Dalla criminalità al bene comune

    L’eco della mafia del nord raggiunge anche Rimini. In maniera defilata, silenziosa ma pur sempre attiva, le infiltrazioni mafiose agiscono proprio lì dove girano i soldi. Specchio della “lunga mano” criminale è la mole di “sequestrato” su di un territorio. Cinque sono i beni sottratti e confiscati alla mafia in provincia: 2 di tipo immobiliare e 3 aziende. Ma quelli per cui è scattato il sequestro sono molti di più e ancora nella fase di accertamento come i supermercati rilevati nella zona di Miramare. Insomma, Rimini sembrerebbe un luogo dove risulta comodo lavare i “soldi” sporchi.
    Questo è quanto venuto fuori durante l’incontro dedicato alla “Legalità sociale” nel quale pubblica amministrazione, università e terzo settore si sono confrontati su come convertire beni e mezzi illegali in opportunità di sviluppo civico ed educativo tramite il loro riutilizzo a fini socialmente utili. Il progetto nasce seguendo due forti motivazioni: combattere la criminalità organizzata e dare un senso e un orienatamento sociale ai beni confiscati.

    La Legge 109
    Ben oliata e collaudata è la Legge 109 del 1996 relativa all’utilizzo sociale dei beni confiscati alle criminalità organizzate. La presenza più massiccia, di beni rispendibili, è nel sud Italia: in Sicilia, Campania, Calabria. Ma fette consistenti cominciano a vedersi pure nel settentrione. Qui, le mafie nel tempo hanno messo radici e diversificato gli investimenti.
    Secondo l’ANBSC (l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata) al primo novembre 2010 in Emilia Romagna sono stati confiscati 79 beni, tra cui 55 immobili e 24 aziende.
    “Rimini si vuole impegnare nella lotta alla criminalità organizzata”. A dirlo è il presidente della Provincia Stefano Vitali, intervenuto all’incontro, che punta su una cultura della responsabilità personale: “Ognuno di noi è il più grande deterrente contro la mafia. Ogni cittadino deve fare il suo e denunciare ogni qualvolta si sente sopraffatto. I riminesi per fortuna denunciano, anche quando gli viene rubata una bicicletta… vuol dire che non si fanno intimidire, che non sottostanno alla cultura della paura, tipica delle organizzazioni mafiose”.
    A detta del presidente, questo spirito di denuncia farebbe sì che il concetto di omertà e paura, sul quale in parte si fondano le criminalità organizzate, non attecchiscano su territori come questo. Dalla loro, Provincia e Comune hanno già mosso i primi passi con la campagna “Corrotti” presso il banchetto organizzato dal Comitato Antimafia Riminese, oltre al sostegno offerto dalla Giunta provinciale all’appello di Don Ciotti e dall’associazione Libera contro la vendita dei beni immobili confiscati.

    Il tavolo
    Il prossimo passo sarà quello di aprire un tavolo territoriale per discutere di queste tematiche. Alla conferenza non è mancato l’intervento di Andrea Canevaro, docente di Pedagogia speciale nella sede riminese dell’Università di Bologna, che ha focalizzato ancora meglio la situazione del nostro territorio. Infatti Rimini, pur non essendo covo di organizzazioni, potrebbe diventare quello in cui gestire un’economia, come l’ha definita Canevaro, “della corruzione”. Il professore aggiunge: “Attenzione all’economia della corruzione, costituita da quei micro comportamenti di cui noi stessi facciamo parte come il lavorare in nero, il non rilasciare ricevute, fatture, ecc. Insomma tutti quegli attegiamenti in grado di sfaldare il sistema”.
    Fa da contraltare all’economia “sporca” l’indignazione. Ecco la fatidica domanda: chi è ancora in grado di indignarsi?
    “Ogni qualvolta che ci indigniamo, in famiglia o con gli amici, la nostra indignazione non dovrebbe morire lì, ma dovremmo metterla in un deposito per un progetto più grande, far sì che le indignazioni facciano massa e diventino forza”.

    I sequestri
    I dati di Rimini, per ora, parlano di 5 beni di cui gli immobili di Cattolica già destinati a fini istituzionali, come la Finanza, mentre per le aziende si è ancora in fase di destinazione. Altri, però, mancano all’appello, in quanto devono ancora essere catalogati e destinati: “Ci sono stati una serie di sequestri, ma non è detto che andranno in confisca, le cose da accertare sono tante”, sottolinea Christian Ciavatta segretario dell’associazione VedoSentoParlo di Rimini. Lui, assieme ad altri 10 volontari, da oltre due anni studia, analizza e ricerca tutto ciò che riguarda le infiltrazioni mafiose nel territorio, non perdendo mai di vista la situazione nazionale. Ciavatta non ha dubbi: “Ormai i grandi traffici criminali sono di natura fiscale ed è proprio in questo campo che sono iniziate le infiltrazioni”.
    L’associazione, nel suo lavoro di ricerca si è anche imbattuta in varie notizie – datate – legate al riciclaggio di denaro che coinvolge San Marino, leggendo come sintomi i commissariamenti delle banche e notizie affini. “È inutile, da noi la mafia opera in maniera diversa dal sud ed è questo che dobbiamo capire e analizzare”. A sostenere il grande impegno dell’associazione c’è anche Sabrina Zanetti, presidente Enaip Centro Zavatta di Rimini che ha puntualizzato l’importanza della conversione dei beni e mezzi illegali in opportunità di sviluppo civico ed educativo tramite il loro riutilizzo a fini socialmente utili: “Questo può essere il miglior modo di educare ed educarci alla legalità, un’educazione concreta e fattiva”.
    A conclusione del convegno, Andrea Canevaro ha definito due impegni da organizzare nell’immediato futuro: “Un’indagine a partire da noi educatori per capire quanto il lavoro nero sia diventato un fatto banale, considerato inevitabile e sottratto alla percezione della sua illegalità. Inoltre l’esame della possibilità di mettere le nostre energie ed esperienze al servizio delle amministrazioni locali nella gestione ottimale dei beni sottratti all’illegalità e alla corruzione”.

    Il dato
    Lasciano perplessi i dati di Power Syndicate e Enterprise Syndicate che in criminologia identificano la capacità delle mafie di esercitare un controllo capillare e la capacità di realizzare profitti da attività illegali. Seguendo questi due termini la provincia di Rimini si attesta su un alto Enterprise Syndicate: come Rimini solo le provincie di Roma, Macerata, Pescara, La Spezia, Brescia e Taranto. Non solo. Secondo l’attività della Dia (Direzione investigativa antimafia) proprio da noi le cosche crotonesi mantengono il controllo di bische clandestine, estorsioni, usura e traffico di stupefacenti. Non è un caso che proprio in Emilia Romagna la ’Ndrangheta sia una delle congregazioni mafiose più attive.

    Marzia Caserio