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Quelli che “curano” e assistono pazienti

Ne percepiscono l’ansia, imparano a ‘curarli’ con uno sguardo. E debbono fronteggiare una situazione indita con pazienti soli e parenti. Rachele Nanni, Responsabile Programma di Psicologia AUSL della Romagna, racconta il lavoro degli psicologi all’ospedale Infermi e a Riccione.

Come operate attualmente?

“Il servizio di Supporto Psicologico istituito come Azienda Sanitaria si rivolge ad operatori impegnati nell’assistenza delle persone ammalate di Covid-19, sia ospedalieri sia territoriali, ai familiari delle persone ammalate e ai pazienti stessi in isolamento domiciliare. Per realizzare questo tipo di intervento è stata istituita prima di tutto una linea telefonica e mail per i contatti con chi ci chiede un aiuto. Molti interventi si realizzano attraverso contatti telefonici, anche per ridurre le occasioni di contatto e garantire le migliori condizioni di sicurezza per tutti. Nei confronti degli operatori sono previsti anche incontri diretti.

Gli psicologi aziendali hanno aderito con grande slancio a questa iniziativa, sono numerosi su tutto il territorio aziendale. Non operano tutti nel contesto ospedaliero ma molti lavorano nei servizi del territorio”.

Siete a servizio dei soli operatori sanitari o anche dei pazienti?

“In queste due settimane di attività ci hanno contattato diversi operatori sanitari ma più numerosi sono stati i famigliari di persone ammalate e comuni cittadini molto in ansia per il rischio di contagio o in grande difficoltà a vivere le misure di isolamento domestico. Più rari solo state le persone ammalate ed erano tutte in isolamento domiciliare”.

Come aiutate medici e infermieri in prima linea? Molti di loro ci confidano di piangere durante il lavoro.

“Gli operatori sanitari vivono un momento di grande stress che si sta prolungando nei giorni e nelle settimane. Una situazione fatta di profondi e repentini cambiamenti nelle loro abitudini di lavoro e di condizioni organizzative, fatta di un innalzamento del rischio personale di contagio e di poter, a loro volta, diventare agenti di contagio per altri pazienti o per i propri congiunti. C’è una grande componente di paura, di affaticamento, quasi di stordimento per ciò che stanno vivendo. Un aspetto fondamentale del sostegno è aiutarli a normalizzare i propri stati mentali. È fisiologico, in una situazione di emergenza, provare emozioni estreme ed altalenanti di paura, rabbia, attivazione, dedizione generosa, iper attivazione e poi magari abbattimento e demoralizzazione. Protraendosi purtroppo questa situazione è importante aiutare i professionisti a riservare un po’ di attenzione a se stessi. Avere cura dei propri ritmi di vita, dei propri bisogni primari come il sonno, la necessità di mantenersi in contatto con i propri cari, di condividere alcuni vissuti con i propri colleghi”.

E i pazienti? Come stare vicino a persone che per giorni non possono contare sulla vicinanza dei familiari?

“Se i pazienti Covid positivi sono a domicilio, in condizione di quarantena, possono fruire di colloqui, anche ripetuti, con il coinvolgimento dei familiari, per attivare tutte le risorse e permettere di guardare oltre al buio del presente.

Se invece il paziente è in regime di ricovero, più di frequente veniamo chiamati dai familiari, che chiedono un aiuto per affrontare ciò che non conoscono: è un’esperienza di grande impotenza, dal momento che il margine di azione del singolo, nei casi clinicamente più complicati, è minimo e la persona si sente soverchiata dal non poter agire in modo da percepirsi efficace. Ciascuno di noi desidera il contatto, la vicinanza dei propri cari, in particolari nei momenti di maggiore fragilità e vulnerabilità, accudire ed essere accudito da chi si ama. Questa malattia impone una separazione, vissuta come innaturale, proprio nei momenti di maggiore sofferenza. Qui si attiva il nostro intervento, con tecniche che consentano l’accettazione e la progressiva elaborazione di ciò che si sta vivendo”.

Ha affrontato situazioni più delicate?

“Senza poter scendere in dettaglio, la tenuta degli operatori vacilla maggiormente quando si interfacciano con quelle situazioni nelle quali il paziente formula richieste facilmente esaudibili, nella routine 

precedente l’emergenza Covid-19 (avere o trasmettere notizie ai propri cari a casa, o avere cura della barba a cadenza regolare). Cose normali in altri momenti dell’assistenza ospedaliera che diventano ora impossibili. Altra difficoltà è quella di fermarsi, durante il tempo lontano dai turni, senza volere o potere avere contatti ravvicinati con i propri cari, isolandosi in aree della propria casa, o senza poter rincasare per il timore di diffondere il contagio. C’è poi la sofferenza per gli operatori nel fare i conti con modalità inattese di gestione delle relazioni di cura, ad esempio dover comunicare il decesso di un proprio caro a famigliari che non hanno potuto essere presenti e accompagnare il proprio congiunto al fine vita”.

Come affrontare questo tempo?

“Nei momenti di sconforto può essere utile ricordare come in passato abbiamo affrontato le avversità della vita e come abbiamo gestito le nostre emozioni. Per ridurre l’ansia e trascorrere con maggiore facilità questo periodo è consigliabile mantenere una routine di vita abbastanza regolare, cercare attività per passare qualche momento di distensione e gradevolezza: leggere un libro, guardare un film, ascoltare musica,

cucinare, rispolverare giochi da tavolo… Nel caso in cui ci si sentisse sopraffatti dall’ansia può essere utile parlare con persone amiche e mantenersi in contatto con i propri cari. È importante mantenersi informati, certamente, ma non rendere questa emergenza l’unico oggetto delle nostre conversazioni e dei nostri ascolti televisivi o social”.

Ci sono segni positivi in questa emergenza?

“È difficile in questo momento parlare di aspetti positivi, di fronte al dolore di tanti nostri concittadini. Certamente però questa esperienza lascerà una traccia nelle nostre vite e dobbiamo trarne anche alcuni spunti di riflessione positiva. Primo fra tutti è un’occasione in cui siamo costretti a fare diversamente i conti con noi stessi. Ci accorgiamo di quanto, presi dal fare, dal correre, dal riempire le nostre vite diventi difficile e gravoso stare soli con noi stessi. Ma questo è anche un momento per ascoltarci, per curare le nostre relazioni più intime. È un tempo in cui anteporre l’ascolto all’azione. Certamente il futuro ci troverà diversi nel nostro relazionarci con noi stessi e con gli altri, forse più consapevoli, più attenti al valore delle cose importanti”.