Home Cultura “Gli alleati ci portarono la libertà”

“Gli alleati ci portarono la libertà”

È stato grazie alla saggezza di Franklin Delano Roosvelt, Winston Churchill e Iosif Stalin, i quali, benché ognuno di loro avesse idee politiche diverse, seppero mettersi d’accordo per estirpare la feroce ideologia nazista – condivisa anche dal fascismo, che spense la vita di milioni di persone – se oggi possiamo ricordare la drammatica storia di Rimini, dell’Italia e del mondo.
L’autore della bella, utile rievocazione storica dal titolo: Il tragico inverno 1944 (il Ponte n.7, 24 gennaio 2010) ha fatto bene a farla anche se, a mio giudizio, ha criticato troppo aspramente il comportamento delle truppe alleate (che ci liberarono dal pericolo mortale del nazismo) per i danni che provocarono durante la loro, forzata, sosta a Rimini.

I tedeschi e gli alleati
L’occupazione tedesca portò morte e paura perché si correva il rischio di essere catturati, rinchiusi nel campo di concentramento nella corderia di Viserba. Di lì ogni giorno portati sotto scorta armata tedesca a costruire fortini, a cui lavorò anche il compianto ing. Alberto Marvelli , oppure alla “Linea Gotica”, a ripristinare i binari della ferrovia distrutti dai bombardamenti. Ci furono anche i deportati in Germania, infine.
L’autore dell’articolo, a mio giudizio, sbaglia nel dire dei soldati alleati, di essere stati simili o peggiori degli occupanti tedeschi. Se ha vissuto quei giorni, sbaglia.
Gli alleati a differenza dei tedeschi – che ci maltrattarono in tanti modi fino a uccidere anche degli innocenti – nonostante avessero subito la nostra stessa devastante guerra, ci portarono i primi aiuti alimentari per fermare i morsi della fame. Perché nella città, completamente distrutta, da tempo non esistevano più negozi di alimentari, forni, farmacie, mancava luce, acqua ecc…
A mio giudizio, non ha inoltre tenuto conto che quei soldati da quattro anni stavano rischiando la vita per colpa dell’Italia e che a Rimini si erano fermati perché, appena liberata, iniziarono a cadere le piogge che non consentivano ai carri armati di muoversi come sulle sabbie del deserto, per proseguire l’avanzata verso il nord Italia.
Oltre le piogge arrivò anche una grande nevicata che prolungò la sosta. Visto che a Rimini avevano a disposizione tante ville di soggiorno estivo, colonie e alberghi, i comandi e i soldati si installarono lì dentro. E con il freddo (mancando il gas, carbone) per scaldarsi bruciarono porte, finestre, i pavimenti di legno, tirarono giù le travi dai tetti aggravando così i danni che avevano fatto i bombardamenti e il passaggio del fronte.
I comandi hanno agito con le leggi militari, e, stando a racconti che mi hanno fatto dei nostri ex militari che hanno combattuto su vari fronti, pare siano state più umane di quelle usate da certi reparti delle nostre truppe quando invasero gli Stati slavi, per ingrandire l’impero.

Vivo in me è il ricordo…
Vivo in me è ancora il ricordo:
liberato S. Marino la sera del 20 settembre 1944, dove con fratelli e amici ci eravamo rifugiati fin dal 23 agosto dopo essere scampati al vasto rastrellamento tedesco (fatto per rimediare uomini per scavare trincee e deportare) con Valerio Fabbri e Pippo Foschi, mi sono messo in cammino per tornare alle le nostre case a Covignano.
Fu un viaggio allucinante per i disastri visti. A mezzogiorno raggiunto Covignano, ci siamo trovati di fronte a distruzioni più drammatiche di quelle che avevano fatto i 20 giorni di cannoneggiamenti.
Lasciati gli amici mi sono messo in cammino per raggiungere la mia casa più in basso. Percorsa poca strada sono stato bloccato da un soldato canadese e portato nel suo comando che si era installato in casa dei miei amici Mario e Gino Mancini, dove un capitano mi ha chiesto i documenti e verificato che il mio nome non fosse tra quelli del lungo elenco che aveva in mano, nel restituirmeli mi ordinò: “tu adesso andare a Riccione”, perché vicino alle linee del fronte non volevano civili, i tedeschi erano ancora nella Galvanina.
Sono tornato indietro e raggiunta la casa del mio amico Valerio, mi sono fermato lì, poi ho raggiunto finalmente la mia casa colpita da più granate, con dentro cinque cavalli, di cui due già morti semi bruciati e gli altri feriti che sono morti nella notte.
Sull’aia attorno a casa una mucca morta e un mare di armi e munizioni, carrette, biroccini e tanto altro materiale che il folto gruppo di soldati tedeschi, fatti prigionieri, aveva in dotazione.
Sentivo che dalla cucina alleata installata nell’aia del palazzo Bianchi, che stava di fronte alla mia casa, arrivava un buon profumo. Sono andato da loro e chiesto se mi davano qualcosa da mangiare: mi hanno riempito un vassoio. Avevo la fame arretrata, ho divorato tutto velocemente, mettendo in difficoltà il mio stomaco. Ho corso il rischio di svenire. Mi hanno regalato anche del sapone bianco per lavarmi.

E poi… Rimini
La mattina del 23 settembre, finalmente, in bicicletta sono potuto partire per Rimini che non vedevo più da 11 mesi per evitare di essere catturato, e fare una brutta fine, per la colpa di non aver voluto servire l’illegale Repubblica Sociale.
Tra le macerie ho raggiunto Piazza Cavour dove, nella parte alta libera dalle macerie, si era insediato il capitano Trevor responsabile della Croce Rossa alleata tutto indaffarato a far scaricare i primi rifornimenti di viveri, biscotti, farina, latte in polvere, piselli secchi da offrire ai primi cittadini che cercavano di rientrare dopo un lungo, sofferto sfollamento.
Assenti gli amministratori repubblichini del Comune e i funzionari, sfollati lontano da Rimini. Aiutavano il capitano Trevor, Guido Nozzoli che parlava la lingua inglese e Walter Ceccaroni che, invece, accoglieva chi arrivava dicendo: “qui ragazzi bisogna mettersi a lavorare”. Cercava chi fosse disposto a farlo senza paga, li elencava su un foglio di carta da salumeria aiutato da un mozzicone di matita. Vista la drammatica situazione ho accettato e sono andato con Edgardo Rosa a distribuire biscotti nella stalla del Palazzo Mattioli. Ricordo che all’una ci ristoravamo, in piedi, negli spogli locali del ristorante Leon D’Oro con una crema ottenuta dalla cottura dei piselli secchi e mancando i piatti, usavamo i barattoli dei piselli e prestandoci il cucchiaio, l’uno con l’altro e usato… senza smorfie.
In ottobre assunto dal Comune sono stato messo a lavorare nell’Ufficio Alloggi e Riparazioni Edilizie in cui era Assessore il compianto Alberto Marvelli, una persona per bene, che lavorava intensamente per ascoltare le lunghe file di gente disperata che aveva perso parte dei famigliari, casa, mobili, biancheria e chiedeva un alloggio, perché stanca di vivere lontano da Rimini in locali malsani.
Un giorno il suo intenso impegno fu anche mal ripagato da una donna che più volte si era recata da lui per ottenere un alloggio. Quando la invitò ad avere ancora pazienza di aspettare, la donna si infuriò e perso il lume della ragione lo schiaffeggio. Lui in silenzio senza fare clamore incassò.
Un’ offesa ben più vile invece era stato costretto a incassare dai repubblichini.
Nel mese di luglio quando Mussolini da Salò si recò sul Foglia a Mercatello di Sasso Corvaro (a passare in rassegna i resti del suo potente esercito di 8 milioni di baionette, ridotto a un Battaglione il “Tagliamento”) nel tornare indietro si fermò anche a Rimini e salì al comando tedesco della città (che aveva sede nella Villa Tosi, in via della Fontanina) dove tenne un discorso anche a un gruppo di repubblichini, assicurandogli la vittoria ecc…
Quei baldanzosi giovani repubblichini, verso sera nel tornare in città, in via Covignano all’altezza della via del Crocefisso incontrarono Alberto Marvelli e il mio amico Valerio Fabbri. Appena li videro cominciarono a insultarli come traditori della Patria, li minacciarono e poi gli sputarono addosso.

Verso la libertà
Gli alleati superarono infinite difficoltà. Dallo sbarco in Sicilia avanzando per terra in Calabria e con lo sbarco di Salerno, arrivarono ad attaccare la “Linea Gustav” che attraversava tutta l’Italia partendo da Torino di Sangro a Minturno sul Tirreno laziale. Il 6 giugno, liberarono, infine, Roma consentendo così all’VIII Armata inglese di avanzare lungo l’Adriatico. Il 31 agosto del 1944 iniziò l’assalto alla “Linea Gotica”. Una battaglia durata 21 giorni che distrusse la vita di quasi 5.000 soldati inglesi, dal Foglia al Marecchia, rase al suolo paesi, borgate, case singole, sconvolse le campagne comprese quelle di S. Marino che brulicavano di oltre 100.000 rifugiati, distrusse anche i resti delle potenti divisione tedesche partite dalla Germania per dominare l’Europa, seminando morte e terrore, liberò anche Rimini.

Facciamo “memoria”
Ho documenti, fotografie, carte geografiche che ho messo insieme lavorando per oltre 30 anni in scuole di ogni Regione (per allestire e vendere carte geografiche) che mi hanno consentito di passare sui luoghi in cui l’occupazione tedesca ha lasciato dietro di sé morte e distruzioni. Ho fatto ricerche negli archivi militari tedeschi, inglesi, russi, italiani. Ho fatto tanti acquisti nei mercatini dell’antiquariato (compresa la preziosa ristampa di tutti i giornali di guerra). Si potrebbe organizzare una grande importante mostra, per ricordare, far conoscere alle nuove generazioni quei drammatici giorni, che hanno fatto piangere tanta gente.
Inoltre, a mio giudizio, sarebbe giusto murare nelle colonne dell’ex Pescheria di piazza Cavour un’ epigrafe per ricordare, innanzi al bar Cavour e l’albergo Cavalieri, il prezioso lavoro del capitano Trevor della Croce Rossa alleata, aiutato da Guido Nozzoli, Walter Ceccaroni e inizialmente da una decina di cittadini. Ricordare che da qui è iniziata, a partire dal 22 settembre, la rinascita della città di Rimini distrutta dai bombardamenti e dal passaggio del fronte.
Gli alleati sostarono a lungo a Rimini e fecero dei danni, ma trovo ingiusto però considerarli come i tedeschi o peggiori perché, nonostante la guerra, sono arrivati ci hanno dato da mangiare, portata la libertà e poi aiutato a ricostruire l’Italia.

La pubblicazione
Ho anche pubblicato il volume La tragedia della guerra a Rimini.
È una lunga rievocazione storica.
E per concludere, la citazione iniziale dei tre grandi capi di Governo – Roosvelt, Churchill e Stalin – mi porta a fare una riflessione e a domandarmi: se i nostri politici di tutti partiti – che continuamente litigano tra di loro per potere diventare capi, membri, di Governo, di amministrazioni regionali, provinciali, comunali ecc.. – li imitassero, mettendosi d’accordo come hanno fatto loro, penso che la difficile situazione economica italiana si risolverebbe.
Se la rissosa competizione continuerà temo che il prossimo anno anziché festeggiare il 150° anno dell’unità d’Italia, ho paura che ci sia lo sfacio… dell’Italia.

Bruno Ghigi