Home Attualita Giocare fino a perdersi

Giocare fino a perdersi

LA PIAGA SOCIALE. L’incontro con Gian Antonio Stella e Chiara Pracucci. “L’azzardo è una vera e propria dipendenza, ma è più subdola della droga”

C’è un momento, in ogni dipendenza, in cui la realtà smette di essere sufficiente. Per alcuni accade davanti a un bicchiere, per altri dietro a una pillola.

Per una fetta sempre più larga di italiani, però, accade di fronte ad una slot, a un’app di scommesse, a una schedina rapida “tanto per provare”. È una scintilla quasi innocua, un gesto abitudinario, sociale, condiviso: “metti un euro e vediamo come va”. E da lì, piano piano, il confine si lacera. Ci si convince che sia possibile vincere. Che sia possibile controllare. Che la fortuna, almeno una volta, deciderà di guidarci.

È l’illusione più antica dell’uomo, oggi confezionata in luci led, pulsanti digitali e notifiche push. Una formula perfetta per trasformare un momento in un’abitudine e un’abitudine in una voragine. Non c’è rumore di bicchieri, non c’è fumo, non c’è ballo notturno: c’è silenzio, schermate colorate, solitudine.

La dipendenza più discreta, e proprio per questo, la più resistente.

Questo è il tema di una serata dedicata a smontare l’illusione che l’azzardo sia intrattenimento. Un incontro promosso da rete GAP di Rimini – Papa Giovanni XXIII, Cento Fiori, Il Millepiedi, Alcantara – in collaborazione con il SerDP, a dimostrazione che quando un fenomeno non si vede, non significa che non stia erodendo vite, famiglie, territori.

La “scommessa” sulla vita

In Italia non si gioca più: si scommette sulla vita. Non è uno slogan, ma una curva impazzita. Una febbre che sale da trent’anni, in silenzio. A raccontarla è Gian Antonio Stella, giornalista e scrittore, penna arguta del Corriere della Sera, che non legge numeri: legge febbre sociale.

“Nel 1990 si giocavano 4 miliardi e 861 milioni di euro, rivalutati. Nel 1995 7 miliardi e 466 milioni. Nel 2000 circa 14 miliardi e 59 milioni. Nel 2005 siamo arrivati a 28 miliardi e 487 milioni”.

Poi, la lama.

“In quindici anni si è moltiplicato per sei”.

E oggi? Stella si ferma un istante, perché la frase che segue non ha bisogno di retorica: “Nel 2024 siamo arrivati a 157 miliardi. Trentadue volte di più in trentaquattro anni”.

Centocinquantasette miliardi: più della manovra finanziaria. Più del costo annuale per tutto il sistema universitario italiano. Più del budget

per la ricostruzione post-alluvioni. Una montagna di denaro che basterebbe a rifare ponti, ospedali, asili, linee ferroviarie; a mettere in sicurezza scuole e territori; a sostenere famiglie e imprese. Invece evapora in luci, app, ticket, slot, Gratta e Vinci, piattaforme aperte 24 ore su 24 con la promessa dell’immediatezza e del ‘ritenta, sarai più fortunato’. “Poi ci vantiamo degli undici miliardi e mezzo che lo Stato incassa… su centocinquantasette. Il resto va a chi lucra sulle fragilità”.

Benvenuti ad Azzardopoli

Benvenuti ad Azzardopoli: il Paese che predica il merito e vende fortuna, che confonde gioco e scommessa, futuro e jackpot. Accanto a Stella, la psicologa e psicoterapeuta Chiara Pracucci. “Non si chiama gioco. Si chiama azzardo.

Nessuno si ammala del ludico”, chiarisce, guidando il pubblico dentro le dinamiche psicologiche, sociali e familiari della dipendenza, tra prevenzione e cura. Si tratta di un discrimine culturale e neurologico.

“Il gioco è relazione. L’azzardo è solitudine, automatismo, abilità zero. Attiva lo stesso circuito della cocaina e dell’alcol: dopamina, serotonina, noradrenalina. Solo che non c’è una sostanza esterna – ed è ancora più subdolo. E la trappola più crudele è spesso la prima vincita. Piccola, ma sufficiente a innescare un pensiero onnipotente: posso rifarlo”.

Perché chi cade nell’azzardo non gioca soldi: gioca sensazioni. Cerca adrenalina, il picco di dopamina, quella vibrazione sottopelle che per un attimo anestetizza l’ansia, la frustrazione, la fatica, la noia, la sensazione di essere rimasti indietro. È una fuga a basso costo che costa tutto.

“È una dipendenza invisibile: non ha odore, non ha pupille dilatate, non lascia tracce sulla scrivania. E infatti molti familiari se ne accorgono quando ormai è troppo tardi. – continua la psicoterapeuta – Una malattia vera, riconosciuta tardi. Solo nel 1980 la comunità scientifica internazionale la riconosce. Non come vizio, non come mancanza di volontà: come disturbo del controllo degli impulsi. Poi la verità è diventata evidente: la struttura celebrale coinvolta è identica a quella delle droghe. Oggi il gioco d’azzardo è classificato come dipendenza patologica, con gli stessi meccanismi neurobiologici dell’eroina o dell’alcol”.

Eppure, culturalmente, siamo ancora fermi a un passo indietro. Perché?

“Perché è legale. Perché è promosso. Perché è comodo e immediatamente disponibile. E soprattutto perché è silenzioso”.

La vergogna lo rende invisibile: molti chiedono aiuto per l’ansia, per i debiti, per la famiglia distrutta, ma non nominano la parola ‘gioco’. Prima di arrivare a un centro specialistico, infatti, il percorso è una discesa muta.

“Medico per ansiolitici, finanziarie per prestiti, Caritas per un pacco alimentare, avvocati per il fallimento, usurai quando tutto è finito”.

1.5 milioni di giocatori.  Ma quanti sono i giocatori patologici?

“Le stime ufficiali parlano di 1,5 milioni di persone. Ma noi esperti sappiamo che sono in realtà molti di più”.

Perché è una dipendenza democratica. Può colpire tutti: operai, pensionati, professionisti, studenti. Non ha volto né classe sociale.

“Chi prende mille euro ne gioca duemila. Chi guadagna diecimila ne gioca ventimila.  – riprende Stella – Vale per il pensionato sotto casa come per un giovane milionario della Serie A”.

Nel distretto di Rimini, la spesa pro capite per l’azzardo fisico supera del 20% la media regionale. E i numeri fanno tremare: secondo Espad Italia, il 57% degli studenti tra 14 e 19 anni ha praticato gioco d’azzardo – il comportamento a rischio più diffuso tra gli adolescenti italiani. Non si tratta di trasgressione: è diseducazione collettiva, normalizzazione, accesso senza limiti via smartphone.