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Il latino secondo il dialettofono Sanchini

La poesia settimanale offerta dal nostro amico, poeta ed esperto dialettale Vincenzo Sanchini.
Nato a Cerreto di Saludecio, Sanchini ha insegnato lettere nella Scuola Media ed è stato anche preside. Collabora da anni con ilPonte, ed è nella giuria del “Concorso Presepi” che ogni anno ilPonte indice.
Ha pubblicato moltissimi libri, tra cui il fondamentale La pulénta te’ pèz (Guiducini e Rosa, Bologna, 1981), Le mani ruvide, in collaborazione con G. Valeriani e G. Frisoni (La Stamperia, Rimini 2007), Vanga e sapa. Attrezzi e oggetti della vita contadina (Panozzo Editore, Rimini 2007), e L’ultma név (ilPonte Rimini, 1996).
Gli intermezzi semidialettali verucchiesi del Settecento, libro che ha curato insieme a Lisetta Bernardi ed Ennio Grassi l’editore Pazzini di Verucchio, ha vinto il premio Salva la tua lingua locale, promosso e organizzato dall’Unione nazionale pro loco d’Italia e dalla Lega delle autonomie.

La poesia della settimana è dedicata – in dialetto – al latino.

 

 

U latìn                                           Il latino

 

  1. Sce, la stèsa ch’a savìn Si, la stessa che sappiamo

per li lèngue, ‘na famèa,                          per le lingue, una famiglia,

                                                                         (lingue romanze o neolatine)

che ‘na masa li s’armèa;                           che molto si assomigliano;

a capesc ch’l’è ròba d’ scòla,                   capisco che è roba di scuola,

mò amènch chèca paròla…                     ma almeno qualche parola…

  1. In origine un dialetto

sol di Roma è presto detto                      “…e non si estendeva al di là della

che la destra si lambiva                           riva destra del Tevere” (pag.92 – op. cit.)

là del Tevere la riva

poi latino diventato

quando il fiume ha oltrepassato.

  1. Bèh, mò Roma già ch’ai sin Bèh, ma Roma già che ci siamo

cus ch’la j éntra su latìn?                         cosa c’entra col latino?

Che da Remne s’ ha rimnés,                     Che da Rimini si ha riminese,

nò el nom d’un ènt paés,                          non il nome di un altro paese,

ancà se ma la Rumagna                           anche se alla Romagna

a savìn ch’u s’acumpagna.                       sappiamo che si accompagna.

  1. In effetti così è stato,

dall’etrusco (?) derivato,                         “…l’opinione più verosimile è che Roma

con quel Ruma nobiliare                         (e quindi Romulus e Remus della leggenda)

Rumon, Tevere, a indicare;                     derivino da un gentilizio etrusco Ruma

Remo e Romolo a seguire                                   e che

fico e nome han da spartire                     il ficus ruminalis, sarebbe stato l’albero di fichi sotto

e romana la parlata                                  cui la lupa avrebbe allattato Romolo e Remo.”  (pag. 92)

di quel centro certo è stata.

  1. Mò insèma stu rumèn                            Ma insomma questo romano

senza armana è che dli stmèn,                 senza rimanere qui delle settimane,

s’po savé cum l’è dvintèd                         si può sapere come è diventato

cu latìn… ch’a n’ho amparèd?                quel latino… che non ho imparato?

  1. Latium detta la regione

di cui Roma fa un boccone                     “Latium”, potrebbe significare “paese piano”

coi Latini assoggettati                             in opposizione alla montuosa Sabina.  (pag. 92)

“socii” poi considerati

 

e latino è derivato

dal toponimo… citato.

 

  • Bibliografia: Carlo Tagliavini, Le origini delle lingue neolatine, Patron editore, Granarolo dell’Emilia (BO), 92.