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I giorni della mérla

Si tratta di una leggenda antichissima, conosciuta anche da Dante che nel Canto di Sapìa senese (Purgatorio, XIII)  scrive.: “come fè il merlo per poca bonaccia”. I cosiddetti giorni della merla sono, secondo la tradizione, gli ultimi tre giorni di gennaio (29, 30 e 31). Sempre secondo la tradizione sarebbero i tre giorni più freddi dell’anno. Le statistiche meteorologiche disponibili dicono che dopo la prima decade di gennaio in realtà si osserva una tendenza all’aumento della temperatura. Tra gli studiosi di tradizioni popolari riminesi, chi se n’è sempre occupato con dovizia di racconti e di storie, è stata Grazia Bravetti Magnoni, spessissimo dalle pagine del settimanale ilPonte.

In questo caso, è il poeta e amante delle tradizioni popolari riminese – ma di fiera origine cerretana – Vincenzo Sanchini, a regalarci una sua interpretazione in versi de “I giorni della merla”.

 

I tre de ch’ i fniva G’nèr,                                        Gli ultimi tre giorni di Gennaio,

i pio fred per tradizion,                                              i più freddi per tradizione,

in Rumagna ij dis dla mèrla,                                      in Romagna sono detti della merla

di raz niur ch’ jìva l pèn biénch.                                degli uccelli neri che avevano le penne bianche.

 

Per savé d stè cambiamént                                        Per sapere di questo cambiamento

bsègna andè na  masa indréd                                    bisogna andare molto indietro

cant e’ més ch’ è cmenza l’an                                   quando il mese che comincia l’anno

u s è scòrd d èsa invirnèl.                                           si è scordato di essere invernale.

 

Una mèrla la pinsèva                                                Una merla pensava

ch’ fos ariv la primavéra                                            che fosse arrivata la primavera

e cuntenta p la stason                                                e contenta per la stagione

la s è mesa a fè l cantèd.                                           si è messa a cantare.

 

G’ nèr u s sént manchè d rispèt,                               Gennaio si sente mancare di rispetto,

per arfès l’ à urmaj snò n de,                                     per rifarsi ha solo un giorno,

Fibrèr ch’ l’ è armast pio curt                            ma Febbraio che è rimasto più corto

u l’aiuta, u j  dà i prim do.                                         lo aiuta, gli dà i primi due.

 

Frèd e vént d’ armàna g’ lèd:                                    Freddo e vento da restare gelati:

che’ pòr raz ch’ è n s’ l’ aspitèva                              quel povero uccello che non se l’aspettava

u s’ è ‘nfléd gio t un camìn                                        si è infilato giù per un camino

per scapè po de’ culor                                                per uscire poi del colore

 

dla fuleg’na e d’alora                                                della fuliggine e da allora

nir i mèrle… i nas ancora.                                        neri i merli… nascono ancora.

 

  1. 1. 1982

 

–     Secondo un’antichissima tradizione irradiata in tutta la valle del Po.

  • Si tratta di una leggenda antichissima che trova riscontro nel mito greco di Apollo e Coronide, pervenutoci attraverso Esiodo. Apollo, avuto un figlio da Coronide, la credeva legata a lui per sempre, ma la fanciulla si sposò con un comune mortale. Un corvo, uccello prediletto di Apollo, lo informò di questo matrimonio. Il dio, infuriato, colpì l’ambasciatore che da bianco che era, fu fatto nero.
  • Una leggenda conosciuta anche da Dante, che nel canto di Sapia (Purgatorio, XIII) scrive: “come fe’ il merlo per poca bonaccia”. Dante fa riferimento ad una leggenda popolare che narra di un merlo, il quale, passate alcune giornate miti nel cuore dell’inverno, credendo fosse già primavera, disse scioccamente: “Non ti temo, domine, chè uscito son dal verno”.
  • Anche Gabriele D’Annunzio nella sua Francesca da Rimini ha presente una variante della stessa favola, quando scrive: “ma già di là dal rio passato è il merlo / e la merla ha passato il Po”.
  • Sapìa, significa “saggia”, dal latino ‘sapere’: “aver senno”. Gentildonna senese, invidiosissima dei suoi concittadini, quando avvenne la battaglia di Colle di Valdelsa tra Senesi e Fiorentini (1269), desiderò la sconfitta dei suoi e gioì della loro strage.