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Il confine sottile della schiavitù

Nel parlare del fenomeno della prostituzione cinese bisogna fare molta attenzione. A porsi il problema – seriamente e scrupolosamente – per primi sono stati i relatori del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro quando hanno redatto nel 2011 il Rapporto Criminalità organizzata cinese in Italia.
La difficoltà di inquadrare questa forma di sfruttamento nel “normale” alveo della prostituzione si muove lungo un filo sottile, e comincia già nel momento in cui i cinesi (e le cinesi nello specifico) raggiungono i paesi europei. Su quel filo si muove la differenza tra smuggling e trafficking. Nel primo caso si instaura una relazione contrattuale tra il migrante e il trasportatore, con il migrante che conosce già l’attività che verrà a svolgere in terra d’Europa; mentre nel caso del trafficking si manifesta lo sfruttamento della persona una volta che il viaggio è finito, con tanto di indebitamento con l’organizzazione criminale, il coinvolgimento dei familiari rimasti in patria, e il classico leit motiv della riduzione in schiavitù e dell’assoggettamento ad una “mafia”. Anche qui la dicotomia andrebbe analizzata più affondo per capire se la consapevolezza e il consenso delle donne che arrivano in Italia sapendo già di fare le prostitute sia una via di fuga piuttosto che una scelta valutata e ponderata.

Esiste anche un altro fattore da non trascurare, che fa storcere il naso e fa venire qualche perplessità ed è un fattore di tipo culturale. Qui la prostituzione (quando si tratta di adesione consapevole) è vista come un’opportunità di fare carriera, di arricchimento e di miglioramento del proprio status sociale ed economico. Queste donne – sino a qualche anno fa signore mature, oggi ragazze più giovani – fanno la gavetta in attesa di diventare delle maitresse. Questo era vero soprattutto sino a qualche anno fa quando il fenomeno della prostituzione cinese era relegato ai famosi centri massaggi e prevalentemente coinvolgeva maschi della stessa nazionalità. In seguito i centri si sono aperti anche alla clientela italiana e una maggiore crescita della potenza delle organizzazioni criminali cinesi in Italia ha portato le donne in strada e favorito la nascita del fenomeno delle schiave prostitute (se ne parlò per la prima volta nel 2007). Arrivano dal Nord-est, antica Manciuria, e sono costrette a lavorare a ritmi impressionanti marchiate come animali (è stato scoperto durante un’operazione di polizia a Milano. Sono state prelevate donne marchiate a fuoco con simboli diversi, per indicare l’appartenenza alle organizzazioni), stuprate, scambiate come figurine e trattate come oggetti.
In tutto questo si insinua la consapevolezza che questi cambiamenti, che noi identifichiamo in un diverso identikit della prostituta cinese e del modo in cui opera, siano dovuti ad un maggior radicamento delle mafie cinesi in Italia. Per strada questi criminali se la devono vedere con le organizzazioni nigeriane, albanesi e rumene storicamente più radicate su tutte le “piazze” della prostituzione italiana e le località della Riviera non fanno eccezione.
Dal lavoro autonomo all’organizzazione criminale il passo è stato breve. I fiancheggiatori sono spesso italiani che si prestano alla logistica: affitto di appartamenti, gestione delle necessità delle ragazze, spostamenti etc… La peculiarità dell’organizzazione è quella di spostare, a rotazione le ragazze negli appartamenti e di utilizzare gli stessi appartamenti per altre attività. Questo mette i bastoni tra le ruote agli inquirenti che possono ritrovarsi con un pugno di mosche tra le mani quando davanti ad un appartamento segnalato per un via vai sospetto si ritrovano una famiglia di onesti cinesi. Passaggio di abitazioni, passaggio di affittuari, cambio di indirizzi e di attività, in poche parole: impossibilità di essere intercettati.
Tra le prestazioni più richieste i balletti erotici con musica orientale (prediletti dai connazionali delle ragazze) e prestazioni sessuali senza preservativo. I prezzi vanno dai 15 ai 100 euro per appuntamenti di un’ora. Ogni ragazza può “rendere” alla mafia cinese un migliaio di euro al giorno, l’80% resta nelle mani della maitresse, 5 o 6 le ragazze per ogni appartamento. I clienti vengono reclutati attraverso annunci nelle riviste specializzate, sui siti internet o con il passaparola. Quest’ultimo funziona soprattutto tra i clienti cinesi che frequentano locali e ristoranti gestiti dai loro connazionali.

Angela De Rubeis