Home Storia e Storie Il giro del mondo in 80 note

Il giro del mondo in 80 note

Il giornalista (e scrittore) Gianni Brera del Guerin Sportivo amava definire gli italiani un popolo di poeti, santi e navigatori; io vi aggiungerei di cantanti e non mi è difficile dimostrarlo, citando, tra gli altri, Tito Schipa, Beniamino Gigli, Enrico Caruso, Maria Callas, Renata Tebaldi, Giuseppe Di Stefano. Rimini, a tal proposito, può vantare un’ugola d’oro che dette prestigio alla città e alla riviera. Si tratta di Marina Polazzi, un’artista del primo Novecento che merita di essere ricordata per i suoi successi artistici nazionali e internazionali. Con varie ricerche e consultando anche il fondo “Lettimi-Francolini” della Gambalunghiana di Rimini, ho così ricostruito la sua storia.

Marina
agli esordi

Marina Polazzi, figlia di Nicola detto Murgaia, albergatore, e di Elvira Varischi, nacque a Rimini nell’ottobre 1892 ed entrò in quella schiera ruggente dei cantanti lirici degli anni’30 che animarono il capitolo più affascinante della storia del teatro lirico. Dopo essersi diplomata in pianoforte al Conservatorio di Bologna, fu allieva del famoso tenore Franco Mannucci.
Il suo esordio,come cantante, avvenne in occasione di un concerto di beneficenza tenuto ii 23 febbraio 1913 nel teatro Vittorio Emanuele II di Rimini, ora teatro GaIli. Dotata di una voce bellissima, dalle tonalità fresche e vibranti, cantò stupendamente alcune romanze, tra cui l’aria dei gioielli del Faust, il racconto di Mimi della Boheme e l’Andrea Chenier, tanto da entusiasmare il pubblico che le attribuì fragorose ovazioni con richieste di bis. In quella occasione l’orchestra che l’accompagnava, formata da quaranta esecutori, tutti riminesi, era diretta dal giovanissimo maestro Aldo Cima. Anche la stampa le presagì un brillantissimo avvenire: il Corriere riminese del 26 febbraio, del concerto scrisse: “Riguardo alla Signorina Polazzi diciamo che con i mezzi vocali che possiede, col metodo di canto eccellente che ha, diverrà un’artista di prim’ordine”. Mai nessun presagio fu così veritiero: infatti, grazie al suo talento, iniziò addirittura la carriera lirica al Regio di Torino, il 16 gennaio 1914, interpretando la parte di Elsa nel Lohengrin. I giornali la lodarono e l’incoraggiarono, mettendone in evidenza l’eccezionale voce, la grazia, il possesso di scena e l’impeto drammatico.

Il ritorno
a Rimini

II 29 novembre 1914 ritornò nel teatro riminese Vittorio Emanuele, per un grande concerto pro disoccupati. Due anni dopo, il 1° marzo 1916, si presentò al Mariani di Ravenna nell’Andrea Chenier. E la critica le fu ancora favorevole. Scrisse il Corriere di Romagna: “Se è vero quel che scrive il divino artefice di melodie, Vincenzo Bellini, che delle opere teatrali e della interpretazione d’esse il supremo giudice è il pubblico, Marina Palazzi non poteva aspirare a giudizio più lusinghiero perché esso fu sereno e spassionato e lontano dall’essere influenzato da aristarchi prezzolati”.
Le scritture successive portarono la Polazzi in giro per l’Italia e l’Europa: la riminese fu infatti a Bologna, l’8 gennaio 1923, dove fornì una prestazione esaltante neIl’Irisdi Mascagni, tanto che il cronista del Resto del Carlino così scriveva sul suo giornale: “La Polazzi è un ottimo elemento, una protagonista che canta ed interpreta con arte ed intelligenza, sapendo ricavare tutti i migliori effetti dalla sua parte, difficile e veramente di grande impegno, tanto che fu applaudita particolarmente nell’aria della Piovra, nel secondo atto”.

In giro
per il mondo

Il suo tour toccò poi Corfù, Taranto, Brindisi, Bari, Verona, Novara, Faenza, Pola, Milano, Rotterdam, Malta, Rovigo, Messina, Chieti, Napoli, Salerno. Al teatro di quest’ultima, l’interpretazione di Butterfly del 12 marzo 1924, fu potente e brillante. Fu applaudita a scena aperta e costretta a bissare la romanza del secondo atto e riscosse il consenso incondizionato del Mattino, della Tribuna del Messaggero e del Risorgimento Salernitano che la osanna con queste parole: “Ella che ha tutto che parla di giovinezza, di leggiadria, di beltà, ha un’anima artistica riccamente canora, Parimenti si è intellettualmente e sensibilmente compenetrata nella dolorosità della piccola creatura giapponese, riuscendo a delinearne con precisione non comune l’individualità psicologica cosicché il piccolo e commovente dramma femminile parve realmente vissuto”. Il grande compositore Puccini addirittura le inviò un telegramma in cui si felicitava con lei, additandola come la migliore interprete femminile della sua opera. Ormai le porte dell’America erano aperte per la Polazzi. Infatti nel 1924 si recò prima in Argentina, poi in in Cile, mentre in Perù cantò l’Andrea Chenier, la Boheme, la Butterfly, Iris, Mefistofele. Fu anche a New York nel settembre 1925 e qui il teatro per vari giorni andò esaurito, perché tutti volevano ascoltare l’italiana dal canto possente e personalissimo. Grandi successi riportarono infatti le sue interpretazioni di <+cors>Faust<+testo_band>, Pagliacci e Carmen.

Il ritorno
in Italia

Ritornata in patria, nel marzo del 1930, ebbe un grandissimo successo al teatro “Grande” di Brescia, ove interpretò Violetta nella Traviata. In questa occasione, il critico teatrale del giornale Il popolo di Brescia così si esprimeva su di lei: “Alla rappresentazione di ieri abbiamo sentito nella parte di Violetta, in Traviata, il soprano Marina Polazzi che ha saputo, fin dalle prime scene conquistarsi le simpatie del pubblico. Applaudita con convinzione e calore in tutti i punti salienti della sua parte, per la gradevole voce dai lunghi acuti e per l’appropriata scena, ella è stata oggetto di ammirazione ed evocata più volte al proscenio, dopo aver colto applausi a scena aperta”. Ormai era sempre in tournée e spesso all’estero: in Europa fu chiamata a Lisbona. Qui eccelse in Otello, Pagliacci e Mefistofile. Tutti i teatri la volevano in cartellone, per cui fu a Pola, a Lecco,a Bologna, a Vicenza, a Savona, a Livorno. Il Corriere della Sera, l’Ambrosiano, il Popolo d’Italia del 27 dicembre 1932 sono unanimi nell’esaltare le sue prestazioni e le sue non comuni doti canore. Un grande successo ottenne il 16 gennaio 1933 anche al “Puccini” di Milano, con una superba interpretazione dell’Andrea Chenier di Giordano, tanto che il quotidiano La Sera descrisse la Polazzi come “una dolce Maddalena che sa trasfondere nel suo canto fresco e nitido, un bell’impeto di passionalità”. Cantò, nella sua brillante carriera, sotto la direzione del grande Mascagni, di Serafin, di Del Campo, di Morelli ed ebbe accanto a sé i più famosi artisti di allora tra cui Bernardo De Muro e Aureliano Pertile. La Marina riminese, per i suoi grandi meriti canori, fece parte di quell’aristocrazia interpretativa che segnò l’affermarsi di uno stile inconfondibile del melodramma, patrimonio prezioso ancor oggi per i nuovi cantanti.

L’abbandono
Tuttavia, per gravi ragioni familiari, dovette anzitempo abbandonare la sua fulgida carriera nel 1940, anno in cui si stabilì a Milano. Anche lontana dall’appassionante palcoscenico teatrale, per la sua natura sensibile, per la spontanea partecipazione ad ogni fatto che si manifestasse come espressione d’arte e di poesia, Marina Polazzi, fino agli ultimi istanti della sua vita, umilmente e con la nobile semplicità della vera artista, mantenne viva la passione per il melodramma che riusciva ad esaltarla e a commuoverla sempre. Ormai ammalata, presa dalla nostalgia, tornò in Romagna pochi mesi prima di morire e si spense, in una casa di riposo a Riccione l’11 dicembre 1965. Il suo ultimo desiderio fu di essere avvolta nel variopinto kimono di Cio-cio-San, la tenera e dolorante creatura pucciniana. Ed anche sulla tomba, nel cimitero civico di Rimini, ella è ritratta nella veste, nell’acconciatura e con gli ornamenti giapponesi, quasi a voler dire che il sorriso e le lacrime di Butterfly erano e saranno sempre parte viva della sua anima.

Enrico Morolli