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Giovani soli in ricerca di Verità

Educare e formare i giovani alla fede oggi”. È questo il titolo dell’incontro che si è tenuto venerdì 26 ottobre nella sala del Teatro del Seminario Vescovile per la prolusione dell’Anno Accademico 2012/2013 dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose Marvelli.
Sul delicato tema proposto è intervenuto mons. Domenico Sigalini, grande conoscitore del mondo giovanile. Ha seguito in prima linea le Giornate Mondiali della Gioventù di Denver, Manila, Parigi, Toronto, ma soprattutto quella di Roma del 2000. Infatti dal 1991 al 2001 ha diretto il Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile della CEI. Nel 2007 è succeduto a mons. Lambiasi come Assistente Ecclesiastico Generale dell’AC italiana. Attualmente è Vescovo di Palestrina e Presidente della Commissione Episcopale per il Laicato.

Mons. Sigalini, quali sono le domande frequenti che ci pongono anche indirettamente i giovani oggi?
“Quello che è interessante è che vogliono ascoltare la verità e aspettano sempre novità. Richiedono giustizia riguardo alla verità del mondo, riguardo alla verità su Dio che viene sempre oscurata. Cercano verità sulle loro origini, sul loro passato che si vuole loro sempre nascondere, verità sul concetto di libertà al quale si è dato un significato che non è quello vero. Vogliono verità sulla Chiesa che non può essere solo la sacrestia, ma uno spazio per potersi incontrare, per incontrare altre realtà che non sono come quella in cui vivono loro”.

Come intercettare queste domande?
“Ci sono due termini che vorrei spiegare e che esplicitano il rapporto con gli adulti: stima e ascolto. Dobbiamo stimarli e apprezzarli. Stima per loro, per la loro età, per la loro giovinezza. Età di scoperta dell’io umano. In quella umanità che è da prendere sul serio c’è tutto l’uomo futuro. L’esperienza comune della Chiesa è percepita come costrizione. E allora è utile inventare percorsi di ricerca per vedere nei giovani una persona che ha dentro di sé domande di assoluto e non solo domanda di divertimento e sballo. Molte volte noi educatori facciamo ‘sconti’ nel cammino educativo pensando che faccia loro piacere, ma non sono contenti. Apprezzano che si chiedano dei passi anche faticosi, ma seguiti, portati per mano. Occorrono percorsi di ricerca della verità. I ragazzi hanno voglia di avere possibilità di esprimersi così come sono. L’altra parola che è importante nel rapporto con le nuove generazioni è sicuramente l’ascolto. Esso porta a conoscere ferite e gioie. Io mi immagino una Chiesa che accolga i giovani e non che li controlli severamente, che non oscuri le loro domande. Vorrei una Chiesa che facesse far loro esperienza d’amore”.

Cosa possiamo fare per i giovani e per il loro progetto di vita?
“Le nuove generazioni hanno tutte un progetto. Noi dobbiamo essere propositivi nel massimo della libertà e nel rifiuto delle ideologie. I giovani non accettano imposizioni. Ricordo quando sono stato invitato da alcuni insegnanti di religione di una scuola superiore per incontrare dei ragazzi di V, tutte le quinte dell’istituto. Purtroppo una insegnante di cattedra non ha voluto cedere la sua ora e dopo qualche minuto che parlavo agli studenti, i ragazzi di quella classe sono stati richiamati per fare lezione. Si sono alzati in silenzio e tutti in fila si sono avviati verso la porta d’uscita. Li ho salutati augurando loro una buona lezione, ma mi hanno risposto: ‘Noi andiamo tutti a casa, non in classe’. Questo dice della domanda che hanno dentro e di come vogliono davvero essere presi sul serio senza che nessuno imponga loro nulla. Qui si colloca la proposta di fede: dobbiamo portare al centro della loro vita Gesù. Il Concilio Vaticano II ci ha detto che Dio non è lontano, ma vicino e ci ha parlato. Ascoltiamo Dio che ci parla e innamoriamoci di Lui! La sua Parola è nella Sacra Scrittura. La Bibbia però è solo lo spartito di una musica che la comunità cristiana, quale orchestra, suona. Il posto preminente deve essere quello della Parola di Dio. Che questo Dio che ci parla sia ascoltato e servito!”.

Ci può dare delle coordinate bibliche in cui trovare un aiuto per noi e per i nostri giovani oggi?
“Sicuramente dobbiamo trovare l’esempio nella vita e missione di Gesù nel suo rapporto con i discepoli e con chi lo incontrava. In Luca 17,5-6 gli apostoli chiedono a Gesù: accresci in noi la fede! Di fronte alla vita, ai dolori innocenti, alle delusioni, i giovani fanno fatica ad avere fede. La domanda degli apostoli è maldestra, perché la fede non si può quantificare, tantomeno comprare. La fede non ha bisogno di studi approfonditi, è un dono di Dio. Fa rinascere freschezza e fortezza nella vita, serenità e abbandono. Sai di stare a cuore a qualcuno. Altro brano evangelico è Luca 18,35-42. Il cieco che incontra Gesù urla, lo chiama per essere guarito e riavere la vista per poter cantare e lodare Dio per le sue opere che ora non vede. E Gesù gli dice: la tua fede ti ha salvato. I giovani si accorgono di cantare, di esprimere tanta gioia. Questi sentimenti rivolti a Dio sono la preghiera. La fede ha ancora un posto nella nostra vita? In Matteo 6,30 Gesù chiama il suo popolo: gente di poca fede! Un popolo che faceva fatica ad affidarsi a Lui. Anche oggi crediamo che sia Dio causa del male che c’è nel mondo anche perché la nostra fede non si concilia con la scienza. Che la scienza neghi la fede, niente di più antiscientifico. Dobbiamo prendere come modello la fede di Maria. Con l’annuncio dell’angelo a Maria c’è la proposta di Dio all’umanità tutta per la sua vocazione. Anche noi non ci sentiamo pronti, come Maria, a dire sì, ma Lei l’ha detto, ‘Sì, io ci sto’. Se Tu mi chiami mi darai anche la forza per portare a termine questo compito. Poi Maria resta sola con quel compito che le è stato dato. Proprio quando più aveva bisogno di aiuto per annunciare alla famiglia e a Giuseppe quello che le aveva detto l’angelo. Tutti siamo soli nella nostra scelta, nella nostra interiorità e nessuno può entrare. Maria ha avuto fede. Senza fiducia non si può vivere, fiducia nell’altro, nel marito, nei figli, ecc.”.

Giovanni Paolo II è stato grande comunicatore con i giovani.
“Il pontefice diceva che a un giovane servono: proposta di amore di Dio che solo dà senso alla vita; formazione della coscienza, quello spazio umano entro cui nessuno può entrare; ogni giovane deve poter godere della presenza di Gesù. Il papa disse: ‘Auguro a tutti di poter scoprire lo sguardo di Gesù nella vita. Non so quando farete questa scoperta e non so come, se in una condizione di dolore o di gioia, ma so che la farete’. Occorre poi decidere di donarsi, fare della propria vita un dono e di seguire Cristo. La vita è una chiamata, ma non casuale. Dio elegge, chiama, sceglie. Ognuno ha in sé questa chiamata anche se la sfugge o non la sente.”

Cosa occorre dunque per educare i giovani e avvicinarli all’incontro con Cristo attraverso la Chiesa?
“Quello che occorre sono dei ponti. Ponti che uniscano la strada alla Chiesa. Chiesa che è il luogo dell’incontro con Dio, non con la muffa della sacrestia. Il ponte può essere una tettoia per ripararsi dalla pioggia, un campo per giocare, un piatto di minestra per chi ha fame. Questo ponte è sicuramente l’Azione Cattolica. I preti devono stare sopra quel ponte, con qualche certezza in meno, ma con più dialogo. La Chiesa è un popolo, non una società. Occorre infatti cercare nuove figure di direttori di oratori che non stiano nel luogo sicuro, ma vadano nel mondo a cercare i giovani, nella loro realtà. Questo fa l’AC.”

Isabella Rinaldi