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Il maestro di Rimini, storia e mistero

Alabastro e maestria. Tecnica e leggerezza. Minuzia e irrealtà. Siamo agli inizi del Quattrocento quando questi ingredienti si impastavano tra le mani di uno scultore sapiente per realizzare opere d’arte d’impareggiabile bellezza di cui Rimini è una delle poche testimoni italiane. Peccato che di lui restino poche tracce e un solo grande interrogativo: chi è quel virtuoso scultore? Viene chiamato Maestro di Rimini, ma in realtà ci troviamo di fronte a un’entità più che a una persona unica, forse una bottega quattrocentesca composta da più persone. Opere del Maestro di Rimini sono sparse per tutta Europa, la loro bellezza e qualità sono apprezzate fin dall’antichità. Eppure, di lui (o della sua bottega), si è persa ogni traccia, tanto che storici dell’arte e ricercatori, da anni dibattono sulla sua identità e provenienza, formulando ipotesi sulla sua permanenza a Rimini e sui percorsi che le sue statue dovettero compiere per l’intera Europa. Quel che è certo è il grande valore artistico dello scultore, la cui maestria nello scolpire l’alabastro, materiale delicato ed estremamente difficile da lavorare, era stata riconosciuta e apprezzata già in tempi antichi.

La presenza
a Rimini

È ancora possibile ammirarne l’unica opera sopravvissuta a Rimini: il magnifico gruppo scultoreo noto come Pietà o Madonna dell’Acqua. Si trova nel Tempio Malatestiano, all’interno di una nicchia nella prima cappella sinistra. Si tratta di un’opera di grande qualità stilistica in cui è possibile rintracciare alcuni elementi distintivi che ne hanno permesso l’attribuzione al Maestro di Rimini: una grande attenzione ai particolari e nello stesso tempo, il respiro idealistico delle forme. Le stesse caratteristiche individuano l’altra opera del nostro Maestro, quella forse più grandiosa:l’Altare di Rimini, ora al Museo Liebieghaus di Francoforte sul Meno. Costruito molto probabilmente per la chiesa di Santa Maria delle Grazie attorno al 1430, l’opera venne venduta dai Frati Francescani nel 1910 a un antiquario romano che ne trattò poi la vendita al Museo tedesco. L’Altare è costituito da un Calvario attorniato dai 12 apostoli. Le statue, alte una quarantina di centimetri sono contraddistinte da quella contrapposizione tra realismo e idealismo delle forme che è proprio del Maestro e che ne costituisce non solo un tratto distintivo, ma anche un livello di grandissima qualità espressiva. In quel loro atteggiarsi in pose irreali, nelle espressioni patetiche perdute nel vuoto; queste figure evocano un contrasto così interessante – con quel panneggio delicato e particolareggiato che costituisce le vesti – da raggiungere un’armonia e un’espressività senza precedenti nella scultura alabastrina di quell’epoca. Impareggiabile per intensità e bellezza, dunque, questo altare ora esposto al museo di Francoforte, conta un solo simile in Italia. Si tratta dell’Altare dell’Umiltà, unica altra opera dell’anonimo scultore, oggi conservata all’interno delle collezioni Borromeo sull’Isola Bella (Stresa) e proveniente da Santa Maria in Podone a Milano. L’opera reca addosso quelle stesse caratteristiche connaturate alla mano del Maestro, pur non eguagliando la grandiosità dell’Altare di Rimini. Francesca Nanni, storico dell’arte riminese ha contribuito in modo determinante, con le sue ricerche, a far luce su questo artista, virtuoso quanto difficile da collocare, pubblicando un saggio “Il Maestro di Rimini: una traccia”, pubblicato nella storica rivista ”Romagna, arte e storia”, numero 80.

Le ipotesi
sulla vita
Pare che il Maestro di Rimini fosse originario di una regione compresa tra la Francia e il Belgio e in particolare di una zona tra Tornai e Lille e non di origine tedesca come invece si riteneva fino a pochi anni fa. Molto probabilmente, il nostro Maestro era titolare di una bottega quattrocentesca organizzata sul lavoro di più scultori, ma guidata da un’artista più virtuoso degli altri, il capo-bottega, ruolo probabilmente di appannaggio del Maestro. In quell’epoca (prima metà del Quattrocento), le statue in alabastro erano in voga in tutta Europa e venivano commercializzate in gran quantità nei mercati delle principali città. Questo spiegherebbe le dimensioni ridotte delle statue che compongono i 2 altari italiani (di Rimini e dell’Umiltà), costruite appositamente con caratteristiche idonee al trasporto su lunghe tratte. Poi, in seguito alla Controriforma Cinquecentesca, che causò la distruzione di ingenti quantità di opere d’arte in tutto il nord Europa risparmiando però l’Italia, le opere del Maestro andarono in gran parte distrutte. Questo spiegherebbe come in Italia, gli altari in alabastro siano potuti arrivare integri ai giorni nostri. Ciò nonostante, restano molti interrogativi circa l’effettiva presenza del Maestro a Rimini. Le opere potrebbero essere state spedite dal nord Europa, come indicherebbero le piccole dimensioni delle statue. Ma non è facile spiegare come una città come Rimini, legata da vincoli storici e artistici alla tradizione veneziana e orientale abbia guardato al nord Europa per l’acquisto di opere in alabastro. Secondo le ipotesi formulate dalla Nanni, fu proprio il legame tra i Borromeo, signori di Milano e francofili per tradizione, e Galeotto Roberto, signore di Rimini all’inizio del Quattrocento, a determinare quel “contagio” stilistico responsabile della comparsa, entro le mura del Santuario delle Grazie del dibattuto altare. Della collocazione originaria resta una testimonianza dal Malazzappi precedente al 1580, dopo la quale pare essere sceso sul gruppo scultoreo, un silenzio profondo delle fonti. Che l’altare sia stato successivamente spostato dalla sua dimora originaria? O semplicemente, col passare del tempo, le statue in alabastro sono passate di moda? Allo stato attuale delle conoscenze, non è possibile risalire alla verità. Certamente, col tempo, le statue sono state ricoperte da una patina nera che probabilmente ne impediva il riconoscimento e la giusta considerazione. Un ingannevole travestimento, tanto più se pensiamo che l’alabastro di cui erano costituite non solo era ed è ancora un materiale traslucido e delicatissimo, ma all’epoca doveva recare impressi i segni policromatici della pittura: orli vestali dorati, pupille colorate, rosso porpora sulle labbra e sul costato di Gesù.
Grande patrimonio artistico, quello lasciatoci in eredità dal Maestro di Rimini, testimone di un tempo lontano in cui Rimini ferveva di interessi culturali e si inseriva con successo nel panorama nord europeo.

Romina Balducci