove sicure che l’Uso è stato l’antico Rubicone. “Basterebbe un frammento dell’epigrafe della dedicazione del ponte. – avverte Rimondini – Non è chi non veda l’interesse non solo storico scientifico ma anche turistico, di questa scoperta e della prosecuzione degli scavi” .

Attrezzare un’area
L’obiettivo non è proprio quello di riaprire le vecchie lotte tra storici locali, anzi l’auspicio di Rimondini è che le città interessate formino un consorzio per la valorizzazione dell’area complessiva del Rubicone, un’area da attrezzare anche dal punto di vista turistico.
D’altra parte l’argomento romano, puntualizza ancora lo storico riminese, imperiale stuzzica da sempre il grande pubblico degli Stati Uniti e dell’Inghilterra, paesi imperialisti che si credono, come ha affermato Gore Vidal, eredi dell’impero romano.
L’arco medievale de E puntazz è imponente e merita di essere studiato e valorizzato. Ma anch’esso si porta appresso più d’un interrogativo. “L’arco di San Vito ha una grande luce, ma la larghezza del passaggio stradale è piuttosto stretta, – fa notare Rimondini sempre sulle pagine del bimestrale Ariminum a diffusione gratuita – inoltre si stenta a credere che coprisse tutta l’area del ponte antico. Sarebbe stata poi un’impresa di quale signore? Galeotto, Carlo o Sigismondo Pandolfo? Quest’ultimo si era fatta la fama di distruttore di ponti, per ricavarne materiale litico nobile per il suo Tempio. Ma questa fama fa parte della leggenda nera del Signore di Rimini non sempre meritata”.
Sulla questione interviene pure Siegfried Stöhr, questa volta non come pilota (il riminese ha guidato anche in Formula Uno) ma in veste di appassionato. “La fortunata scoperta di un ponte romano più grande di quello di Tiberio presso San Vito, ci offre l’opportunità di trovare una risposta definitiva e valorizzare il nostro territorio nel mondo” .