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Dal pianoforte al pianoforte

I Sollisti Aquilani e al centro il violinista Giuliano Carmignola - Ph Riccardo Gallini

È definitivamente calato il sipario sulla settantacinquesima Sagra Musicale Malatestiana nel segno della tastiera 

RIMINI, 15 dicembre 2024 – Nell’ultimo periodo di programmazione i concerti della Sagra Malatestiana si sono notevolmente diradati per lasciar spazio soprattutto a incontri e conferenze. A collegare, però, quest’ultima tranche musicale è stato il pianoforte, che ha scandito l’appuntamento iniziale del 2 ottobre e quello conclusivo del 15 dicembre.
Sicuramente fra le serate più attese dell’intero cartellone rientrava il recital di Beatrice Rana, pianista oggi sulla cresta dell’onda e acclamata – fatto abbastanza insolito per una strumentista italiana – anche fuori dei nostri confini. La trentunenne musicista pugliese è tornata sul palcoscenico del Galli (lo scorso anno si era esibita insieme a Pappano) con un programma che abbracciava un ampio arco temporale, da Mendelssohn a Ravel passando per Brahms. Di questa giovane artista colpisce innanzi tutto la notevole tenuta emotiva, evidente fin dalla postura e da un movimento delle braccia estremamente fluido, con cui ottiene il perfetto dominio della tastiera: mai un gesto superfluo.

Sagra Musicale Malatestiana, la pianista Beatrice Rana – Ph Riccardo Gallini

Nella prima parte della serata ha proposto una selezione dalle raccolte op. 62, 67 e 85 dei mendelssohniani Lieder ohne Worte dove ha potuto metter in evidenza tutta la sua solidità; in seguito ha affrontato la Sonata in fa diesis minore op.2, che Brahms appena ventenne aveva dedicato a Clara Schumann, imprimendo notevole calore all’esecuzione e senza scivolare mai nell’enfasi. Con Ravel, poi, ha dato sfoggio alle sue migliori qualità: prima nei tre poemi di Gaspard de la nuit e, ancor più, nella Valse: brano pianistico tutto sommato di raro ascolto – a differenza del suo omologo orchestrale – di cui ha affrontato il virtuosismo con notevole piglio, mantenendo però un approccio sempre sobrio.

Un radicale cambiamento di prospettiva si è avuto invece nel concerto pomeridiano del 6 ottobre, concepito con intenzioni didattiche (le esecuzioni sono state introdotte dalle parole di Fabio Sartorelli): omaggio della Sagra Malatestiana a Puccini nel centenario dalla morte. Protagonista l’Orchestra dell’Accademia della Scala che, con la direzione di Vincenzo Milletarì, ha accompagnato quattro allievi che si stanno perfezionando in canto lirico alla scuola scaligera: i soprani Greta Doveri e María Martín Campos, il tenore Haiyang Guo e il baritono Wonjun Jo, tutti molto professionali anche se la Doveri è apparsa la voce più importante. Costruito come una vera e propria rappresentazione, lo spettacolo ha anche alternato brani strumentali (le danze dall’opera Le Villi, l’Intermezzo della Manon e il giovanile Capriccio sinfonico), che hanno permesso di ammirare lo straordinario talento di Puccini come orchestratore. Ricca ovviamente la selezione di pagine vocali: le più famose appartenenti alla Bohème (da Che gelida manina e Mi chiamano Mimì al quartetto Rodolfo-Mimì-Marcello-Musetta del terzo atto), senza dimenticare l’aria di Frank Questo amor, vergogna mia dall’Edgar o la struggente Senza mamma, bimbo da Suor Angelica, nonché le celeberrime E lucevan le stelle da Tosca e O mio babbino caro da Gianni Schicchi. Una cavalcata attraverso la musica del compositore lucchese che ha letteralmente conquistato il pubblico.

Voltando pagina in modo ancor più radicale, il concerto di sabato 19 ottobre proponeva un’incursione nel nostro tempo, contaminando live, dj set, poesia sonora, sound art. An die Unerkannte (Alla sconosciuta), suggestiva performance vocale di NicoNote, ha alternato con notevole eclettismo suoni, lettura e canto con l’accompagnamento dell’elettronica. Passare dai Nirvana e Tuxedomoon al Dichterliebe di Schumann, o al Tristano di Wagner e alle incantevoli atmosfere schubertiane, sulla carta potrebbe apparire spiazzante. Se però a intrecciare queste musiche sono le parole di Goethe, o quelle di Novalis sul fiore azzurro dell’Ofterdingen, prende forma un percorso che interseca i sentieri romantici secondo traiettorie inedite. Si ricompongono così, nella mente di chi ascolta, molte immagini visive e sonore, grazie al cortocircuito fra epoche diverse: diventano allora percepibili sia le aspirazione a quell’assoluto – che in età romantica ha assunto le sfumature dell’utopia – sia la sua totale disgregazione, che ormai contraddistingue l’oggi. Uno spettacolo, quello dell’artista riminese, colto e nello stesso tempo pop: piacevole e in grado di offrire emozioni che ciascuno, poi, rielaborerà secondo le proprie esperienze culturali.

È stato invece un concerto nel senso tradizionale del termine quello del 13 dicembre con I Solisti Aquilani, un insieme orchestrale abituato a frequentare il repertorio del sei e settecento. Per Rimini hanno scelto un programma all’insegna della dinastia Bach. In veste di ospiti sono stati coinvolti il violinista Giuliano Carmignola e Mario Brunello, che ha insolitamente suonato un ‘violoncello piccolo’: ossia uno strumento dalle dimensioni ridotte, che sostituì il ruolo della ‘viola tenore’ quando questa era ormai caduta in disuso. La serata si è aperta con il solo ensemble orchestrale, impegnato nell’Ouverture in sol maggiore n.2 di Johann Bernhard, che non è uno dei tanti figli del sommo Johann Sebastian, ma un cugino di secondo grado (neppure è sicuro che i due si conoscessero). Si è passati poi a Carl Philipp Emanuel e al suo Concerto in la maggiore per violoncello piccolo, archi e basso continuo Wq 172 caratterizzato da uno splendido secondo movimento, di cui Brunello ha saputo esaltare le suadenti sonorità. È poi entrato in scena Carmignola per il Concerto in re minore per violino, violoncello piccolo archi e basso continuo BWV 1043, questo sì – finalmente – del Bach maggiore. I due solisti, ancora insieme, hanno poi eseguito il Concerto in re minore per due clavicembali, archi e basso continuo BWV 1060 (ovviamente proposto nella versione per violino e violoncello piccolo), caratterizzato da un vorticoso terzo movimento che, oltre a mettere in risalto la bravura di entrambi, ha pienamente valorizzato anche l’ensemble strumentale. Completava il programma un altro concerto di Carl Philipp Emanuel, questa volta con il violino protagonista, che ha visto impegnato Carmignola e il suo strumento dal magnifico suono: presumibilmente un Pietro Guarneri.

Il sipario di questa settantacinquesima edizione della Sagra è infine calato sul concerto del giovane Giacomo Menegardi, vincitore lo scorso anno del Premio Venezia. Il ventiquattrenne pianista bellunese, già al centro di una significativa carriera internazionale, ha impaginato un programma assai piacevole. Dopo aver messo in evidenza un tocco fluido e brillante in Estampes di Debussy, autore che gli è particolarmente congeniale, ha continuato con il secondo (in la minore) degli Etudes-Tableaux op.39 di Rachmaninov. È poi passato ad Après une lecture de Dante: Fantasia quasi Sonata, celebre pagina ispirata alla Divina Commedia, che Liszt tanto amava. Durante l’esecuzione Menegardi non si è limitato a curare solo gli aspetti tecnici, ma con la sua lettura è riuscito a delineare atmosfere meditative, sempre più difficili da ascoltare nelle attuali esecuzioni lisztiane. Una scelta stilistica, dunque, che fa ben sperare in questa nuova generazione di pianisti italiani: solidi sì, ma forse liberati da eccessive preoccupazioni dimostrative del loro talento virtuosistico. La conferma è venuta nella seconda parte del concerto, con Musorgskij e gli splendidi Quadri di un’esposizione, di cui Menegardi ha valorizzato le suggestioni tematiche, senza perderle mai di vista, e guidando l’ascoltatore fin dentro la più intima struttura della costruzione musicale. Notevole l’entusiasmo fra il pubblico da cui il pianista ha preso commiato con tre generosi bis.

Giulia  Vannoni