I media, spesso, lo chiamano “fiscal drag”, ma in italiano si pronuncia drenaggio fiscale. Cosa vuol dire? Lo spiega molto bene l’economista Francesco Giavazzi, sul “Corriere della Sera” del 18 ottobre scorso.
“Se un cittadino nel 2022 guadagnava 40.000 euro lordi l’anno, e quello successivo avesse guadagnato 4.000 euro in più (un aumento del 10%), il suo potere d’acquisto sarebbe rimasto invariato perché non solo gli stipendi, ma anche tutti i prezzi erano saliti del 10%. Con una differenza però: superando i 40.000 euro di reddito imponibile sarebbe passato ad un’aliquota più alta e avrebbe pagato più imposte.
E anche se l’inflazione è salita solo per un anno, il 2023, la pressione fiscale non è ridiscesa, perché il livello dei prezzi smette di salire quando l’inflazione si ferma, ma non scende. Da un paio d’anni (2021-2024) questo ‘giochino’ fa sì che i cittadini, a parità di beni e servizi acquistati, paghino, e lo Stato incassi, 25 miliardi di euro in più all’anno (senza considerare le addizionali regionali e comunali), dei quali solo 17 sono stati restituiti con la riforma fiscale”.
Un bel salasso che spiega bene l’aumento della pressione fiscale (rapporto tra entrate tributarie e contributive sul Pil) dal 41,3 del 2023 al 42,6 % del 2024. Che probabilmente salirà ancora nel 2025.
La giornalista Milena Gabanelli, nel suo Dataroom, sempre sul Corriere, del 27 ottobre, porta qualche esempio concreto. Partendo da un aumento dei prezzi cumulato del periodo 2019-2025 del 20,6% un insegnante di scuola superiore, al netto di un aumento dell’8,9% del suo stipendio e dei recuperi per le riforme fiscali introdotte, ha avuto una perdita di 2.307 euro; un commesso con gli stessi calcoli si è visto decurtato lo stipendio di 933 euro, un responsabile vendite di 1.683 euro. Nel 2019 la retribuzione media annuale di un lavoratore dipendente riminese era di poco sopra 16.000 euro (Inps), per mantenere lo stesso potere d’acquisto, oggi dovrebbe aggirarsi intorno a 20.000 euro, invece è ferma a circa 18.000 euro. Sono soldi, come si usa dire, che spiega bene il calo dei consumi, compreso quelli turistici. Se, per tornare ai conti di Giavazzi, via drenaggio fiscale, lo Stato ha incassato 8 miliardi di entrate in più, al netto delle restituzioni, i 4,7 miliardi tra riduzione del carico fiscale sul lavoro e riduzione delle aliquote irpef previsti nella manovra 2026 del Governo, a questo punto sono solo una parziale restituzione di quanto già incassato, senza che ci fosse stato un reale aumento della ricchezza disponibile delle famiglie. Che non solo consumano, ma risparmiano anche meno.

