Rimini, a livello regionale, ha la retribuzione media annuale tra le più. La scusa? Il famoso “fuori busta”
Numeri alla mano ecco perché l’evasione non può essere la spiegazione del divario salariale e di reddito
Come è oramai noto la provincia di Rimini non è il luogo di lavoro più adatto per aspirare ad avere alte retribuzioni, con le dovute eccezioni. Quella media supera di poco 17.000 euro, che vuol dire 10.000 euro meno delle paghe emiliane e la più bassa nell’intera regione. A far scendere la media è soprattutto il lavoro nel turismo, dove la retribuzione media annuale è poco sopra 8.000 euro, mentre sono più allineati col resto della regione i salari manifatturieri (Inps, anno di riferimento 2023). Con retribuzioni così basse è lecito attendersi che anche le dichiarazioni dei redditi (Irpef) ne risentano. Infatti il reddito medio complessivo dichiarato da un contribuente della provincia di Rimini si attesta, nell’anno fiscale 2023, a poco più di 22.000 euro, quando nelle province emiliane è compreso tra 26.000 e 27.000 euro (Mef). Questo è lo stato dell’arte. Capita però spesso che alla presentazione di questi dati, forse per non volere ammettere che il modello di sviluppo locale ha qualche criticità strutturale, immancabilmente scatta la denuncia al nero di cui si farebbe largo uso nell’economia, in particolare nel turismo e tra gli autonomi, che compenserebbe, se considerata, il divario di cui sopra. Senza voler negare che una porzione di economia sommersa esiste (la propensione nazionale ad evadere di alberghi e ristoranti oscilla tra il 61 e il 75 per cento), come dappertutto d’altronde, è dubbio che questo possa spiegare la differenza per intero. La prima ragione è che il turismo, il primo indagato, è un settore a basso valore aggiunto (la ricchezza creata): 22.000 euro per addetto a fronte di 78.000 nella fabbricazione di macchinari, quindi, per quanto si evada, sono sempre cifre relativamente piccole. È vero che la somma di tante piccole evasioni può fare una grande evasione, ma comunque ce ne vuole ed i controlli sono sempre più stringenti (la caccia dei comuni a scovare gli evasori della tassa di soggiorno ne sono una conferma). È vero, invece, che Rimini registra una maggiore presenza di lavoratori autonomi, seppure in diminuzione: nel 2024 sono il 25 per cento di tutti gli occupati (39.000 in valore assoluto), a fronte di una media regionale del 20 per cento. Comunque, se l’economia non dichiarata, in nero, fosse la spiegazione di tutto, un riscontro lo dovremmo trovare negli Indici Sintetici di Affidabilità fiscale (Isa) di professionisti e imprese, introdotti nel 2018 in sostituzione dei vecchi studi di settore. L’Isa, elaborato dall’Agenzia delle Entrate, ha un valore che varia da 1 a 10: sopra 8 si è affidabili, cioè le dichiarazioni presentate sono abbastanza o totalmente veritiere, sotto non affidabili. In questo spazio, cioè tra i contribuenti non affidabili dovrebbe annidarsi il nero. Quindi, dove c’è più nero, le dichiarazioni con Isa < a 8 dovrebbero essere proporzionalmente più numerose. Avviene questo a Rimini? In provincia il totale dei contribuenti per cui viene calcolato l’Isa sono, nel 2022, circa 22.000, di cui 10.000 persone fisiche (autonomi), 7.000 società di persone e 5.000 società di capitali ed Enti. Tra le persone fisiche ottengono un punteggio Isa ≥ 8, quindi di affidabilità, il 47 per cento; tra le società di persone il 45 per cento; tra le società di capitale ed enti il 37 per cento. Considerando l’insieme risulta così che i contribuenti di Rimini con un indice Isa di affidabilità raggiungono il 44 per cento del totale, grosso modo la stessa percentuale delle altre province regionali, escluso Parma e Bologna che sono due punti sopra. Questo allineamento esclude, quindi, che l’evasione possa essere la spiegazione, per Rimini, del divario salariale e di reddito da cui siamo partiti. Sul fatto, poi, che tra contribuenti affidabili e meno affidabili le differenze esistono, anche a Rimini, è confermato dai redditi medi dichiarati: 68.000 euro le persone fisiche affidabili e 31.000 quelle non affidabili, tra le società di persona 63.000 e 25.000, tra le società di capitali ed enti 109.000 euro e 12.000 euro. Una bella differenza. Come si potrà ben comprendere essere dichiarati affidabili dall’Agenzia delle Entrate non è solo un titolo onorifico, ma comporta dei vantaggi, primo tra tutti l’esclusione degli accertamenti “analitico induttivi” previsti. A parziale discarica dei lavoratori autonomi, anche se il dato si riferisce alle cifre pagate su quelle dovute, quindi accertate, c’è il fatto che su circa 23 milioni di contribuenti italiani che hanno un debito con il fisco solo 2,9 milioni, cioè il 12,7 per cento, svolgono un’attività economica come artigiani, commercianti o liberi professionisti (Cgia Mestre).