Home Editoriale I cattolici del centrodestra

I cattolici del centrodestra

Gentile direttore, leggendo con interesse il resoconto di don Pierpaolo Conti sull’incontro “sinodale” con i politici e gli amministratori, riportato su “ Il Ponte” del 9 gennaio 2022, mi ha colpito che in un paio di passaggi sia stato evidenziato il disagio di alcuni politici nella relazione con la Chiesa diocesana giudicata fredda e lontana da chi milita in formazioni di Centrodestra.

Essendo un cristiano elettore della parte avversaria (non nemica), la questione mi ha interpellato e ho provato a pensarci seriamente, perché ogni disagio chiede di essere accolto con attenzione e rispetto, e perché tale sofferenza non mi lascia sereno, soprattutto se coinvolge persone che sono legate a me dalla comunione ecclesiale.

La fatica più grossa con il Centrodestra credo sia data dall’identificazione di un partito politico con i suoi leaders nazionali.

Molti di questi (Salvini, Meloni, Berlusconi, per esempio) hanno posto il loro nome nel simbolo stesso del partito, creando una sovrapposizione pressoché totale tra loro, le loro posizioni, il loro modo di esprimersi e tutti coloro che aderiscono a quel partito. Sinceramente quando una persona mi dice che è un militante della Lega, faccio fatica a non credere che la pensi come Salvini, che si esprima come lui, che approvi la sua violenza verbale, che sostenga le sue posizioni demagogiche e disumane, che per me, proprio in quanto cristiano, sono inaccettabili. Idem con Fratelli d’Italia o Forza Italia, pur con le dovute differenze.

Mi rendo conto che si tratta di una semplificazione indebita; che i motivi per aderire ad un partito possono essere molteplici e spesso, soprattutto sul piano locale, condizionati da circostanze che non concedono molte alternative a chi vuole mettersi all’opposizione di certi potentati consolidati da anni di governo indiscusso, proponendo un modo diverso di porsi rispetto alle questioni che riguardano il territorio. Ma tant’è!

Seguo da diversi mesi su Huffington Post gli interventi di un certo Filippo Rossi, che si definisce “ leader della Buona Destra”, il quale ci tiene molto a smarcarsi dai “modelli tossici” (la definizione è la sua) della Destra rappresentati dai leaders sopra citati. Rossi sostiene la costituzione di una destra solidale e accogliente, non sovranista e identitaria; una destra che non si identifichi con le posizioni becere e disumane (sono sempre espressioni sue) di coloro che si sono impadroniti della Destra mostrandone il volto peggiore. La trovo spesso una posizione equilibrata con cui non farei fatica a dialogare.

In ogni caso fanno bene i politici di Centrodestra a denunciare questo senso di distanza che avvertono rispetto alla Chiesa diocesana: si tratta di una provocazione molto forte che va accolta.

Questo richiamo, portato in un contesto ecclesiale, dovrebbe rappresentare l’occasione per chiederci se, aderendo ad un partito, riusciamo a custodire la nostra originalità di cattolici che scelgono di impegnarsi per il bene comune, oppure se, aderendo ad un partito, non rischiamo di permettere ad altri di identificarci troppo velocemente con qualche leader da cui, in alcuni casi, non sarebbe male prendere le distanze (vale per tutti).

Sarebbe opportuno (e doveroso) che ognuno di noi concedesse alle persone impegnate in partiti avversari, la possibilità di far conoscere la propria originalità, superando le logiche delle tifoserie, sforzandosi di comprendere perché quella persona ha scelto di impegnarsi in quel partito (qualunque questo sia), che cosa l’ha spinta, quali sono le istanze politiche e sociali per cui desidera impegnarsi.

Da questa narrazione (data e ricevuta) potrebbero nascere collaborazioni concrete e trasversali che, soprattutto nei nostri territori, andrebbero oltre le logiche dello schieramento di partito e potrebbero perseguire la costruzione del bene comune… Penso che, in una situazione del genere, tutta la Chiesa diocesana, dal Vescovo fino all’ultimo dei sacrestani, non potrebbe che compiacersene.

Lucio Turchi