In provincia 47.000 abitazioni risultano non occupate, 14.000 solo nel capoluogo. Con tutto quello che questo comporta in fatto di entrate per lo Stato
Sul tema abitazioni, soprattutto di quelle 47.000 non occupate da residenti in provincia di Rimini (14.000 solo nel capoluogo) praticamente una su quattro, di cui due terzi concentrate lungo la costa, c’è qualcosa che non torna. In genere la colpa, se di colpa si tratta, viene data ai proprietari degli immobili che preferirebbero la formula degli affitti brevi, meno impegnativa e più remunerativa, agli affitti annuali. Un fenomeno che, secondo le stime, non dovrebbe togliere dal mercato più del dieci/quindici per cento delle abitazioni vuote. Quindi ci deve essere dell’altro. E l’altro sono gli immobili di proprietari non residenti che li utilizzano per le loro vacanze in riviera, pochi mesi l’anno. È dubbio però che possano coprire il resto delle abitazioni non occupate. Resta sempre la domanda: che fine fanno migliaia di immobili all’apparenza vuoti (nel caso pagherebbero solo l’Imu)? Perché la percezione comune è che in zona la rendita immobiliare sia piuttosto diffusa. Un riscontro, se fosse vero, lo dovremmo trovare nel Quadro B della dichiarazione Irpef dove vanno riportati i redditi da fabbricati, compresi gli affitti brevi. Compilazione che sarebbe dovuta proprio dalle persone fisiche cui fa capo, in Italia, più dei nove decimi del patrimonio abitativo residenziale, in valore 3,6 volte il Pil nazionale (3,1 volte in Emilia-Romagna). Alla prova dei fatti però, come redditi da fabbricati troviamo solo poche migliaia di euro per dichiarazione (sono considerate solo le dichiarazioni che compilano il quadro B), tra l’altro in calo e apparentemente in controtendenza rispetto al diffondersi degli affitti brevi. La media, per il 2023, varia tra i 2,7 mila euro di Riccione e 1,16 mila di Novafeltria, passando per 1,81 mila euro di Rimini.
Complice di una cifra così esigua sicuramente sono i bassi valori catastali delle abitazioni di proprietà, classificazione risalente nientedimeno che al 1939, utilizzate come dimora principale, che coprono oltre il 70 % del totale. Una conferma arriva, come reso noto da ‘Il Sole 24 Ore’ di lunedì 21 ottobre 2024, dalla forbice crescente tra prezzi di mercato e valori catastali degli immobili per l’anno 2023, che nel capoluogo Rimini è di 2,59 (era 2,58 nel 2018), risultando il più alto dell’Emilia-Romagna (Ravenna 1,80; Forlì 1,52; Bologna 1,71; Modena 1,76 e Reggio Emilia 1,62). Solo a Milano questo rapporto è più alto: 2,62. In sostanza vuol dire che i prezzi di mercato sono due e anche tre volte superiori a quelli catastali, per cui si versano le imposte. Se non bastasse si aggiunga che negli ultimi cinque anni (2018-2023) la rendita catastale media a livello nazionale è aumentata di soli 5 euro (avete letto bene, non è un errore!): da 486,60 a 491,69 euro. Ma le storture non finiscono qui: perché ci sono immobili di pregio, nei centri urbani, che addirittura si ritrovano con valori catastali più bassi di alloggi popolari in periferia. L’ultimo tentativo di aggiornare il catasto risale al Governo Draghi nel 2022, poi caduto. Il precedente risale addirittura al primo dopoguerra, fallito pure quello, tanto che Luigi Einaudi, Governatore della Banca d’Italia, potè scrivere, nel 1946, “il catasto edilizia è rimasto arenato quand’era quasi giunto al traguardo” (Einaudi, L’imposta patrimoniale). Certo, stiamo parlando di media, dove tutto si mescola, ma certamente da queste dichiarazioni dei redditi dei fabbricati è difficile trovare traccia degli affitti di 700/800 euro mensili che oramai sono considerati la base minima. Anche considerando che le abitazioni in affitto rappresentano un sesto circa del totale. In sintesi, gli immobili, compreso gli affitti, in tutto e per tutto seguono logiche di mercato, eccetto quando si tratta di pagare le tasse. Sconti, inutile negarlo, che fanno comodo a tutti, ma soprattutto a chi dispone di cospicui patrimoni immobiliari. Che invece sono pochi. Eppure, stando nell’ultima Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva in Italia, del Ministero dell’Economia, per le locazioni, la cedolare secca, cioè il pagamento di una tassa piatta indipendentemente dal reddito complessivo, introdotta nel 2011, avrebbe favorito l’emersione dei canoni; tuttavia, nel 2022 l’evasione è riaumentata, pare per effetto della forte ripresa del turismo post-pandemico e dell’espansione delle locazioni brevi, non sempre pienamente tracciate. Maggiori controlli potrebbero chiarire questo aspetto, oltre a combattere l’evasione.


