Il destino di quell’Unione

    In questi tempi di dibattiti politici torna alla ribalta il discorso che gira intorno all’Unione dei comuni della Valconca, alla sua realtà attuale e al suo destino che può essere il rilancio o la dissoluzione. Non si deve pensare che l’argomento sia stato indebitamente introdotto tra quelli che riguardano la politica nazionale e lo scontro tra le principali coalizioni che si candidano alla guida del Governo, in realtà si tratta di un segnale di avvio della lunga stagione che porta alle elezioni amministrative in quasi tutti i comuni. Tra un anno, infatti, si vota in 8 dei 9 municipi della vallata interna (rimane escluso solo Monte Colombo) ed è certo che l’Unione e le sue prospettive saranno uno dei principali temi di confronto tra partiti e liste.
    In queste ultime settimane sono apparsi sui giornali interventi di segno diverso: c’è stato chi ha proposto di sciogliere l’Unione a 9 ricostruendone una nuova a 4 attorno a Morciano (Garattoni della Lega nord), chi ha suggerito di cominciare a lavorare per lo scioglimento degli attuali comuni trasformandoli in municipi dopo aver delegato proprio all’Unione le competenze comunali (Berselli, il senatore di AN che è anche sindaco di Montefiore), chi ha semplicemente ricordato che bisogna smettere di boicottare l’Unione della Valconca che esiste e andrebbe rilanciata e portata al livello delle altre esperienze simili che ovunque funzionano (Battezza, ex sindaco di Montefiore e coordinatore del PD nella vallata).
    Si tratta di opinioni molto distanti ma non estemporanee, tutte hanno una loro storia. Quella di Garattoni ripropone la primissima forma di Unione, nata a metà degli anni Novanta con Morciano, San Clemente, Montefiore e Gemmano, che ha rappresentato un passaggio intermedio tra le originarie proposte teoriche, e quella che divenne di fatto l’Unione successiva: poco più di un consorzio tra enti locali per la gestione di pochi servizi. In un decennio di vita l’ente sovracomunale (a 4 come a 9) si è come paralizzato tra gelosie campanilistiche, casi (o sospetti) di prevaricazioni e veti incrociati. Basti ricordare questioni come il PRG di vallata e, collegate ad esso, le aree a destinazione produttiva, poi la snervante vicenda della RSA (ancora non conclusa) il carico polemico che ha contribuito ad innescare la lunga serie di scontri interni tra sindaci e forze politiche che ha portato, ad esempio, a dividere la polizia municipale da poco accorpata.
    La proposta di Berselli tornerebbe proprio alla prima ipotesi di Unione così come prevista dalle norme all’inizio del decennio scorso, quella che prevedeva dopo 10 anni la fusione dei comuni associati con l’eventuale mantenimento di “sottocomuni”, i municipi, con “sotto competenze” delegate dal nuovo unico ente comunale. Proprio quello che nei vari paesi fece nascere immediate e radicali opposizioni all’intera operazione e che rallentò la nascita dell’Unione a 9, una cosa che si ripeterebbe quasi sicuramente nel prossimo futuro!
    Anche perché se molti tra gli stessi primi cittadini e gli esponenti delle forze politiche locali ritengono che l’Unione sia un “malato terminale”, su che cosa si potrebbe tornare a lavorare insieme? Battezza accusa gli amministratori di non credere abbastanza nell’Unione, in particolare quelli che le hanno paralizzato l’attività dopo averle tolto importanti servizi e competenze invece di aggiungerne di nuove, come succede nelle altre 290 presenti in tutta Italia e che al contrario della nostra funzionano, e bene.

    Maurizio Casadei