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Educazione sessuale, questa sconosciuta

Alzino le mani quanti di voi hanno fatto più di cinque domande sulla sessualità ai figli durante l’età evolutiva”. Questa la richiesta rivolta dal medico e psicoterapeuta Alberto Pellai al suo pubblico nell’incontro tenutosi a Rimini presso la parrocchia di San Vito, sul tema ‘Adolescenti e sessualità: per capire e mettersi in ascolto’. Con poca sorpresa da parte del relatore, nessuna mano si leva dall’assemblea. Proprio sulla relazione genitori-figli verte il discorso del relatore, al fine di sottolineare il fondamentale rapporto educativo che si deve stringere tra il giovane e l’adulto, soprattutto su un tema così importante, e far riflettere non solo chi già è padre e madre, ma anche chi un giorno potrebbe diventarlo

Dottor Pellai, cominciamo col distinguere in modo preciso tutti gli elementi che vanno a comporre la delicata sfera della sessualità.

“Ci sono due porte tramite le quali accedere alla sessualità: quella dell’eccitazione, basata sulla gratificazione istantanea conseguita tramite l’ingresso nel cervello di dopamina, la cui produzione confluisce in un meccanismo che innesca dipendenza, e quella dell’intimità, che pur avendo a che fare a sua volta con la dopamina, si appoggia su un altro neuromediatore, l’ossitocina, che fa sentire profondamente intimi all’interno di una relazione, ricreando una connessione profonda con chi è coinvolto assieme a noi nell’esperienza amorosa che si fa anche sessuale. Quest’ultima modalità significa davvero ‘fare l’amore’, rappresenta un costruire progressivo sempre più profondo di un legame che non vincola, bensì viene scelto giorno dopo giorno. Noi essere umani non siamo come gli animali, nei quali la sessualità agisce per conto proprio: dobbiamo essere noi a decidere con quale modalità affrontarla”.

Una scelta, dottore, alla quale i ragazzi nel periodo della pubertà non sono ancora del tutto pronti.

“La scelta è un processo cognitivo complesso, che intreccia una grande quantità di variabili per condurre ad una decisione consapevole e responsabile. Tra i 10 e i 14 anni, quando la sessualità è un’esplosione di sentire, costruire i significati è faticosissimo, poiché la sezione del nostro cervello dedita a questa attività è ancora profondamente immatura. Durante la pubertà, quindi, la parte di noi che sente la vita e ricerca sensazioni intense, collocata all’interno del sistema limbico, diventa potentissima: una potenza non accompagnata però dalla competenza, poiché la zona del nostro cervello che pensa non è ancora abbastanza sviluppata. Per questo è fondamentale che il mondo adulto faccia un lavoro di monitoraggio, di supervisione, di significazione: un vero e proprio percorso di educazione”.

La palla, quindi, è in gran parte nelle mani dei genitori.

“Esattamente, e invito ognuno a chiedersi quanto tempo ha trascorso con i propri figli prima dei 14 anni circa il progetto di educazione affettiva e sessuale. Se ci pensiamo, ne passiamo davvero tantissimo solo ad esempio per scegliere la meta delle vacanze estive: si discute, ci si informa, si sfogliano cataloghi. Quanto invece ne abbiamo dedicato alla sessualità, quanto abbiamo discusso al riguardo, quanto ne abbiamo parlato? Zero minuti. Eppure la sessualità non dura 2/3 settimane come le vacanze, ma tutta la vita. Molti genitori credono che se il ragazzo non fa domande evidentemente non è ancora pronto, eppure nemmeno noi ne abbiamo mai poste nonostante i tanti interrogativi che ci sorgevano. Ma perché non arrivano queste domande? Perché un sacco di messaggi che giungono ai nostri figli dicono loro che è meglio evitarle, a partire dal classico record di salto in lungo per raggiungere il telecomando ogni volta che in tv appare qualcosa di sessuale”.

Come reputa, dunque, il modo in cui il mondo adulto affronta questa tematica?

“Penso che come mondo adulto probabilmente non sappiamo più che genere di educazione sessuale e affettiva serve ai nostri figli. Per unire eccitazione e intimità è necessario essere buoni testimoni dell’amore, ma al giorno d’oggi la narrazione su di esso è spaventosa: viene rappresentato come qualcosa di tossico, che può essere pericoloso e può far male, e questo va sì detto, dobbiamo ammonire riguardo alle relazioni abusanti e manipolatorie. Allo stesso tempo, però, siamo fragili noi adulti nel raccontare la bellezza dell’amore dentro le nostre vite. Se un genitore all’interno di una relazione stabile dopo aver messo su famiglia dà la sensazione di aver perso tutto, il figlio ne risentirà. Le stesse ricerche lo confermano: un sondaggio condotto due anni fa dalla Fondazione Donat-Cattin rivela come un adolescente su due dichiari di non voler avere figli.

Qui si sfocia in un discorso che è proprio socio-antropologico: chi siamo noi adulti in questo momento? Come siamo visti? Siamo persone che testimoniano la bellezza delle cose per cui vale la pena stare al mondo? La sessualità e l’amore sono di sicuro motori potentissimi all’interno delle nostre vite: che cosa ne stiamo facendo, che genere di narrazione condividiamo? La nostra prima responsabilità è riflettere su cosa diciamo, cosa facciamo con noi stessi, avere un’identità forte: non essere ‘adultescenti’, continuando a immaginare ogni volta ciò che avremmo potuto essere e ciò che potremmo diventare”.

Andrea Pasini