Faccio la nanna…se non disturbo

    Essere genitori non è davvero una cosa facile. Specialmente quando arriva il momento di passare dalla teoria alla pratica! Tra le tante prove che una coppia di neogenitori potrebbe dover superare, c’è quella di ritrovarsi tra le braccia un adorabile fagottino, che di notte non vuole saperne di dormire sonni tranquilli e regolari. Inevitabilmente questo dà vita ad una spiacevole odissea domestica che fa dimenticare a tutti il sereno riposo. Quello dei risvegli notturni periodici nei bambini in età pediatrica, è un problema sempre più diffuso e che manifesta un complesso insieme di concause che lo determinano. Per fare luce sulla nodosa faccenda abbiamo intervistato Gertrude Righi, psicologa e psicoterapeuta del reparto di neuropsichiatria infantile dell’Asl di Rimini.

    Si può quantificare il fenomeno?
    “I dati in nostro possesso, rivelano che quasi il 30% delle famiglie, con bambini al disotto dei tre anni, affrontano problemi legati al disturbo del sonno, e questo in quasi tutti i paesi occidentali con un incremento ulteriore nell’ultimo ventennio. È però, fisiologicamente normale che fino ai sei mesi il bambino abbia un sonno irregolare, poi possono subentrare altri fattori”.

    Quali possono essere?
    “Il discorso è complesso, però alimentano il disturbo: le modifiche delle abitudini sociali, o meglio una maggiore “intrusione” delle componenti socio-lavorative all’interno del nucleo famigliare; oppure il maggiore numero di stimoli esterni che i bambini ricevono ad esempio dai giocattoli, dai mass media, dai genitori stessi ecc. Può inoltre, rientrarvi una scorretta o non bilanciata alimentazione. Nell’analisi dei fattori è importante vagliare anche possibili cause mediche (come otiti, coliche, allergie, febbri…) e malattie neurologiche/psichiatriche, ma queste ultime sono casi gravi”.

    Come si inseriscono in questo discorso, le dinamiche dell’interazione genitore-bambino?
    “Il comportamento del genitore durante l’addormentamento e i risvegli è determinante nel creare un circolo vizioso che automantiene il disturbo. Se un bambino dorme fino ai cinque mesi, poi dal sesto mese fatica ad addormentarsi significa che vi è un normale modificarsi della funzione e del significato del sonno da parte del piccolo: nei primi mesi vi è una alternanza stretta tra sonno/veglia e i bisogni, ovvero riposare e avere la pancia piena, ma da un determinato mese in avanti la relazione con la madre diventa elemento di una maturazione psicoaffettiva che modifica questa alternanza. Perciò se una madre addormenta il figlio in braccio o al seno ciò crea un’associazione nel bambino tra il sonno e il seno materno, cosicché il neonato lo richiederà ogni volta che faticherà a passare dalla fase della veglia a quella del sonno”.

    I disturbi del sonno, sono tutti uguali?
    “Ci sono due tipologie di disturbo: la prima riguarda la fase di addormentamento, il neonato cioè fatica a prendere sonno. Parliamo di almeno tre notti alla settimana e di una difficoltà di addormentamento di oltre quarantacinque minuti. La seconda riguarda i problemi durante il sonno: almeno tre notti alla settimana con più di due risvegli e oltre i trenta minuti per riaddormentarsi”.

    Le cure farmacologiche?
    “Sono terapie temporanee e vanno sempre accompagnate da trattamenti comportamentali/educativi. I derivati antistaminici, per esempio, possono essere somministrati, quando il bambino si addormenta a scuola o quando siamo in presenza di casi limite, con i genitori che non riescono più a gestire la cosa”.

    Cosa pensa del prolificare dei manuali e dei consigli fai da te?
    “Esistono due approcci teorici: il metodo Estivill che prevede un trattamento rigido in cui si cerca di ottenere l’effetto desiderato controllando periodicamente il pianto del bambino, ma tendenzialmente lasciandolo alle sue “crisi”; e il metodo Gonzales che fa sua la teoria opposta dell’attaccamento, in cui coccole rassicuranti e addormentamento al seno o nel lettone diventano elementi chiave. Eccessivi entrambi. Importante è lo stato emotivo con il quale il genitore si avvicina ad un metodo piuttosto che all’altro: se l’approccio Estivill distrugge l’immagine genitoriale allora è sbagliato proseguire! Se il bimbo si addormenta solo nel lettone, non sarò certamente io a persuadere il genitore a non farlo. Perché se l’effetto ottenuto è “sonno per tutta la famiglia” allora il metodo è quello giusto. Quindi è essenziale prima di dire ad un genitore come e cosa deve fare, chiedergli cosa prova e come vive la situazione”.

    In che cosa consiste l’igiene del sonno?
    “Sono regole per il buon sonno: mettere il bambino nella culla ancora sveglio lasciandogli il tempo di addormentarsi da solo nella sua stanza (si può già iniziare intorno ai quattro-sei mesi); cercare di seguire degli orari regolari e instaurare un rituale per l’addormentamento; dare al piccolo un “oggetto transizionale” di cui si fida e che sostituisce la presenza rassicurante della mamma; avvicinarsi al bambino qualora piangesse, senza colmarlo di attenzioni; andare via dalla stanza prima che sia completamente addormentato. È controindicato allattare il bambino e cullarlo per farlo addormentare, perché il seno e le braccia materne diventeranno ricordi associati al sonno e di cui il bambino non vuole privarsi. A volte il muoversi o il piagnucolare non significa che il bambino sia sveglio o che voglia essere preso in braccio”.

    Quando ci si deve rivolgere al pediatra?
    “Passati 20-30 giorni in ci si sono provate tutte.Oppure quando ci si accorge che si vive un momento di grande difficoltà e le energie sono terminate”.

    Esiste il “genitore perfetto”?
    “A nessuno si può attribuire l’appellativo di genitore modello! Io credo che la miglior qualità in un genitore è l’autocritica, ovvero avere la capacità di rivedere le proprie teorie e le proprie pratiche in relazione al bene del bambino”.

    Laura Pagliani