Home Cultura E tu che storia sei venuto a raccontare?

E tu che storia sei venuto a raccontare?

Arrivato in classe non è rimasto dietro la cattedra, ma si è posizionato subito davanti ad essa, quasi a mostrare, anche fisicamente, la sua vicinanza ai ragazzi. Alessandro d’Avenia, scrittore ed insegnante, autore del libro cult Bianco come il latte, rosso come il sangue e del più recente Cose che nessuno sa, per un giorno è stato il “prof” di duemila studenti delle scuole riminesi riuniti al Palacongressi. “L’urgenza è vivere”: questo il titolo dell’incontro introdotto da Giacomo Morigi, presidente della consulta giovanile riminese, e da Gabriele Boselli, dirigente dell’Ufficio Scolastico Territoriale.
Nato a Palermo, in una famiglia numerosa (tre fratelli e tre sorelle), nella quale lui stesso afferma “ho imparato il 90% delle cose da sapere nella vita”, D’Avenia ha studiato a Roma, poi a Siena, e dopo undici anni si è trasferito a Milano per frequentare un master di sceneggiatura. A 35 anni, ora insegna italiano e latino in un liceo di Torino. Studia, legge, scrive, fa sport, guarda film e serie, cura il suo blog, esce con gli amici. Il padre dentista, la madre impegnata nella scuola. Lui ha “rifiutato” la via facile offerta dal seguire le orme paterne, e una decina di anni fa si è messo in cammino sulla strada dell’insegnamento.
A Rimini d’Avenia ha parlato ai giovani, attraverso il racconto di storie, ciò che ama fare di più. Un’arte scoperta alla tenera età di cinque anni. “Mentre ero all’asilo a giocare con il pongo, in un mondo paradisiaco – racconta lo scrittore – sono stato chiamato dalla maestra che mi ha portato in prima elementare. La scena che mi ha accolto non era più paradisiaca, come quella dell’asilo, dove i bambini erano tutti in cerchio sorridenti. A scuola, gli allievi erano dietro il loro banco che guardavano due numeri sulla lavagna (7×8). Per difendermi da questo nuovo mondo,ho alzato gli occhi verso il cartellone delle lettere: GN= gnomo, F= farfalla, C= coltello, e ho iniziato ad immaginare le relazioni tra queste parole. Cosa ha fatto lo gnomo alla farfalla con il coltello? Così ho iniziato ad elaborare una storia”.
La vocazione all’insegnamento, d’Avenia l’ha maturata più avanti, quando – in un pomeriggio d’inverno – voglia di fare i compiti sotto i tacchi, ha acceso la televisione. “Trasmettevano il film L’attimo fuggente<+cors>. Sono rimasto abbagliato dalla figura del maestro, mentre il professor Keatings spiega Shakespeare ai suoi allievi: lì ho capito che avevo bisogno che quel momento si completasse con altri momenti”. “Alla vostra età – ha proseguito D’Avenia rivolgendosi ai duemila studenti riminesi – dovete stare attenti a questi attimi. Se dopo questo incontro in voi si accende qualcosa, è perché è già dentro di voi. Noi abbiamo bisogno di parole perché esse ci aiutano a possederci e a conoscerci. A me piace raccontare storie. E se io oggi ti chiedessi: quali momenti sceglieresti per raccontarmi la tua? Chi non riesce a raccontare la sua storia è perché manca di alcuni aspetti: amore, dolore, scelte. Sono queste cose – dice ancora ai ragazzi – che danno consistenza alla vita; non il tempo passato su facebook”. Davanti ai suoi alunni per un giorno, lo scrittore palermitano cita numerosi autori da Dante a Dostoevskij, fino a Sant’Agostino: “Il passato è memoria, il futuro è attesa, il presente è attenzione. Per poter raccontare la propria storia è necessario tenere gli occhi aperti. Vivendo il presente come attenzione, l’anima si apre e si scopre che la vita è una promessa da realizzare”.
Qualcuno sposta il tiro del dialogo: “Oggi, con la situazione lavorativa ed economica che abbiamo davanti, come facciamo a non mettere dei «ma» nel nostro futuro?”. D’Avenia non si fa pregare. “Non possiamo più pensare che il mondo abbia i confini di quello che vediamo. Il mondo va al di là della città nella quale vivete ora. Il buio lo riempiamo delle cose che ci fanno paura. È importante farsi aiutare da qualcuno ad accendere la luce. Un giorno un amico mi ha chiesto: «Come ti immagini a 45 anni? che stai otturando un dente a un anziano o stai insegnando ai tuoi alunni?». Credo che il successo è essere se stessi e donare un pochino della propria vita agli altri”.
Un messaggio per alunni ed insegnanti.
Un invito, l’indicazione di una strada ai giovani, ma anche agli insegnanti presenti, ai quali ricorda che “non basta conoscere la propria materia per insegnare bene, bisogna introdurre al vivere”.
Allievo di don Puglisi (ucciso dalla mafia quando D’Avenia era in IV liceo) lo scrittore ama ricordare le persone che hanno acceso una luce nella sua vita; tra queste, oltre a don Puglisi, docente di religione, ricorda l’insegnante di lettere al quale brillavano gli occhi quando – a 65 anni – spiegava Dante e Petrarca a un gruppo di ragazzi ai quali non interessava niente di questi poeti. “Noi non conosciamo la nostra altezza fino a quando qualcuno non ci aiuta ad alzarci in piedi. Questo professore un giorno mi ha prestato il suo libro preferito: dopo tre settimane avrei dovuto riconsegnarglielo. Un segreto di un uomo fatto ad un altro uomo. L’insegnante mi ha dato fiducia prestandomi il suo libro preferito e dandomi un compito da svolgere in tre settimane”.
“Quindi – ha aggiunto D’Avenia ai ragazzi – mettetevi in gioco. Non lasciatevi limitare. Non accontentatevi. Usate i cinque sensi per trovare il senso della vostra vita e delle cose che fate. Non lasciatevi trasportare dalla rete che ci priva dei nostri sensi. Vivete quelle notifiche che ricevete ed inviate su facebook. Andate a trovare le persone con le quali siete in contatto tramite la rete. Siete fatti per questo: per abbracciare il mondo, vivere, essere senza confini. Per vivere ora le vostre domande. Qual è il mio successo? Stare in classe con i miei alunni ad insegnare. E tu, che storia sei venuto a raccontare su questa terra?”.

Letizia Rossi