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Dittico dantesco

Il soprano Veronica Granatiero (Lauretta) e il tenore Pietro Adaini (Rinuccio) - Ph Pergolini
Il soprano Veronica Granatiero (Lauretta) e il tenore Pietro Adaini (Rinuccio) - Ph Pergolini

Il conte Ugolino di Donizetti e Gianni Schicchi di Puccini proposti in abbinamento alle Muse di Ancona per la regia di Marco Baliani  

ANCONA, 5 settembre 2021 – Donizetti probabilmente aveva pensato che la musicalità degli endecasillabi di Dante bastasse, da sola, a riempire il palcoscenico. Per questo, quando nel 1826 l’ancor giovane compositore mise in musica Il conte Ugolino, con tanto di dedica al già famosissimo basso Lablache, si limitò al solo accompagnamento pianistico. Forse, si riproponeva di farne in seguito una rielaborazione orchestrale, che però non realizzò mai. Si cimentò invece in questa impresa – seppure senza portarla a termine – un suo allievo di composizione, il napoletano Marcello Pepe. Effettivamente la potenza del XXXIII canto dell’Inferno è tale che la musica non riesce ad aggiungervi molto altro in termini drammatici: semmai può fornire una bussola, utile all’interprete, per una declamazione intonata.

Il baritono Sergio Vitale (Gianni Schicchi) - Ph Pergolini
Il baritono Sergio Vitale (Gianni Schicchi) – Ph Pergolini

Il conte Ugolino è stato proposto – in prima esecuzione – per la rassegna “Kammeroper alle Muse”, nell’orchestrazione lasciata incompiuta da Pepe e completata adesso dalla giovane Paola Magnanini. Protagonista di questa nuova produzione il basso Luca Dall’Amico che, avvolto in una lugubre palandrana nera, ha enfatizzato i risvolti inquietanti e sinistri delle terzine dantesche. L’ascoltatore si ritrova al centro di un caleidoscopio di emozioni evocate, più che da un’orchestra che non aggiunge molto a quanto già scritto da Donizetti, da una linea di canto d’inesauribile varietà e – come spesso succede per la musica di questo compositore – mai prevedibile, oltre che piena di spunti innovativi.

Nella serata anconetana, pur rimanendo legati a Dante (doveroso omaggio nell’anno del settimo centenario), si è poi voltata radicalmente pagina con Gianni Schicchi, l’atto unico ricavato dal librettista Giovacchino Forzano da un breve episodio del XXX canto dell’Inferno, cui la musica di Puccini imprime una comicità irresistibile. Il regista di questo insolito dittico, Marco Baliani, ha costruito lo spettacolo come un vero e proprio ingranaggio a orologeria: condizione indispensabile per valorizzare, soprattutto, le potenzialità comiche dello Schicchi.

Consapevole dell’icasticità con cui Puccini pennella tutti i personaggi, la regia li caratterizza con minuziosa attenzione ai dettagli e attraverso un accurato lavoro sulla gestualità. Al centro del palcoscenico, in gran parte riservato agli orchestrali, il solo baldacchino con il letto in cui giace Buoso Donati e che sarà poi occupato da Schicchi quando ne falsifica l’identità. Gli abiti realizzati da Stefania Cempini e Lucio Diana, che firma pure scene e luci, rimandano al primo novecento: gli anni in cui è nato il Trittico pucciniano (1918), di cui Gianni Schicchi rappresenta l’ultimo pannello. Irresistibili i fermo immagine che fissano per qualche istante le espressioni del volto e le posture dei parenti del defunto, dove si legge tutta l’ipocrisia, l’avidità, la preoccupazione di rimanere diseredati, così come la meschinità legata al loro ridicolo disprezzo verso chi appartiene a un ceto inferiore.

Cast giovane e ben affiatato: una squadra rodatissima di ottimi cantanti-attori. Su tutti svettava il baritono Sergio Vitale: per il controllo dell’emissione, per una voce voluminosa e tonda con cui ha disegnato un protagonista esilarante e cinico nello stesso tempo. La coppia giovane era formata dal tenore Pietro Adaini, un Rinuccio sempre sicuro anche in acuto, e dal soprano Veronica Granatiero, brava e precisa nei suoi interventi e nella celeberrima aria di Lauretta O mio babbino caro. Dal timbro autenticamente contraltile e dalla notevole presenza scenica Mariangela Marini, nei panni di una grottesca Zita, mentre è tornato ancora Luca Dall’Amico per interpretare l’anziano e patetico Simone. Vanno poi ricordati la famigliola formata da Gherardo, Nella (il tenore Alessandro Fiocchetti, il soprano Zuzanna Klemanska) e il loro figlio Gherardino, un bimbetto molto ben valorizzato dallo spettacolo. Marco e la Ciesca erano il baritono Matteo Torcaso e il mezzosoprano Maria Krylova; nei panni di Betto e di uno spiritoso medico Spinelloccio i bassi Eugenio Di Lieto e Johnny Ronen Bombino, in quelli del notaio il baritono Davide Bartolucci.

Ben corrisposto dall’Orchestra Sinfonica Rossini, il direttore Marco Guidarini ha saputo valorizzare la raffinatezza della scrittura pucciniana, imprimendo un andamento sempre fluido alla musica. Una di quelle rare occasioni destinate a imprimersi nella memoria, per come gli aspetti musicali e la realizzazione scenica funzionano in perfetta sinergia. Con il valore aggiunto di essere al servizio di un capolavoro.

Giulia Vannoni