Home Attualita GIOVANI E LAVORO, L’IMPOSSIBILE ALLEANZA?

GIOVANI E LAVORO, L’IMPOSSIBILE ALLEANZA?

La vita è una partita che si gioca secondo le regole… Partita un accidente. È una partita se stai dalla parte dove ci sono i grossi calibri… ma se stai dall’altra parte, dove di grossi calibri non ce n’è nemmeno mezzo, allora che accidente di partita è?” (da Il giovane Holden di J.D. Salinger, dialogo tra il professor Spencer e Holden).

È inutile aggiungere che tanti giovani oggi considerano di stare dall’altra parte. Dove poche volte si vince e troppe volte si perde. Che, insomma, la partita della vita sia truccata, se non stai dalla parte “giusta”, non hai i genitori “giusti”, non frequenti la scuola “giusta”, non hai i contatti “giusti”, insomma, se non hai il conto in banca “giusto”. Dove giusto non sta per giustizia, ma per una severa riaffermazione delle disuguaglianze di partenza, nonostante la Costituzione dica tutto il contrario. Passata la pandemia, almeno la fase più acuta, l’Unione Europea ha eletto il 2022 come l’anno europeo dei giovani.

È il vostro anno, enfatizza il Consiglio d’Europa. C’è anche un sito dedicato (https://europa. eu/youth/year-of-youth_it), dove si può leggere che “l’iniziativa punterà i riflettori sull’importanza della gioventù europea nella costruzione di un futuro migliore: più verde, inclusivo e digitale”. Qualcuno ne ha sentito parlare? Siamo a fine 2022 e di progetti per i giovani, a dire il vero, non se ne vede traccia. Oscurati da altri eventi, certamente importanti, ma non più dei giovani che il futuro ce l’hanno davanti.

Eppure qualcosa in più di potrebbe dire e fare. Visto anche che il famoso PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) porta come sottotitolo “Next Generation Italia”. Cioè prossima generazione Italia. È quello che sta cercando di fare le ACLI di Rimini, che al lavoro dei giovani nella nostra provincia ha dedicato un report. Che comincia con la demografia. Già si è scritto e detto che in Italia nascono sempre meno figli e Rimini non ne è immune. Per rendersene conto basta sapere che mentre nel negli anni sessanta del secolo scorso, quindi in pieno baby boomer (boom di nascite) i giovani con meno di 14 anni rappresentavano quasi un quarto della popolazione in provincia di Rimini, nel 2020 sono appena sopra un decimo. Dieci punti percentuali abbondanti in meno.

Le ricadute sono piuttosto semplici e intuitive: già oggi, ma il fenomeno si accentuerà nel prossimo futuro, chi esce dal lavoro, perché va in pensione, non trova un numero sufficiente di nuova forza lavoro pronta al ricambio. Il grido di dolore di tante imprese che non trovano personale, che non dipende però solo dalla demografia, ma anche da come trattano e pagano i lavoratori, potrebbe essere solo l’inizio. Eppure, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, nel mondo del lavoro i giovani, in particolare nella nostra provincia, sono tra i più penalizzati.

Nel 2020, su cento giovani di età 15-29 anni, avevano conseguito un lavoro 32 a Rimini, 43 a Forlì-Cesena e 37 a Ravenna, con una media regionale di 41. Colpa del Covid? Per una piccola parte (gli alberghi chiusi hanno sicuramente pesato), ma il fatto che un deficit di opportunità occupazionali per i giovani locali fosse già presente negli anni precedenti, ci racconta una storia diversa. Del fatto, per esempio, che mentre nella manifattura riminese trova lavoro appena un occupato su quattro, a Modena e Reggio Emilia succede per due su cinque.

Una distribuzione diversa del lavoro ha ricadute non propriamente marginali. Infatti, se la retribuzione lorda media annua di un giovane riminese, nel settore privato, a malapena supera 10.000 euro (dato 2019), nelle due province emiliane citate, ma anche Bologna e Parma, si sta tranquillamente sopra i 15.000 euro. Una differenza che trova la spiegazione principale nel turismo, dove i contratti sono prevalentemente a tempo determinato e le paghe più basse. Insomma, si lavora e si guadagna meno. E questo spinge in basso la media. Trovare soluzioni per recuperare questo gap, a meno di non decidere che questa differenza deve rimanere, quindi ci va bene, dovrebbe essere compito delle politiche economiche locali. E perché no, regionali.

Ma nessuno le ha viste.