Home Cultura Il Museo della città di Rimini compie 30 anni

Il Museo della città di Rimini compie 30 anni

I cent’anni di Federico Fellini. Nel 2020, anno di importanti anniversari, ricorre anche il trentesimo compleanno nel Museo della Città. Un Museo che ha saputo adeguare il suo ruolo da contenitore a promotore culturale, capace di una funzione educativa e sociale al passo con le tendenze museologiche.

Il traguardo sarà festeggiato all’interno della XXII edizione di Antico/Presente, Festival del Mondo Antico, dal 16 al 18 ottobre.

“Oggi festeggiamo il Museo della Città che si presenta come fulcro e nucleo primigenio di un sistema museale in continua crescita e arricchito nel corso degli anni. – l’assessore alla Cultura di Rimini Giampiero Piscaglia Il progetto, oggi, comprende, oltre alla Domus del Chirurgo, il Museo degli Sguardi, che raccoglie collezioni etnografiche con materiali provenienti dai quattro continenti, il Visitor Center, pensato per un approccio multimediale alla storia della città, per arrivare al PARTMuseo di Arte Moderna e Contemporanea e al Museo Fellini che, all’apertura, andranno a completare la proposta museale riminese nel solco della vocazione della città a polo culturale di riferimento del territorio”.

In questi 30 anni il Museo è cresciuto fino a sviluppare un percorso dalla Preistoria al Novecento, di cui protagonista è Rimini con il suo territorio, con la Domus del Chirurgo, un sito di fama ormai internazionale.

Parallelamente, anche il contenitore storico si è dilatato a comprendere l’attigua Ala Nuova, negli ultimi anni sede di tante mostre, laboratori e manifestazioni.

Questo cammino “ha portato il Museo a crescere anche nel rapporto con la Città e con il pubblico delle mostre e delle iniziative rivolte ai linguaggi contemporanei” è sicuro Piscaglia. La vocazione espositiva, a carattere temporaneo del Museo di Rimini, nasce quando ancora il Museo non c’era e si chiamava solo ex-ospedale.

“Colpevoli” le grandi mostre personali di Jannis Kounellis e Lucio Fontana nei primi Ottanta, due grandissimi dell’arte contemporanea. Una stagione irripetibile e che probabilmente dette la spinta alla costituzione del Museo della Città, con al suo interno una estensione più ampia che comprendeva anche le sale di Piazza Cavour e la Galleria dell’Immagine di Palazzo Gambalunga, dove avevano nel tempo esposto i grandissimi della scena fotografica internazionale, tra cui il riminesissimo Marco Pesaresi, per ritrovare un ruolo importante nella costruzione dell’immaginario storico della città.

“Come non ricordare poi le diverse Officine di barilliana memoria, visto che i Musei avevano raggiunto la credibilità di ruolo importante nella regione assieme ai poli di Bologna, Modena, Ferrara e Ravenna?”.

La mostra del Guercino ritrovato (2002), forse la mostra più scenica e raffinata sull’arte del Seicento, rappresenta un apice espositivo.

Più tardi lo stesso Museo ha incrementato i suoi spazi con i tre piani dell’Ala Nuova, la palazzina anni ’30, votata ad essere cantiere permanente e dunque spazio attraente per l’espressione artistica contemporanea.

Poi, più di recente, occorre ricordare le grandi mostre della Biennale del Disegno e della Far (ideate dall’allora assessore Massimo Pulini) in cui il Museo condivideva la scena con i palazzi del Podestà e dell’Arengo. Per terminare con Revolutions di Luca Beatrice, la mostra sugli anni ’80 in cui il Castello riprendeva la scena dopo le grandi mostre passate sui Graffitisti americani.

La storia del Museo

Inaugurato il 12 luglio 1990 a seguito di delicati e impegnativi lavori di restauro del settecentesco Collegio dei Gesuiti, l’edificio sorto fra il 1746 e il 1755 su progetto dell’architetto bolognese Alfonso Torreggiani (1682-1764) è attiguo alla chiesa costruita fra il 1719 e il 1740 in onore di San Francesco Saverio, e rispetta nell’impianto molto semplice lo schemaricorrente dei conventi gesuiti.

Negli anni venti del secolo scorso viene smantellata sia la quadreria che la galleria archeologica. Nel 1924 una “scelta pinacoteca” è realizzata dal Regio Soprintendente conte Francesco Malaguzzi Valeri, nel piano nobile dell’ex convento francescano attiguo al Tempio Malatestiano mentre al 1931 si data l’allestimento al piano terra dello stesso stabile del museo archeologico ad opera di Salvatore Aurigemma seguito quattordici anni dopo dal “lapidario” medievale ad opera di Carlo Lucchesi e di Gino Ravaioli.

I bombardamenti del 1943-1944 distruggono la città e spazzano via completamente anche le belle sale del museo pensato come “Tempio dell’Arte” accanto al Tempio Malatestiano. L’attuale museo nasce dopo ripetute, parziali e precarie sistemazioni, con l’autonomia amministrativa concessagli nel 1968 e con l’acquisizione nel 1979 dell’edificio che per un secolo e mezzo aveva ospitato l’Ospedale Civile, nel cuore della città.

Già nel 1981 nel giardino del cortile interno dell’edificio è realizzata ed inaugurata la sezione del lapidario romano, ordinato all’interno del progetto “Musei Proposta ‘80” coordinato da Andreina Tripponi.

Il lungo, delicato e impegnativo lavoro di recupero dell’edificio principale seguito dell’arch. Pier Luigi Foschi ne ha permesso l’allestimento e la fruizione, a partire dal primo stralcio inaugurato nel 1990 con l’allestimento curato dal prof. Pier Giorgio Pasini.

Il secondo lotto è inaugurato nel 1994, a cinquant’anni esatti dalla distruzione del vecchio Museo, mentre la sezione archeologica nel 2003 ha aperto un primo segmento con protagonisti i secoli centrali dell’impero. Il percorso, ampliato nel 2007 a comprendere il complesso archeologico della Domus del Chirurgo, dal giugno 2010 ospita il patrimonio archeologico testimone del cammino dell’uomo nel territorio dalla preistoria al tardoantico.

Tommaso Cevoli