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Il Cavaliere di Rimini

BORGO SAN GIULIANO. Sulla facciata della Trattoria La Marianna è presente ancora oggi un curioso bassorilievo in marmo: si tratta del ‘cavàl dla paranghéla’, la cui storia affonda le radici in epoca romana e ricorda un romanzo d’avventura

Un antico sarcofago con l’effigie di un cavaliere misterioso, che viene trafugata da una ciurma di marinai e ‘nascosta’ in bella vista sul muro di una locanda.

Sembra la trama di un classico romanzo di avventura, ma si tratta, invece, della storia del ‘Cavaliere di Rimini’. Conosciuto in città come E’ Caval dla Paranghela, si tratta di un piccolo bassorilievo su marmo che raffigura una persona a cavallo: da ciò che è noto, parliamo di un elemento artistico proveniente da un sarcofago di qualche sepoltura di epoca tardoromana che, secondo i racconti tramandati a Rimini, sarebbe stato rubato durante il Medioevo (come spesso accadeva) da un gruppo di marinai riminesi che, poi, lo avrebbero portato nel Borgo San Giuliano, dov’è presente ancora oggi. L’opera, infatti, si trova nella facciata della storica Trattoria della Marianna: ed è proprio attraverso la storia di questa trattoria che possiamo scoprire di più della vicenda del ‘Cavaliere di Rimini’. Nello specifico, la vicenda è raccontata nel libro J Anvùd dla Marianna – Una vetrina sul Borgo San Giuliano, di Roberto Balducci (Panozzo Editore, 2018), di cui riportiamo di seguito un estratto.

“Durante l’estate in cui Roby aveva compiuto otto anni, in una serata calda e afosa come a Rimini capita spesso, era giunto alla Trattoria Marianna un signore americano con moglie e figli appresso. Era un uomo dai capelli brizzolati, di aspetto ancora giovane, dinoccolato e distinto.

Aveva un’aria un po’ professorale, ma i modi dell’uomo d’affari. La moglie che lo accompagnava era una tipica signora americana degli anni Cinquanta, come quelle che si vedevano nei film hollywoodiani. […] I figli erano due ragazzotti ben nutriti, sui dodici e quattordici anni, con capelli chiari a spazzola taglio Marine, chiassosi ma disciplinati e attenti.

Si sedettero nel piccolo giardino esterno, recintato in legno, in un tavolino accostato al tronco di pino, sul lato della piazzetta Ortaggi, proprio di fronte al cavallo della paranghela, il bassorilievo romano da sempre presente sulla parete esterna anteriore della trattoria. E fu proprio quest’ultimo ad attirare, quella sera, il distinto americano alla Trattoria Marianna. […] La piccola lampadina, posta sopra il bassorilievo marmoreo, lo illuminava in maniera modesta, creando delle lunghe ombre in cui si perdevano i contorni del cavallo e del cavaliere. Però, allo stesso tempo, quella luce fioca ne esaltava il senso di mistero e di remoto, dandogli ulteriore fascino. Il ‘professore’ parlava, gesticolava, lo indicava insistentemente ai suoi ragazzi e a sua moglie. Poi tirò fuori una grossa macchina fotografica, di quelle a forma di scatola, in cui si guarda dall’alto.

Armeggiò con questa per un bel po’, poi una esplosione di lampi ripetuti e improvvisi da tutti i lati[…] Ben

presto questo trambusto attirò l’attenzione dei commensali dei tavoli vicini, ma anche quella di Filiberto, pronto con l’occhio da dietro il bancone della trattoria. «Va là!

Vai a vedere cosa combinano quei ‘tedeschi’ là di fuori!» disse rivolgendosi alla giovanissima Lucia e indicandoli con l’indice destro teso. «I signori vogliono cenare? Si accomodino seduti…» si presentò rapida la Lucia. « All right, mangiare» gesticolò l’americano con la mano socchiusa a cucchiaio accostata alla bocca. « But tu vendere, how much… quanto costare roman stone? » chiese l’americano. «Ma perla italien, giargianes, a nò capì gnint!» rispose Lucia nel suo dialetto verucchiese. «Filiberto! Pino!

Vnì vo a parlè sa sti sgnour» gridò poi ai più attempati ed esperti conduttori del locale.

Ben presto si radunò una nutrita delegazione di persone attorno al tavolo degli americani. Fra inglese, italiano maccheronico, dialetto riminese si iniziò una curiosa conversazione alla fine della quale si riuscì a capire che gli ospiti stranieri, oltre a cenare, volevano acquistare a tutti i costi il cavallo della paranghela. Avevano offerto un milione di lire più le spese per ripristinare il muro. Pino e Filiberto dovettero sudare le proverbiali sette camicie per rifiutare l’offerta e spiegare che la lapide romana era un monumento, tutelato dalla Sovrintendenza delle Belle Arti. Non era di loro proprietà, ma dello Stato italiano. Non si poteva vendere, si rischiava la prigione. Era come vendere, in piccolo, il Colosseo o la Statua della Libertà. Finalmente gli americani capirono e, delusi, chiesero: «Oh! Peccato! You know, conosci store… bottega… dove posso comprare statua romana?». Nel dopoguerra capitavano spesso richieste del genere da parte di ospiti stranieri. Ma, storicamente, che cos’è di preciso sto cavàl dla paranghèla? Per molti addetti ai lavori è noto come ‘il cavaliere di Rimini’, per i vecchi abitanti del borgo San Giuliano è meglio conosciuto, appunto, come e’ cavàl dla paranghèla, per i più, turisti e riminesi delle ultime generazioni, è misconosciuto e ignorato”.

L’oggetto

“È un’antica pietra romana, scolpita in bassorilievo, con l’effige di un antico cavaliere togato (la trabea romana) in sella al suo cavallo, inserita nel muro frontale della Trattoria Marianna. Secondo le testimonianze di tanti borghigiani e riminesi ‘il cavaliere di Rimini’ è murato in questa casa da sempre: sicuramente, da documenti ufficiali provenienti dalla famiglia Morri-Domeniconi (la famiglia di origine della Marianna), risulta essere presente in loco dal 1918.

Da dove arriva il nome e’ cavàl dla paranghèla? Aldina raccontava questa storia, tramandata dai suoi genitori e nonni: il bassorilievo non raffigurava un personaggio riminese ma, forse, ravennate.

Probabilmente era un frammento di un sarcofago importante, trafugato in qualche basilica di Ravenna, agli albori del Medioevo, da qualche equipaggio di marinai riminesi del borgo San Giuliano e qui portato al ritorno dei loro viaggi per mare. Era una consuetudine frequente durante il Medioevo spogliare i grandi monumenti della classicità romana per adornare, abbellire le case dei ceti benestanti di quell’epoca, piuttosto modesta dal punto di vista artistico rispetto ai fasti imperiali romani. Dunque qualche mariner de’borg trafugò il sarcofago antico e lo portò nel borgo che allora era diventato il porto di Rimini… poi nelle ombre dei secoli seguenti si nasconde il mistero di come questo frammento ricco di storia sia stato murato sul fronte della trattoria borghigiana! Gli abitanti del borgo cominciarono ad affezionarsi a questo cavaliere antico, e quel plico o bastone che aveva nella mano sinistra, a loro, marinai e pescatori, ricordava quell’oggetto cilindrico usato nella pesca, il palangaro, su cui si arrotola un sottile cavo o prama munito di decine o centinaia di ami di diversa misura, gettati in acqua per la pesca: in dialetto riminese e’paranghèl. Da qui, forse, trae origine l’epiteto che, poi, è diventato il simbolo della piazzetta Ortaggi ad esso adiacente, conosciuta, infatti, dagli antichi e vecchi borghigiani come la piazèta ad cavalèin (la piazzetta del cavallino)”.

a cura di Simone Santini