Home Attualita “Il mio viaggio della speranza”

“Il mio viaggio della speranza”

La sua è una storia di dolore. Di lacrime. Di paura. Ma anche di grande speranza.

Quella di una nuova vita. Per sè. Per la mamma e per i suoi fratelli. Una storia che parte da lontano, dal Gambia, dove è nato. A raccontarla è lui stesso, Boubacarr Sambou, da poche settimane nuovo giocatore della Rimini calcio e protagonista della trasmissione di Rai Uno, I fatti vostri, condotta da Giancarlo Magalli.

Allora, Bouba, partiamo dalle cose più semplici.

“Sono nato a Sifoe il primo gennaio del 2000 e lì sono cresciuto fino a quando non è successo quello che è successo”.

Ecco, ci racconti cosa ha stravolto la tua vita di adolescente?

“La tribù di cui fa parte mio padre prevede, per tutti i figli maschi, una serie di veri e propri riti di iniziazione. Il primo è quello della circoncisione. Un’operazione chirurgica a tutti gli effetti che, se fatta in ospedale, sotto controllo, è una cosa semplicissima, ma fatta in circostanze igieniche insufficienti, può produrre problemi molto gravi”.

Quello che purtroppo è accaduto a tuo fratello, giusto?

“Esattamente. Mio fratello più grande è stato circonciso, ma le cose non sono andate bene. Ha iniziato a stare male, gli è salita la febbre e alla fine è morto e per me è stato un dolore fortissimo. In più la consapevolezza che anche io dovessi fare la stessa operazione mi spaventava tantissimo. Non volevo morire anche io”.

Qui, però, entra in gioco tua mamma.

“Sì, mia mamma, un giorno, mi ha chiamato e mi ha detto: «Figlio mio, devi scappare, altrimenti anche tu potresti avere la stessa sorte di tuo fratello». Mi ha dato un po’ di soldi e mi ha indicato a chi chiedere aiuto. E così è iniziato il mio viaggio”.

Prima tappa, il Senegal.

“Esattamente. Lì sono stato tre settimane. Ricordo che quando sono arrivato non avevo una casa dove andare, dove dormire. Non sapevo dove poter mangiare. Ero spaesato, impaurito. Ho chiamato a casa mia mamma e le ho detto tra le lacrime che volevo tornare in Gambia, ma lei mi ha detto di no. Che mio padre era molto arrabbiato con me e che quindi dovevo continuare ad arrangiarmi.

La fortuna è stata che un giorno, parlando con una persona, gli ho spiegato la mia situazione e lui mi ha presentato un uomo che mi ha portato fino in Mauritania”.

Un altro viaggio non facile, un’altra situazione di disperazione.

“Appena arrivato ho chiesto se c’era un lavoro e mi hanno detto che per i ragazzi come me, scappati dai loro paesi d’origine, c’era lavoro come muratore. E così per sette mesi ho fatto quello, il muratore. Nel frattempo ho anche trovato una sistemazione: in Mauritania c’è una scuola gambese e lì sono stato accolto”.

Sembrava tutto procedesse per il verso giusto, invece…

“Invece un pomeriggio ho chiamato mia mamma, a casa. Non sapevo che in quel momento c’era anche mio padre che ha sentito tutto quello che ho raccontato, ma soprattutto ha capito dove mi trovassi. Una domenica mattina, mentre ero nel dormiveglia, mi è parso di sentire proprio la voce di mio padre. Credevo di sognare, invece, ad un certo punto, qualcuno ha bussato alla porta. Quando ho aperto, davanti a me, c’era proprio lui. Mi ha chiesto perché ero scappato, voleva riportarmi a casa. Ma non ho voluto, ho preso le mie cose e mi sono rimesso in viaggio.

Ho attraversato il deserto per quattro giorni e lì ho davvero avuto paura di morire”.

Ma il peggio doveva ancora arrivare.

“Finalmente sono in Libia, credevo di essere a riparo da tutto. Invece vengo arrestato e sbattuto in carcere per quattro lunghi giorni finché non mi fanno uscire. Vado nella zona del porto e chiedo aiuto, mi dicono che c’è un barcone pronto a salpare verso l’Italia. Mi chiedono dei soldi. Siamo in 150 e partiamo. Un viaggio che non dimenticherò mai, lì ho visto morire donne e bambini. Riusciamo a raggiungere Reggio Calabria e lì la mia vita è cambiata”.

Fondamentale l’incontro con Gianfranco Terranova.

“Certamente, ma prima ho avuto un’altra fortuna. Nel centro dove mi trovavo ho iniziato a giocare a pallone e ho subito impressionato alcune persone che avevano una squadra di calcio. Mi hanno chiesto se volessi giocare con loro e ho detto sì. Proprio durante una partita in Prima Categoria, Gianfranco (l’attuale suo procuratore, ndr) mi ha notato e da lì mi ha preso sotto la sua ala protettrice che mi ha portato fino a Rimini”.