Home Vita della chiesa Fra tanti, il suo nome è Carità

Fra tanti, il suo nome è Carità

La toponomastica è assai complessa. Ad un precedente generico “Frazione di San Michele”, è stato aggiunto dalla comunità sacerdotale, a cavallo degli anni ‘50 e ‘60, il titolo di “S. Agata martire”. Il parroco attuale ha recuperato il titolo antico dialettale “È Fabrech” traducendolo in italiano “La Fabbrica”. L’operazione è risultata assai gradita alla popolazione che leggeva in tale nome il proprio passato, presente ancora nell’inconscio collettivo. A rispetto delle scelte ecclesiali oggi siamo giunti a questa espressione «S. Agata – “La Fabbrica”»; rimane ancora per chi arriva da Nord Est quella strana plancia “S. Michele”. Un agglomerato di case nato sulla Strada Provinciale 14, detta anche “Santarcangelese”.
La popolazione (1750 abitanti) è molto varia. Ad un nucleo autoctono si sono aggiunti abitanti provenienti da molte parti d’Italia e ultimamente del mondo; le case figlie di speculazione edilizia e penalizzate dal traffico, congiuntamente ad una urbanistica che impedisce il formarsi di un “centro”, rende la residenza assai precaria. Attualmente il traffico quotidiano sulla S.P.14 si aggira sui 15.000 automezzi (!), rendendo impossibile il raggiungimento della chiesa da parte di bambini o di anziani, ed anche talvolta dei pedoni in genere, se non portati in macchina da qualcuno. Lo stabilimento Buzzi Unicem, che aveva dato nome alla zona, ha interrotto bruscamente l’attività produttiva il 31 dicembre 2008: ora gli abitanti temono per l’area interessata (45.000 metri circa) grosse speculazioni edilizie.

Parroco dal 1987 è don Giancarlo Moretti, quasi 73 anni ben portati, originale e ricco di estro.
“Sono di fatto il secondo parroco di questa zona. Il primo servizio religioso fu iniziato dalla generosità pastorale di don Unico Ermeti, parroco di Santo Marino, poi dal 1974 nasce la parrocchia e primo parroco è don Natale Imola che con don Giovanni Bologna vi dette un bell’impulso. Da quando sono venuto il mio programma pastorale è stato questo: fare in modo che emergessero il più possibile le potenzialità di bene di ciascuno, dei gruppi parrocchiali, di ogni fedele e delle strutture della Parrocchia”.

Definire una parrocchia è sempre difficile; anzi si rischia di darne un’idea parziale.
“La Parrocchia, come porzione di Chiesa, la chiamerei Carità. Carità è il Suo nome, perché tutto ciò che non è carità in essa non è parte viva della Chiesa. In Parrocchia si cerca allora di fare ogni sforzo per far vivere sempre Gesù fra noi. Con Lui si punta costantemente ad essere Carità, pietre vive, membra vive, della Chiesa. Utilizzando le parole di Papa Giovanni XXIII all’inizio del Concilio: «Vogliamo riordinare la Casa, fare in modo che essa sia accogliente, pensata per tutti…». Questo è il progetto”.

Come la parrocchia si è preparata alla Visita Pastorale del Vescovo?
“Anzitutto con una «Missione al Popolo» tenuta dai Padri Passionisti di Casale incentrata sul tema di «Gesù Buon Pastore», presente nel Vescovo. Inoltre ogni realtà della parrocchia ha riflettuto in un’ampia revisione di vita. È stata per tutta la comunità una presa di coscienza ampia e importante che abbiamo cercato di trasferire nella relazione consegnata al Vescovo”.

Esistono in parrocchia strutture di partecipazione?
“Certo, la più importante è il Consiglio Pastorale. Una realtà molto viva ma che con fatica entra nella mentalità della gente come una espressione qualificata della propria appartenenza alla Chiesa. Le ragioni vanno cercate oltre che nella giovane età della comunità parrocchiale anche nel fatto che i tempi liberi sono pochi per tutti e si preferisce ricorrere ad altri strumenti (informarsi, consultarsi, decidere) per camminare insieme a tutta la comunità. È comunque presente un nucleo molto fedele; ci si incontra mediamente con cadenza mensile, ma talvolta assai più spesso per dare risposte condivise a necessità sopraggiunte o per momenti particolarmente significativi. Il metodo è quello della ricerca dell’unità, facilitato dall’ampia preghiera che precede sempre il confronto”.

Articolata è la pastorale dei giovani…
“Il primo gruppo è stato quello dei Ribissi. Ora questo giovani sono diventati giovani genitori, ma quella è un’esperienza che portano nel cuore. Si era agli inizi degli anni ’90. In quei tempi di piccole fazioni in cui le vite dei giovani erano divise tra bar, partito o parrocchia questo gruppo di giovani osò intraprendere una strada comune, una strada nuova, abbattendo tutti i muri, i sospetti e le presunte divisioni tra buoni e cattivi. Preferirono aprirsi, scommettere su chiunque fosse disposto a starci e a dare, a contribuire con i propri talenti. Fu come un vento che contagiò tanti, dai bimbi ai nonni. Amicizia, spettacoli e anche un forte impegno contro lo spaccio di droga, presente sul territorio”.

C’è un gruppo giovanile nominato il Melograno. Che significa?
“Il gruppo nasce nel 2008. L’idea iniziale era quella di dare continuità all’esperienza formativa maturata nel percorso che porta alla Cresima. La scelta del nome è nata guardando un dipinto e cogliendone i simbolismi. Il frutto del melograno infatti rappresenta l’energia vitale. I momenti migliori sono sempre i campeggi. In queste esperienze l’atmosfera all’interno del gruppo cambia, le barriere si abbassano e siamo tutti parte di una grande famiglia dove ognuno ha un ruolo unico e indispensabile. La parte dei doveri non pesa, si creano situazioni in cui sono proprio i ragazzi a organizzarsi in colori: ad ognuno corrisponde un significato al quale seguono specifiche mansioni: una metodologia creata da Chiara Lubich da sempre utilizzata all’interno della nostra parrocchia. Arsène, musulmano, ma a pieno titolo componente del gruppo ci ha riportato questa esperienza: «Per me non ha differenza trovare Dio da voi o in moschea: quando sono con voi, come nella preghiera comunitaria in moschea, sento la stessa presenza di Dio»”.

Qualche problema invece con le ultime generazioni?
“Difficoltà ce ne sono. I più giovani non hanno la stessa grinta degli altri nella trasmissione del testimone. I genitori dal canto loro per uno strano timore delle aggressioni da parte di un mondo ostile alla famiglia, unitamente alla presunzione che l’amore, o addirittura l’affetto – di cui la famiglia da noi è ancora tanto ricca – siano sufficienti a dare ai ragazzi una certa ossatura etica e culturale; la scuola, da parte sua, affolla di conoscenze la mente dei ragazzi costringendoli ad un lavoro nozionistico che lascia solo ritagli alla loro libertà; l’invasiva secolarizzazione poi illude i ragazzi che uno «strano concetto di emancipazione» li possa rendere felici… Ma la malattia di un ragazzo ed un pellegrinaggio a Sassello Livorno, da Chiara Luce Badano, per chiedere la grazia, hanno fortemente unito il nuovo gruppo post cresima”.

Altro problema cui fate cenno nella relazione è la catechesi dei piccoli.
“Difficile individuarne le cause, ma da qualche anno non si riesce più a reperire i Catechisti: troppi impegni per le altre attività; scarsa disponibilità dei giovani a questo tipo di servizio; le aumentate difficoltà di reggere all’urto dei bambini, con la conseguente incapacità di tenere la disciplina; e forse tante altre ancora …
Convinto che ogni difficoltà è una opportunità, ho preso come un «segno dei tempi» tale situazione; ne è nato un nuovo metodo di lavoro: il sabato alle ore 15 si incontrano tutti i bambini che si preparano alla Iª Comunione e alla Cresima. Il Parroco con tutti i bambini e ragazzi – alla presenza dei Genitori – svolge la catechesi sui misteri della fede cristiana, inserendoli nel percorso dell’anno liturgico. Nel tempo restante (fino alle ore 16,30), i bambini e ragazzi con i loro genitori, a gruppi per classi, in stanze separate si esercitano per dare forma, e così memorizzare, i contenuti offerti dal parroco. Naturalmente le resistenze al metodo non sono poche, soprattutto perché chiede una coinvolgimento cui la mamme di oggi e ancor più i papà non sono abituati. A loro basta una generica fede nell’esistenza di Dio. Ma per alcuni è stata l’occasione per la riscoperta della fede”.

Fra le realtà più consolidate c’è il Gruppo Condivisione o Caritas.
”Nasce una ventina d’anni fa come esigenza di condivisione, di fraternità. Con l’aiuto della gente sostine iniziative in America Latina, con uno scambio continuo di informazioni fraterne. Una iniziativa recente (la prima volta nel 2010) è stata a Natale quella di raccogliere giochi per i bambini meno fortunati negli asili e nelle scuole. Un successo! Da qualche mese il comune di Poggio Berni ci ha fornito un fondo cassa, che abbiamo ampliato le nostre possibilità di acquistare alimenti ogni mese; attualmente seguiamo 18 famiglie con tantissimi bambini!”

Purtroppo lo spazio è tiranno e tante ancora sarebbero le cose da raccontare: la Caritas, con tutta la sua dinamicità, il gruppo fidanzati, le associazioni culturali “La pioggia nel deserto” e “La Ginestra”, la “Parola di vita”, la commissione libro e quella artistica, il coro e la commissione della festa, come il gruppo di donne che tiene pulita la chiesa e gli ambienti…
“Non vorrei dimenticassi il bellissimo lavoro del gruppo nonni, che per noi sono una priorità, come l’educazione dei ragazzi, e l’impegno nell’ecumenismo…”

Quest’ultima davvero è una vostra singolarità.
“Da una decina di anni si intrattengono rapporti ecumenici con una Comunità evangelica di Mering, in Baviera. L’iniziativa partì dall’allora diacono di quella comunità parrocchiale, Steffan Mali Motta, che, ci conobbe frequentando una Messa domenicale con alcuni amici appartenenti al Movimento dei Focolari, provenienti dalla Germania. Seguirono diversi momenti di incontro: preghiera in comune, confronto sulla vita di fede, eventi artistici – religiosi. Tale comunità veniva in vacanza a settembre, ad Igea Marina, appunto per poter vivere questi momenti con noi. In occasione dei lavori per il restauro della nostra chiesa, la Comunità di Mering ci inviò mille Euro. Nell’estate scorsa in un incontro ben preparato, ho fatto dono dell’ultimo volume edito da Città Nuova, a coronamento della Biblioteca Sanctorum: «Testimoni della Fede nelle Chiese della Riforma». Molti erano commossi al momento di riceverlo: «Come? – dicevano – Voi cattolici ed anche il Vaticano, valorizzate tanto i nostri Testimoni della fede?». La prossima estate con alcuni giovani della parrocchia ricambierò la visita”.

Giovanni Tonelli