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Curiosità e libertà nell’era dell’infocrazia

Portico del Vasaio. Tra fake news e bolle informative, è possibile vivere l’avventura della conoscenza? Rispondono Giuseppe Riva e Giovanni Scifoni

Cresciuti in intima, raccolta quiete, siamo gettati a un tratto nel mondo; battuti da onde innumerevoli. Tutto ci invoglia, qualcosa ci piace, qualcosa ci irrita, e di ora in ora ondeggia il nostro animo eccitabile. Siamo commossi, ma le nostre emozioni sono travolte dal variopinto brulichio del mondo”. Sono i versi di una poesia di Johann Wolfgang von Goethe a dare il la al dialogo ‘ Tra fake news e falsità. Conoscere ed essere uomini nell’era dell’infocrazia’. Promosso dal centro culturale ‘ Il Portico del Vasaio si è svolto il 16 maggio al teatro Tarkovskij di Rimini.

Protagonisti, il docente di Psicologia della comunicazione Giuseppe Riva, autore del libro Fake news. Vivere e sopravvivere in un mondo post-verità, e l’attore, regista e scrittore Giovanni scifoni, aurore del libro Senza offendere nessuno. Chi non si schiera è perduto, moderati da Matteo Lessi, presidente del centro culturale.

Parole scritte in un tempo lontano, quelle del poeta (e tanto altro) tedesco, ma che descrivono un disagio attuale. “Come si fa a non essere abbattuti, ammaliati, irritati di fronte alle innumerevoli onde che sono gli accadimenti? Ad essere veramente uomini, non in balia dei fatti e della mentalità comune, ma con un compito e una responsabilità? Questo è il primo di una serie di incontri che abbiamo chiamato ‘Decifrare il mondo’”, ha spiegato Lessi ( foto a lato, in basso). “In particolare per questo primo incontro – ha proseguito – siamo partiti da quello che il filosofo di origini sud coreane che vive in Germania Byung-chul Han ha definito in uno dei suoi ultimi libri «infocrazia »”.

Ma cos’è l’infocrazia?

“Lo stordimento dato dal continuo flusso comunicativo in cui siamo immersi, la frequente impotenza a capire dove sta la verità delle cose (cosa è vero? cosa è falso?), incapacità di discussione nonostante la tanta libertà e le possibilità di cui disponiamo. Credo sia un’esperienza comune quella di avere qualche amico e di dire: no, con lui di questo argomento non ci parlo perché sennò finiamo a litigare”. Da questo derivano fenomeni come fake news, complottismo, bolle informative, per esempio. Vivendo in un mondo così, cosa rilancia nell’avventura della conoscenza? che, per fare un esempio, l’uso del cellulare ci ha dato tanto, ma cosa ci ha tolto? Gli studi che ho fatto hanno dimostrato che la tecnologia ci ha tolto la dimensione di comunicazione corporea. Come noi, per esempio, che siamo questa sera in una sala a guardarci negli occhi a stabilire una comunicazione che passa attraverso la mia voce. Questo è diverso che mandarsi un messaggio, fosse anche un vocale, su Whatsapp. Il mondo della tecnologia ha cambiato il modo con cui entriamo in comunicazione con gli altri”.

Perché?

“La socialità costa. Essere qui stasera, per esempio, ha comportato per ognuno lo sforzo di uscire di casa. Questo però cambia tutto. Un messaggio ricevuto attraverso lo schermo di un monitor non è come sentirlo dalla persona che abbiamo davanti. Attraverso il corpo riesco a creare delle relazioni che sono empatiche, attraverso gli schermi no. Questa dinamica ci ha portato a concentraci sempre più su noi e sempre meno sull’altro. Le fake news nascono da questo. Dal fatto che se io guardo in faccia uno che mi vuole mentire lo capisco subito (a meno che non sia molto bravo, un attore). Con la tecnologia l’altro non c’è più. Cambia l’esperienza”.

Ma come l’uomo resta a galla in un mondo così complesso?

“Nella società della ipercomunicazione, l’infocrazia, un mondo in cui l’informazione è tutto, il dibattito è l’elemento principale di qualunque dinamica televisiva o social, la persona comune come vive il proprio prendere parte al dibattito? Con un’angoscia incredibile”, risponde Scifoni ( foto a lato, in alto). “Non esiste nessun argomento che non sia fonte di enorme ansia, l’ansia di dover prendere parte. Nel libro, invece, racconto la storia di questo personaggio che invece non vuole prendere parte. E il libro è una serie di fallimenti, perché lui cerca di non offendere nessuno ed è impossibile. Siamo tutti estremamente suscettibili, siamo feriti, si scatena una gara a chi è più bravo a lamentarsi, per cui non offendere è impossibile. Quindi quello che cerco di insegnare ai miei figli è vincere la paura di rimanere soli. Questo è un po’ alla base di tutto. Prendiamo parte e ci schieriamo perché in questo troviamo una squadra di cui far parte. E questo ci limita nel nostro esprimerci liberamente, si ha paura di generare preconcetti, essere etichettati. Comunicare, per me, oggi è liberarsi dalla mania del controllo”.

Stiamo perdendo la curiosità?

“La curiosità umana nasce dalla nostra consapevolezza di essere imperfetti, dal voler ottenere qualcosa che non c’è. Ma c’è anche una curiosità intuitiva, che nasce nell’incontro. La nostra razionalità definisce delle etichette, di fare previsioni per evitare possibili problemi. Eppure quando vado con le mie etichette mi accorgo che l’altro è diverso da come me lo aspettavo: questo genera una curiosità diversa. Voglio conoscere l’altro, voglio capire perché è diverso da come me lo aspettavo. Questa curiosità nasce dal desiderio di andare avanti, di avvicinarsi.

Ma la socialità che ci propongono i social nasce dal confronto, dalla comparazione dall’etichetta e non dalla curiosità innata, che viene solo dal contatto. La curiosità razionale però rimanda all’imperfezione, al riconoscersi imperfetti. I social media danno la consapevolezza che c’è chi è più ricco, chi è più bello, chi è più intelligente, in una dinamica che finisce per castrare, nasce la voglia di ritirarsi, di uscire da questo mondo dove non sono particolarmente valorizzato.

Questo oggi è uno dei grandi problemi dei giovani”, risponde Riva.

Ma il problema sta solo nei nuovi strumenti di comunicazione?

“Gli psicologi parlano di impotenza appresa. Noi siamo liberi di scegliere e di dire no. Però questa infocrazia ci fa pensare che non riusciremo mai a farlo veramente, che dire quello che si pensa su un fatto in controtendenza rispetto a quello che dicono i più alla fine non cambierà le cose. In fondo pensiamo che se vogliamo uscire dal coro qualcuno ce lo farà pagare. Anche se non è vero”, risponde Riva.

Quanto influisce quello che gli altri si aspettano che noi siamo?

La risposta di Scifoni non lascia dubbi. “Ci precede in modo devastante. Una volta, su un set, il giorno prima che io arrivassi, il delegato della rete aveva detto a tutti: domani arriva Scifoni, lui è molto cattolico, non permettetevi di bestemmiare. Capirai, sul set la bestemmia è sacra. Questo fatto l’ho scoperto dopo chiacchierando con un macchinista con cui ero entrato in confidenza (al quale ho detto che, se voleva, poteva anche bestemmiare).

Rompere questo meccanismo è molto difficile, ma è vitale. Lo dice anche il Vangelo, quando Gesù incontra la prostituta, o quando va a pranzo con il pubblicano. Bisogna rompere con quello che noi ci aspettiamo debba essere il pubblicano e con quello che noi ci aspettiamo debba essere la prostituta”.