Il cyberbullismo non è più un fenomeno emergente, ma una realtà affermata e pervasiva che ha ridefinito i mezzi e i confini della violenza giovanile. Laddove il bullismo tradizionale terminava con il suono della campanella, l’aggressione digitale prosegue costantemente, trasformando lo smartphone e i social media da strumenti di connessione in vere e proprie armi. Questo tipo di abuso, che si manifesta attraverso la diffusione di contenuti offensivi, l’esclusione mirata o l’assunzione di identità false, non lascia scampo alla vittima, invadendo lo spazio personale e minando profondamente l’autostima. La semplicità di diffusione e l’anonimato amplificano la portata del danno psicologico, rendendo il cyberbullismo una vera e propria epidemia moderna che richiede risposte immediate e un impegno collettivo per la sicurezza e il benessere online.
Un adolescente su tre vittima, +40% di denunce in cinque anni
L’hate speech (i discorsi d’odio) e i deepfake (tecnologia di modifica e falsificazione di video e immagini) riscrivono le regole della violenza. La violenza non è più circoscritta alle strade o alle aule; oggi ha trovato una nuova, vastissima arena. Chat, social network e piattaforme informatiche sono diventati il teatro di un’emergenza che, lungi dall’essere un fenomeno passeggero, sta crescendo in modo esponenziale. I dati raccolti dall’Università Niccolò Cusano nella sua ultima infografica offrono una fotografia aggiornata e allarmante, rivelando che l’odio online non è un “semplice modo di scherzare”, ma un problema sociale e culturale con conseguenze devastanti nella vita reale e nell’ambito relazionale. Il dato più inquietante è l’aumento delle vittime tra i giovani: oggi quasi un ragazzo su tre (29% nel 2023) dichiara di essere stato vittima di cyberbullismo, un incremento massiccio rispetto al 18% registrato nel 2019. La pandemia, che ha digitalizzato forzatamente la socialità, ha accelerato il trend, portando a un incremento del 40% delle segnalazioni alle linee di aiuto come Telefono Azzurro negli ultimi cinque anni. Secondo l’Istat, quasi sette ragazzi su dieci tra gli 11 e i 19 anni hanno vissuto almeno un episodio di violenza online, e uno su cinque lo subisce in modo continuativo. Il cyberbullismo, fatto di insulti, minacce ed esclusione, è il reato digitale più diffuso: i giovani e gli adolescenti rappresentano la fascia d’età più colpita, tuttavia la rete non risparmia gli adulti.
Violenza organizzata
L’estate 2025 ha evidenziato una nuova e inquietante deriva: la violenza digitale organizzata e collettiva. Il caso del gruppo Facebook “Mia Moglie”, smantellato ad agosto, ha rivelato di oltre 30.000 iscritti che condividevano foto intime di donne senza consenso, accompagnate da commenti sessisti e degradanti. Un fenomeno che normalizza la violenza genere su scala comunitaria. conseguenze sulla salute mentale e sociale sono drammatiche: quasi la metà delle vittime sviluppa ansia o depressione, un ragazzo su quattro valuta l’abbandono scolastico o delle attività ricreative, oltre il 12% manifesta comportamenti autolesionistici. Sempre più diffusi, inoltre, i casi di cyberbullismo collegato al revenge porn: l’utilizzo di materiale intimo e commenti denigratori rendono il terreno fertile per lo sviluppo di un’angosciante gogna digitale, trasformando l’ambiente virtuale in uno strumento di persecuzione implacabile.
Televisione e testimonianze
Anche il mondo dell’intrattenimento si è interessato al tema. Numero sconosciuto – Uno scandalo di cyberbullismo, docufilm Netflix tratto da una storia vera che narra di uno stalker che ha perseguitato con commenti osceni e istigazioni al suicidio due ragazzini, ha turbato spettatori di tutto il mondo, rivelando una sfaccettatura insolita e particolarmente disturbante del fenomeno. In questo caso, non è solo un monito sui pericoli del cyberbullismo, ma un’analisi acuta di come e quanto i mezzi digitali possano permettere l’esercitazione di un controllo vincolante mascherato da anonimato, portando alla distruzione completa della fiducia e all’erosione di se stessi anche all’interno di un ambiente che dovrebbe essere confortante e rassicurante: la comunità e la famiglia.
Queste opere cinematografiche ispirate a storie vere, ci aiutano ad immergerci nelle testimonianze di chi si è trovato a combattere contro questo mostro inafferrabile. “ La violenza che subivo non era fisica, sulla mia pelle non è mai apparso un livido, un graffio, ma dentro di me mi sentivo lacerata come se ad ogni notifica mi sentissi corrosa all’interno.
– racconta Carlotta (nome di fantasia), 20 anni riminese – L’incubo non finiva mai, non c’era momento della giornata in cui non potessero raggiungermi, io mi sentivo impotente, inutile e impossibilitata a fuggire. Non c‘era luogo in cui le minacce e gli insulti non potessero colpire, le notifiche mi assillavano in qualsiasi luogo, anche in quelli dove mi sarei dovuta sentire protetta. Inizialmente ho provato solo una forte e insopportabile vergogna, poi gli insulti e le prese in giro sono cresciute sempre di più e sono arrivata a desiderare di scomparire. Il mondo del digitale non ha confini e nemmeno cancelli, è sempre presente, non c’era modo di far scomparire o fermare gli insulti. Volevo smettere di combattere contro un nemico così spietato, che non riuscivo nemmeno a vedere, ma che era in grado di farmi sentire la sua presenza soffocante ovunque”.
Repressione e assistenza non bastano. La vera sfida è culturale e formativa: la violenza digitale affonda le radici in un contesto sociale che minimizza gli abusi e normalizza l’odio. L’obiettivo è creare figure capaci di empatizzare, prevenire e intervenire in un mondo dove la distinzione tra reale e virtuale è sempre più labile.
Alice Radavelli

