Home Attualita I Care: cronache di (stra) ordinarie Alternanze

I Care: cronache di (stra) ordinarie Alternanze

“L’Alternanza scuola-lavoro è una modalità didattica innovativa, che attraverso l’esperienza pratica aiuta a consolidare le conoscenze acquisite a scuola e testare sul campo le attitudini di studentesse e studenti, ad arricchirne la formazione e a orientarne il percorso di studio e, in futuro, di lavoro, grazie a progetti in linea con il loro piano di studi”.
Sono le prime parole che si leggono sul sito del Ministero dell’Istruzione nella pagina dedicata all’Alternanza, una delle misure innovative messe in atto dalla Buona Scuola dal 2015.
A queste parole si contrappongono le immagini dei cortei di studenti che, a ottobre scorso, hanno sfilato nelle maggiori città italiane contro quella che hanno definito: Alternanza scuola-sfruttamento. Dal sondaggio proposto dal sito Scuola Zoo emerge che il 48% degli studenti si dichiara insoddisfatto della sua esperienza di stage.
Non sono difficili da immaginare le nostre perplessità quando, per la prima volta, ci hanno chiesto di ospitare degli studenti in Alternanza scuola- lavoro.
Ci prendiamo qualche giorno per pensarci, ponderare i pro e i contro e poi: sì, ci buttiamo!
Così, lo scorso primo giugno si è concluso un nuovo stage: Federica, Martina, Manuel, Marta, Eric e Greta, liceo delle Scienze Umane, classe 2000.
Li ho conosciuti in una classe luminosa della loro scuola, un sabato mattina di diversi mesi fa, dai loro volti leggevo una certa diffidenza, molti dubbi e poche aspettative. Me lo hanno confermato loro, non appena siamo entrati in confidenza; Federica ammette candidamente: “Io volevo andare a fare lo stage in una scuola, quando mi hanno proposto la Caritas ero demoralizzata!”. La segue Manuel, con il suo fare sornione: <+cors>“Mi sono chiesto cosa c’entrasse la Caritas con il nostro percorso di studi e ho pensato che fosse l’ennesima fregatura”<+testo_band>. Ammettiamolo, non le migliori premesse.
Il percorso proposto si è articolato in due settimane di full immersion nel vortice della Caritas diocesana: divisi in coppie hanno seguito il lavoro dell’Emporio Solidale, l’Ufficio Immigrazione e l’attività nelle scuole del progetto Sbankiamo.
Martina e Manuel, impegnati nel progetto di educazione finanziaria e imprenditoriale che la Caritas promuove con successo dal 2012, hanno condotto in prima persona le attività nelle classi, sperimentando la sensazione di stare dall’altra parte della cattedra. Hanno poi scritto testi per il sito del progetto e svolto il lavoro di back office, dimostrando serietà e autonomia. “Contrariamente alle mie aspettative, il percorso di alternanza si è rivelato in linea con il mio corso di studi e quello che mi ha stupito è l’ottimo ambiente di lavoro nel quale mi sono trovato. A dispetto delle mie previsioni iniziali, sono venuto in Caritas ogni giorno con entusiasmo e piacere di essere qui”, afferma Manuel.
“Quello che ho trovato davvero interessante – afferma Marta –è stato lavorare a stretto contatto con i ragazzi ospitati richiedenti asilo, scoprire le loro storie, affiancare l’insegnante di italiano. Vorrei fare la maestra ma dopo questa esperienza sto valutando anche l’ipotesi di lavorare nel sociale”. Lei e Federica hanno seguito le operatrici del settore immigrazione, dall’accoglienza, alle mansioni burocratiche passando per la scuola di italiano.
Emanuela, operatrice dell’Emporio Solidale, ammette di essere stupita della voglia di mettersi in gioco di Eric e Greta. Ha proposto loro diverse mansioni oltre all’accompagnamento alla spesa dell’utenza e, anche nei lavori più faticosi, si sono impegnati al massimo e sempre con il sorriso sulle labbra. Afferma sorridendo: “Assicuro che il magazzino non è sempre un lavoro divertente!”. L’idea che ci ha guidati nella pianificazione di questo stage è stata quella che i ragazzi sperimentassero i diversi aspetti del lavoro dell’operatore Caritas, per questo abbiamo voluto fortemente formarli e renderli, per quanto possibile, autonomi. In un clima di collaborazione e di confronto anche la paura di sbagliare viene arginata.
In questa esperienza i ragazzi hanno osservato con altri occhi la città che quotidianamente vivono, oltre quell’aspetto così patinato che ancora mantiene, retaggio di una vecchia idea di Rimini solo mare, turismo e divertimenti. Si sono confrontati con la povertà, con le persone che vivono un momento di smarrimento, con chi ha cercato un futuro migliore, con chi ci spera.
E noi, invece? Possiamo dire di essere cresciuti?
Sì, è questo il bello di lavorare con i giovani: poter vedere la realtà che viviamo con altri occhi. Come in uno specchio, vederli affrontare il tuo lavoro non può che interrogarti. Un continuo e sano mettersi in discussione, rimescolare le carte sul tavolo, ripensare il proprio ruolo.
Non c’è spazio per la parola “sfruttamento” in questa esperienza.
Risistemo la scrivania, mando le ultime mail alla scuola e guardo la parete bianca davanti a me. Non c’è scritto da nessuna parte quell’ I CARE tanto caro a don Milani, ma è come se Martina, Manuel, Federica, Marta, Eric e Greta lo avessero inciso in maniera indelebile.
“Mi importa” che è il contrario di “Me ne frego”.
I care.

InformaCaritas
Virginia Casola