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Fedeltà a quale tradizione?

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Venerdì 16 luglio papa Francesco pubblica il Motu proprio Traditionis Custodes con il quale viene definitivamente abrogata la cosiddetta forma straordinaria della Messa, concessa da papa Benedetto XVI con Motu proprio Summorum Pontificum in continuità con la precedente scelta di san Giovanni Paolo II (Motu proprio Ecclesia Dei).

Sebbene fosse unicamente finalizzata a ricucire lo scisma con la Fraternità sacerdotale san Pio X (Lefebvriani), questa peculiare concessione ha incrementato la fondazione di piccole comunità di fedeli, costituitesi in ragione della forma tridentina. Rispetto a tale situazione pastorale ci si domanda: Quali sono le ragioni che hanno portato Papa Francesco a questa “chiusura”? Quali orientamenti pastorali si prospettano per le comunità che celebrano tutt’ora secondo questa antica forma liturgica? Ci si chiede anche se vi siano possibili riverberi o “ricadute” per le nostre assemblee domenicali… A questi e altri interrogativi abbiamo interpellato don Marcello Zammarchi, docente di Liturgia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli”.

La scelta di papa Francesco di abrogare la forma “straordinaria” della Messa sembra giungere come un fulmine a ciel sereno…

“In realtà non è così. Si consideri che questa facoltà – l’utilizzo del Messale di Pio V (1570) edito sotto il pontificato di Giovanni XXIII (1962) – è stata concessa quattordici anni fa. Non solo. Già nel 1984 la Congregazione per il Culto Divino (Lettera ai Presidenti delle Conferenze Episcopali Quattuor abhinc annos) offriva per indulto questa possibilità celebrativa. Un periodo assolutamente non breve, sufficiente per effettuare un coerente e oggettivo bilancio sull’andamento dell’esperienza. Così lo scorso anno è stata avviata una consultazione tramite questionario di tutti i vescovi con l’intento di verificare se effettivamente il celebrare secondo tale forma, nel tempo avesse favorito o quanto meno incrementato lo spirito di unità ecclesiale (non solo liturgica)”.

E ciò è avvenuto?

“A dire il vero, nella maggior parte delle esperienze celebrative, non si è raggiunto lo scopo prefissato. Non solo, contrariamente a quanto ci si attendeva, questa verifica ha rivelato una situazione alquanto preoccupante e dolorosa. Gli abusi (di qualsiasi genere) così come un uso “strumentale” del Messale tridentino hanno veicolato posizioni ideologiche negative, contrarie (anche di totale rifiuto) al magistero del Concilio Vaticano II e all’opera di Riforma. Invece di favorire quell’auspicata comunione per un pieno inserimento nella forma “ordinaria”, col trascorrere del tempo questa concessione ha generato una doppia e consequenziale deriva: il poter scegliere personalmente la forma liturgica più confacente alla personale sensibilità spirituale e qualificare la Messa tridentina come “ l’unica, vera ed autentica tradizione”, la sola capace di attualizzare la sacralità del Mistero celebrato”.

Parli di “tradizione autentica”. Il Motu proprio inizia proprio con questo termine e chiama in causa i vescovi definendoli i “custodi della tradizione”…

“Se riflettiamo attentamente riconosciamo, senza troppa difficoltà, che anche nella società civile ogni forma tradizionale non s’impone come realtà a se stante. Tutta la tradizione della chiesa, specialmente la Parola di Dio, l’Eucaristia, l’insegnamento dei Padri, la Liturgia stessa, non sono tesori generati nel passato riproposti nel presente. Se così fosse, sarebbe più che legittimo “ergere fortini”, “schierare eserciti” a difesa del sacro patrimonio.

Dovremmo, in realtà, non dissociare mai “ tradizione” da “ cammino ecclesiale”. Ogni sentiero prevede un “lasciare” e un “accogliere”. Solo in questa prospettiva è possibile tenere insieme continuità e discontinuità, “cose nuove” e “cose antiche” (Cfr. Mt 13, 52). Papa Francesco ricorda quanto già affermato dal Concilio stesso: il vescovo diocesano è sorvegliante e custode della tradizione (Cfr.Lumen Gentium, 23) e ci aiuta a viverla non come proposizione del passato ma come visione profetica per il futuro della Chiesa.

Se ogni tradizione è soggetta a mutamenti, ritieni allora che la messa tridentina sia inadeguata per l’oggi cristiano?

“Come dicevo, il più o meno consapevole ritorno all’io ecclesiale ha alimentato nel singolo fedele il desiderio di scegliersi il “rito migliore”. È chiaro che in questi termini risulta difficile accettare ogni tipo di cammino di conversione. Se si esce dal “seminato” si finisce col fare “valutazioni” di questo genere. Pur con la consapevolezza che con la Riforma non si siano raggiunti “riti perfetti”, credo che il Concilio ci abbia mostrato una duplice bellezza: l’universalità della liturgia e la dimensione comunitaria del celebrare cristiano.

C’è una Lex Orandi (forma della preghiera) universale, destinata ad essere per tutti, per questo “unica” e c’è una comunità capace di radunarsi ed insieme celebrare… la sorpresa che il Mistero celebrato possieda un “corpo” ed un “volto”, non ideale ma concreto, fatto di parole, di gesti, di silenzi, di canti, di tempo e di spazio. Un solo corpo, un solo Spirito, una sola speranza, una sola fede… (Ef 4, 4-5)”.

Papa Francesco ci esorta alla fedeltà, ai testi e ai riti. Non pensi che questo richiamo possa, in qualche maniera, “ingessare” la liturgia?

“Tutto sta quale significato attribuiamo a “ fedeltà”. Per spiegarmi meglio utilizzo come metafora il matrimonio. Un uomo e una donna quando si sposano, sono consapevoli che la loro unione non possiederà la forma del “matrimonio perfetto”; saranno loro stessi, la loro “creatività” nell’accogliersi nella diversità a dare forma al loro matrimonio. Ecco la “fedeltà” ai riti e alle norme liturgiche: se antepongo la “rigidità” rubricistica alla vita dell’uomo, finisco per ottenere una perfetta performance rituale, ma senz’anima, senza volto, senza cuore palpitante.

Fedeltà a Cristo, alla Chiesa, alla tradizione passata, presente e futura deve rimandarmi all’autentico spirito della “nuzialità”: sposi, scelti da Dio attraverso l’altro, chiamati ad accogliersi totalmente, con pregi e difetti, senza pretese perfezionistiche, accettando e scegliendo con amore ogni diversità”.

Ritieni che questo Motu proprio possa essere utile per ogni comunità cristiana?

“Assolutamente sì. Nella sua interessante lettera di accompagno al testo del Motu proprio, il Papa delinea due piste operative per quanti attualmente celebrano con il rito tridentino.

Ecco, ritengo che queste indicazioni possano stimolare in ciascuna comunità un fecondo percorso di verifica.

Primo: provvedere al bene spirituale di ognuno maturando una particolare attenzione ed accompagnamento personale.

Secondo: interrompere e non generare “forme soggettive”, dettate dai propri gusti spirituali e desideri personali. Due passi decisivi…per cammini di autentica comunione”.