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Gloria in Excelsis, Dio non gioca a tiro alla fune

Dio non gioca a “tiro alla fune” con le sue creature: la sua gloria non rosica quella dell’uomo e la gloria dell’uomo non toglie nulla alla gloria di Dio; al contrario, l’uomo diventa davvero grande (santo) quando dà gloria a Dio e la “gloria di Dio è l’uomo vivente” (Ireneo di Lione).
Con questo inno antichissimo e venerabile (II sec.), posto tra i Riti iniziali della Messa, si preannuncia che tutta l’Eucaristia è celebrazione della gloria di Dio (SC 7-8), a cui l’uomo è fatto partecipe , cioè glorificato, santificato: «noi tutti a viso scoperto riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2Cor3,18). La Messa – ricordiamolo sempre! – è azione divina: l’uomo partecipa, il protagonista è un Altro.

Per capire questo “mistero di gloria” dobbiamo rifarci anche qui alla gloria biblica (kabod), che indica Dio stesso, ma sotto un certo aspetto: quello del suo manifestarsi, della sua azione e dei suoi interventi. Vediamo la gloria di Dio nella creazione (I cieli narrano la gloria di Dio, Sal 19), nella storia della salvezza (esodo, alleanza), nella liturgia del tempio (Is 6; Lv 9) e raggiungere il suo culmine in Cristo Gesù, nella sua incarnazione, passione e risurrezione: «e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre» Gv 1,14), perché «irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza» (Eb 1,3).

La Messa, celebrazione del Mistero di passione-morte-resurrezione di Cristo, è perciò anche “Mistero di gloria”, in cui Dio compie la sua opera: il Padre dona il Figlio e lo Spirito Santo per la nostra salvezza e per la gloria del suo nome (Catechismo Chiesa Cattolica, 1066-1068). Dio si glorifica glorificando l’uomo.
Cantando il Gloria l’assemblea proclama che nell’Eucaristia Dio compie “qui, oggi” la sua opera di salvezza, per me, per te, per noi. Cantare il Gloria è allora entrare nell’opera salvifica di Dio.

Il Gloria in excelsis è «inno di gloria e di supplica» (Ordo Generale Messale Romano, 53) originariamente scritto in greco (II sec.); pian piano entra nella Liturgia delle Ore del mattino (IV sec.) (quando gli ortodossi lo cantano tutt’oggi) e poi nella Messa di Natale (V sec.), per il suo riferimento al saluto degli angeli ai pastori (Lc 2,14) e per questo chiamato anche “Inno angelico”; solo nel XII sec. si canta in ogni messa festiva come oggi. Ha visto diverse formulazioni e il testo che cantiamo la domenica, nelle feste e nelle solennità (tranne in Avvento e in Quaresima) è tratto dal testo latino (tradotto dal greco forse verso il VII sec.).

Esso è la “grande dossologia” della Chiesa (da doxa=gloria e logos=parola), cioè la “grande parola di glorificazione” di Dio (il Gloria Patri è invece una piccola dossologia), preferibile addirittura al Te Deum, per la sua teologia, la sua prosa e ritmica: si narra che Leone III fece cantare il Gloria per ricevere Carlo Magno e lo stesso si faceva in occasione del ritrovamento del corpo di un martire.

Quanto al contenuto si tratta di una lode a Dio e alle tre Persone divine. Si esalta anzi tutto l’opera salvifica di Dio, realizzata in Cristo, vera causa della pace (Glória in excélsis… et in terra pax homínibus), attraverso un compendio di brani biblici (Laudámus te, benedícimus te…) e un sincero “grazie!” (grátias ágimus tibi). Ci rivolgiamo poi al Padre, lodando la sua Onnipotenza (Dómine Deus, Rex cæléstis), poi al Figlio, l’unico che toglie i peccati del mondo, con una serie di appellativi tratti dalla Scrittura (Agnus Dei, Fílius Patris, qui tollis peccáta mundi…) e, infine, allo Spirito Santo, che realizza l’opera di Dio.
«Il testo di questo inno – precisa l’OGMR – non può essere sostituito con un altro», per cui non si dovrebbe neppure cambiare, inserendo per esempio dei ritornelli (li aveva già tolti l’antico messale di Pio V!).
È un inno del popolo di Dio e perciò deve essere cantato da tutti (assemblea e sacerdote), magari alternando con il coro, vista la sua lunghezza.
Essendo un inno, dovrebbe essere cantato e non recitato (altrimenti non è più un inno: provate a togliere le note all’Inno nazionale e vedrete che non sembrerà neppure più l’inno degli italiani!). Al proposito scriveva sant’Agostino: «Se c’è lode, e lodi di Dio, ma poi manca il canto, non c’è affatto l’inno».

Elisabetta Casadei

* Le catechesi liturgiche si tengono ogni domenica in Cattedrale alle 10.50 (prima della Messa).