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GUERRA E PACE Volti, non numeri

A un incontro con i miei ragazzi di I superiore ho distribuito le foto di 11 bambini, sotto i 5 anni, di tutto il mondo. Poi ho chiesto loro di inventare per ognuno di essi un nome, il racconto delle sue amicizie, il sogno di ciò che da grandi sarebbero diventati. Per 10 minuti i ragazzi si sono sbizzarriti nell’inventare belle storie: chi sarebbe diventato insegnante, chi ballerina, chi poliziotto, non mancava naturalmente il campione di calcio… Poi ho fatto partire il cronometro. In un minuto ho sottratto le loro foto perché, ho spiegato, che tutti 11 erano morti: Hassan, Tariq, Dosu per fame; Haru e Ashanti, Tanaka per malattie e mancanza di medicine; Nyasha, Karina, Mykola per la guerra; Aalina per atti di violenza; Hamed è affogato nel Mediterraneo. “Sì, perché ogni minuto nel mondo muoiono 11 bambini, 15.000 al giorno, oltre 5 milioni all’anno. Sono dati dell’Unicef”.

Tra i ragazzi è sceso il silenzio, perché – per la prima volta – i numeri erano diventati volti, persone. La violenza sui minori, come ogni ingiustizia, è il sintomo visibile di squilibri come appunto le guerre, le crisi climatiche, la povertà sistemica e l’iniqua distribuzione delle risorse.

I bambini e la loro fame sono diventati un’arma di guerra? È quello che sta accadendo a Gaza, dove il blocco degli aiuti umanitari ha trasformato il bisogno di cibo in un destino ineluttabile. Le immagini che ci raggiungono sulla condizione del popolo palestinese non sono solo fotografie di una orribile crisi umanitaria, ma lo specchio dell’indifferenza internazionale. Fame e morte ci scorrono davanti agli occhi ogni giorno, in video, foto, ultime notizie.

Vediamo. Ma spesso non guardiamo davvero. Scappiamo. Non è indifferenza, è difesa. Ma rischiamo qualcosa di peggio, che sta già avvenendo: l’assuefazione. Tanto che 30/40 morti al giorno non meritano più molta attenzione: “Morti a Gaza”, “Vittime civili”, notizie senza nomi e senza storie che ci allontanano dal dolore e non muovono il cuore come – giustamente – ha fatto la storia dei due fidanzati israeliani assassinati a Washington, di cui abbiamo visto le immagini, conosciuto i nomi e i sogni, perché erano persone. Come, del resto, lo sono i 50.000 uccisi a Gaza. Ma, negli ultimi tempi, la gente, il popolo comune, si sta ribellando e cerca di dare un volto alle tante vittime dei conflitti, cosciente ormai che la narrazione di ciò che accade può influenzare l’opinione pubblica, la politica, le istituzioni, il grado di mobilitazione o di silenzio del mondo. Lo ha fatto per Gaza con l’iniziativa dei vestitini dei bimbi stesi in piazza, con sopra scritto il nome di un bambino ucciso o con i “sudari”, lenzuoli appesi alle finestre… Lo fanno gli amici di Operazione Colomba da Kerson, in Ucraina, quando raccontano degli anziani che non hanno lasciato le loro case e si trovano sul fronte di una guerra fraterna e assurda. Papa Leone XIV e il Vescovo di Rimini ci invitano a pregare per la pace, ma ad essere anche noi operatori di pace, alimentando il nostro pensiero critico, alzando lo sguardo e non fuggendo, accendendo piuttosto conversazioni su social, a tavola, in ufficio, a scuola.

La Pace si costruisce anche disarmando le parole.

Dall’altra parte non ci sono numeri, ma persone.