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Fortnite: come una droga?

Il fenomeno Fortnite è esploso negli USA e nel corso del 2018 sono stati numerosi i casi di bambini che, oltre al comprensibile entusiasmo per un gioco nuovo e popolare, sono andati oltre, sviluppando una forte dipendenza nei suoi confronti.

Caso esemplare è quello di una bambina britannica di nove anni, che è stata dovuta portare dallo psicoterapeuta per un periodo di riabilitazione dopo aver manifestato una serie di atteggiamenti preoccupanti dovuti proprio alla sua dipendenza da Fortnite.

Un’altra testimonianza, raccolta invece a Greensboro, in Carolina del Nord, racconta di un teenager che avrebbe ammesso di aver continuato a giocare perfino durante l’arrivo dell’uragano Florence, ignorando i più elementari istinti di sopravvivenza.

A seguito di questi, ed altri numerosi episodi, alcune emittenti statunitensi hanno iniziato a paragonare la dipendenza da Fortnite alla dipendenza, addirittura, dall’eroina.

Esagerazione o realtà?

A sollevare il caso è stato, in particolare, un report di Abc 8 News-Wric, emittente statunitense nel quale alcuni esperti hanno spiegato come Fortnite spinga alla produzione di dopamina e di altre sostanze chimiche nel sangue, che creerebbero effetti molto simili a quelli della dipendenza da droghe pesanti. Un po’ le stesse dinamiche che alcuni studi hanno legato ai social network, ma in chiave ancora più accentuata.

Tuttavia, occorre sottolineare come queste notizie non siano supportate da vere basi scientifiche e rischiano di creare facili allarmismi. Bisogna infatti considerare che il fenomeno, in realtà, non ha raggiunto le dimensioni di una dipendenza di massa e occorre fare le giuste distinzioni e valutare caso per caso.

Parlano gli esperti

Alberto Rossetti, psicologo e psicoterapeuta esperto in dipendenze giovanili dalle nuove tecnologie, spiega che non ci sono grandi prove scientifiche che possano giustificare una correlazione così netta fra il videogame e una dipendenza, e sottolinea che ogni adulto dovrebbe provare a capire in che modo il figlio utilizzi il videogioco, come reagisca agli stimoli e quale sia l’ambiente sociale intorno a lui. Quando un adolescente manifesta certi sintomi, il videogame potrebbe anche rappresentare un rifugio da altre turbolenze, dunque non si tratta tanto di stigmatizzare il gioco ma di capire quali circostanze possono portare a dedicargli troppo tempo e a sviluppare sintomi simili a quelli delle dipendenze.

E se per alcuni ragazzi può avere senso ricorrere a timer e avvisi che blocchino le partite dopo un certo numero di ore, questa soluzione non vale sempre per tutti, perché se il ragazzo presenta delle problematiche in questo senso, così facendo non vengono risolte e il soggetto potrebbe trovare altri luoghi virtuali, magari i social, dove rifugiarsi.

Anche Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, che spesso è intervenuto nel contesto riminese, si esprime su questo tema. “Come tutti i videogiochi ad alto potere immersivo – ha spiegato Pellai sulle pagine di Famiglia Cristiana – e basati su meccanismi di competizione ed esplorazione, anche Fortnite ha la capacità di ‘agganciare’ in modo potente il cervello ‘emotivo’ dei preadolescenti e tenerlo avvinto alle proprie dinamiche di gioco. Per cui, un ragazzo comincia a giocarci e quasi senza accorgersene ne viene risucchiato, rischiando di dimenticarsi di tutto il resto.

Diventa fondamentale sostenere il rispetto dei limiti di tempo che solo gli adulti possono definire e presidiare. Se i genitori abdicano a questo compito, i ragazzi non sapranno mai darsi un limite e tenderanno a permanere nell’esperienza del videogioco per tempi sempre crescenti e in modo sregolato. Il tempo prolungato nei videogiochi è quello in cui non vivono le relazioni con gli altri, non leggono, non studiano e non danno stimoli al loro cervello cognitivo. Così – conclude – diventano sempre più soli e sempre più isolati, cosa che produce molti effetti collaterali sulla loro salute organica e psicologica”.

Il dovere di un genitore, quindi, è fondamentale: prima di tutto è quello di capire quali siano le problematiche che spingono un adolescente a non vivere il mondo reale per rifugiarsi in quello virtuale, dopodiché occorre cercare di risolverle a monte.

Marianna Vitale

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