Non c’è matrimonio che si rispetti che non vede entrare in chiesa gli sposi sulle note della marcia nuziale di Richard Wagner. Lo abbiamo sperimentato tutti: bastano le prime 4 note per sentire un fiotto al cuore, salire il nodo in gola e far luccicare gli occhi. Vero?
Lo stesso dovrebbe accadere alle prime note del Canto di offertorio, che
accompagna l’incedere della Chiesa-Sposa verso l’altare con i doni del pane e del vino e degli «altri doni» per i poveri (Ordo Generale Messale Romano, 74.44; v. Catechesi, nn. 49-52). Un canto che porta quindi tutto il peso di noi stessi, della comunità ecclesiale a cui apparteniamo e dell’intera creazione.
Quali parole, allora, potrebbero esprimere tutto questo “peso”? Quali frasi mettere sulle labbra della Sposa mentre va incontro allo Sposo? Nessuna.
Per questo la sapienza liturgica ha fin da subito intuito il potere della musicadurante la Presentazione dei doni (Siria, IV sec.), rompendo perfino le perplessità del grande teologo sant’Agostino, che da oppositore al Canto d’offertorio, divenne uno dei suoi più strenui difensori insieme a sant’Ambrogio di Milano.
Perché?
Perché con la musica l’uomo esprime il Mistero e l’esperienza che fa di Esso. È una verità iscritta nelle parole stesse: i due termini, “musica” e “mistero”, hanno infatti la stessa radice indoeuropea mu, che è all’origine del verbo greco myo=sto chiuso, serrato, chiudo gli occhi o la bocca, nel senso che la musica, come il canto, esprimono ciò che non può essere detto con le parole, ma solo rivelato dai segni, tra cui i suoni (vocali e strumentali). Essi non sono dunque solo elementi esteriori, decorativi, ma possono essere anche vertice dell’esperienza umana quando intende esprimere l’inesprimibile.
Non dimentichiamo mai che per la mitologia greca la musica è dono degli dèi e il Messale completo (detto plenario) (v. Catechesi 48) non comprende solo le parti della Messa e le Letture (Lezionario, v. Catechesi 29-30), ma anche il Graduale, cioè il libro dei canti tratti dai Salmi.
Il Canto d’offertorio, come ogni altro canto sacro, deve essere «adatto all’azione sacra», cioè esprimere il significato dei doni portati all’altare (OGMR 44), e «al carattere del giorno o del tempo», ossia tener conto se si sta celebrando una festa liturgica o se si è in Avvento oppure a Pasqua (OGMR 48; SC 112).
Melodia, ritmo, scelta degli strumenti e dei testi devono quindi tutti esprimere il gesto dell’offerta, con o senza Processione (OGMR 74).
Per san Gregorio Magno, per esempio, il Canto d’offertorio dovrebbe essere una giubilatio, cioè una gioiosa melodia, che si canta «quando la gioia del cuore non è proferita efficacemente dalla parola e allora il gaudio prorompe in un qualche modo, perché chi è nella gioia non riesce né a nasconderlo né mostrarlo» (Moralia, 28,38,15). Con la stessa gioia cantavano gli ebrei quando camminavano in processione: «Venite, applaudiamo al Signore. Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con tanti di gioia» (Sal 95).
Scopo di questo Canto è favorire la partecipazione attiva dei fedeli e la comunione tra il sacerdote e l’assemblea (OGMR 37). Una partecipazione cioè in cui i fedeli conformano la loro mente alle parole che pronunziano o ascoltano e manifestano questa partecipazione interna con la postura del corpo (seduta) e fondendo le loro voci nell’unità del coro (cf. Musicam Sacram, 15.5). Per questo è importante che il Canto d’offertorio sia eseguito in forma responsoriale, alternato cioè tra assemblea e coro.
Esso inizia appena terminata la Preghiera dei fedeli e quando tutti sono seduti; può concludersi o quando i doni sono posti sull’altare oppure quando il celebrante ha terminato sotto voce la preghiera di benedizione (Benedetto sei Tu Signore…), nel qual caso, l’assemblea non risponde Benedetto nei secoli il Signore, ma termina il canto (OGMR 74.139; Rubriche dell’Ordinario della Messa).
In Avvento, Quaresima e durante il Triduo pasquale e le messe per i defunti il solo suono degli strumenti non è consentito (MS 66).
I testi, come per ogni altro canto sacro, non sono lasciati all’arbitrio dei compositori musicali, ma devono essere approvati dalla Conferenza Episcopale Italiana, ossia da tutti i vescovi (OGMR 390), perché il canto è parte integrante della Liturgia e questa non è dei singoli né di qualche comunità o movimento, ma di tutta la Chiesa.
Al proposito, i nostri vescovi rilevano che per quanto riguarda la musica e il canto liturgico è «inutile nascondersi che non tutto è all’altezza della dignità del culto, ma non giova neanche sottolinearlo troppo: nessuna nuova espressione artistica nasce mai adulta». Ad ognuno, fedele o cantore o musicista che sia, è affidato – dicono – il compito di favorire una migliore selezione dei canti e, soprattutto, di curare la propria formazione liturgica (CEI, Rinnovamento liturgico, 14).
Veniamo a noi. Oggi vorrei rendere omaggio alla pazienza dei nostri sacerdoti e del vescovo. A volte accade, infatti, che portati i doni all’altare o terminata la preghiera di benedizione, essi devono attendere anche molti minuti che termini il Canto d’Offertorio, così che non è più questi ad accompagnare i doni, ma sono i doni ad accompagnare il Canto!
Elisabetta Casadei
* Le catechesi liturgiche si tengono ogni domenica in Cattedrale alle 10.50 (prima della Messa).