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Cristiani non si nasce, si diventa

Ma è vero che portano la cresima alla 5a elementare con la Prima Comunione? Cos’è questa storia che i genitori devono fare catechismo? E dopo la cresima che si fa? C’è molto chiacchiericcio in giro e poca informazione. Per sapere qualcosa di più sulla sperimentazione circa l’itinerario di iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi avviata quest’anno dalla Diocesi di Rimini abbiamo intervistato don Tarcisio Giungi, Vicario per la Pastorale.
“La sperimentazione nasce anzitutto dal prendere coscienza che, come diceva molti secoli fa Tertulliano, “cristiani non si nasce, ma si diventa”. Questo a parole è compreso da tutti, ma si fatica a prendere atto che – se mai lo è stato – non è più il tempo in cui essere italiani equivaleva ad essere cristiani. La società è cambiata e quello che un tempo poteva andare bene oggi non va più bene. Si tratta quindi di un ripensamento dell’intera iniziazione cristiana, a partire dal Battesimo”.

Quali sono i punti principali in questa ipotesi di sperimentazione?
“Come in molte diocesi italiane che prima di noi hanno avviato una sperimentazione, e come gli stessi vescovi ci suggeriscono nelle tre note sull’iniziazione cristiana, ci sono alcuni punti fermi che sono desunti dal percorso dell’antico catecumenato, ovviamente adattati alla nostra situazione che è ben diversa da quella della Chiesa dei primi secoli: il primato dell’evangelizzazione, un vero e proprio itinerario di fede con tappe e riti liturgici, il coinvolgimento dell’intera comunità e soprattutto dei genitori, la celebrazione unitaria della Cresima e della prima Comunione, un cammino dopo la celebrazione dei sacramenti che aiuti a viverne la portata, un’attenzione ed un accompagnamento personale”.

Quale cammino di riflessione ha portato a queste scelte?
“Da diversi anni anche nella nostra diocesi si sta riflettendo sulla reale efficacia del percorso di iniziazione cristiana. Un problema di fondo è che si è sempre confuso un insieme di incontri di catechesi con il percorso che conduce ad essere cristiani. Già nel “documento di base” della catechesi in Italia, che risale al 1970, si parla di “catechismi per la vita cristiana”, per marcare la differenza rispetto al “catechismo della dottrina cristiana”, il cosiddetto catechismo di Pio X. In altri termini, ormai da oltre 40 anni si è convinti, almeno nei documenti, che la catechesi non può essere isolata, quasi che da sola possa portare il peso dell’iniziare alla vita di fede; al contrario, essa è uno dei momenti di un articolato percorso di iniziazione, fatto anche di liturgia, di vita ecclesiale, di impegno nella carità, che conduce alla vita secondo il Vangelo.
Se tutto questo è sullo sfondo, l’occasione immediata per iniziare un ripensamento globale sulla iniziazione cristiana è stata la quattro giorni dei preti a Loreto, nel novembre 2010, sul tema Famiglia e iniziazione cristiana.”

Si è parlato di celebrazione unitaria della Cresima e della prima Comunione: non c’è così il rischio di una svalutazione del sacramento della cresima?
“Non si può partire dal problema della celebrazione dei sacramenti, altrimenti si riduce l’iniziazione cristiana ad una sorta di ingegneria pastorale. La data e le modalità della celebrazione dei sacramenti sono solo un aspetto, anche se importante. Per quanto riguarda la Cresima, credo che purtroppo sia già abbastanza svalutata. Infatti essa è strettamente legata al Battesimo e, staccata come significato da esso, risulta povera. Nei secoli si è parlato via via di sacramento della maturità cristiana, che ci rende soldati di Cristo, che ci conferma negli impegni del Battesimo ecc. Ma si capisce benissimo che sono delle pezze. Al contrario, per valorizzare il secondo sacramento (perché così è) è necessario mostrarne lo stretto legame col Battesimo e con l’Eucaristia, che costituisce il culmine dell’iniziazione cristiana”.

Perché allora non amministrarlo subito con il Battesimo come fanno gli ortodossi?
“In effetti nelle Chiese orientali i tre sacramenti vengono amministrati insieme anche ai bambini. In occidente si è fatta una scelta diversa per valorizzare la presenza del vescovo. Nel caso dell’iniziazione cristiana degli adulti, che è “normale” anche se eccezionale, i tre sacramenti vengono amministrati dal vescovo nella veglia pasquale. Credo che anche la scelta fatta da noi di separare la Cresima dal Battesimo, a patto che ne venga sempre mostrato l’intimo legame, abbia una sua plausibilità, soprattutto per un motivo pastorale: questo ci dà infatti la possibilità di incontrare la quasi totalità dei bambini e delle loro famiglie”.

Che significato si da al termine sperimentale, se poi il cammino è reso ufficiale dalla Diocesi e praticamente ineludibile e gli strumenti sono proposti a tutti?
“Nel libretto “Immersi nel suo amore”, che presenta la prima parte delle scelte della nostra diocesi sull’iniziazione cristiana, si indicano alcuni punti che dovrebbero essere ormai acquisiti da tutti, al di là delle eventuali sperimentazioni. Si tratta di elementi abbastanza scontati anche se non sempre acquisiti nella pratica pastorale. La sperimentazione, invece, riguarda le parrocchie che hanno scelto di farla e, comunque, per il momento è più orientata a valorizzare la pastorale battesimale che il resto. Alcune parrocchie hanno scelto di avviare anche la sperimentazione del secondo livello con l’“anno del primo annuncio”, che corrisponde agli inizi della scuola elementare: solo queste, tra circa quattro anni, celebreranno insieme Cresima e Messa di prima Comunione. Si tratta quindi di una scelta ufficiale della nostra diocesi ma solo per quanto riguarda la sperimentazione; le altre parrocchie continuano come sempre, anche se – ripeto – i punti di “non ritorno” dovrebbero essere acquisiti da tutti”.

Questa sperimentazione è già stata avviata in altre Diocesi italiane. Quali sono i primi risultati?
“La situazione varia da diocesi a diocesi e anche dal modello di sperimentazione che si avviata. Certo, se non c’è il momento iniziale fondamentale, ossia l’anno dell’annuncio del Vangelo, è difficile che ci sia un vero e proprio cambiamento. Non si tratta, ripeto, di cambiare semplicemente alcune date e modalità, ma di pensare in un modo nuovo al “diventare cristiani”.”

Il nuovo progetto affida un ruolo molto importante alla famiglia, come è giusto che sia. Ma è noto che in difficoltà oggi è proprio la famiglia, che non aiuta i bambini nel loro percorso di crescita nella fede. Senza poi considerare che oggi molti bimbi vivono riferimenti parentali disparati. Quali le strade per ovviare a questi problemi?
“Non si può chiedere alla famiglia ciò che non può dare: ad esempio è difficile chiedere ai genitori di fare in modo sistematico la catechesi ai propri figli. Questo è il compito della comunità cristiana; la famiglia lo può fare proprio in quanto piccola Chiesa domestica. La cosa più importante – prima ancora del cammino di iniziazione dei bambini – è far comprendere e sperimentare ai genitori, qualunque situazione essi vivano, che il Vangelo è anche per loro. Non dobbiamo coinvolgere i genitori anzitutto perché ci aiutino nella trasmissione della fede ai bambini, ma proprio in quanto destinatari privilegiati del Vangelo. Se impostiamo il problema così, comprendiamo che tutti, a prescindere dalla loro situazione matrimoniale, hanno il diritto di ascoltare ed eventualmente accogliere la “Bella notizia” sulla loro vita”.

In alcune parrocchie si è manifestato un certo disagio, un’obiezione più pastorale che di contenuto. La difficoltà nasce dal fatto che non è molto ben chiarito il cammino che segue i sacramenti. Considerando le attuali difficoltà che tutti (e non solo le parrocchie) hanno nell’educazione dei preadolescenti non era il caso di fissare prima alcuni paletti certi anche sul dopo iniziazione?
“Non invento nulla se ricordo che paradossalmente per tanti la Cresima è il “sacramento dell’addio”, anziché del maggior inserimento nella comunità cristiana. Molto dipende dalle proposte che si fanno per il “dopo Cresima” e, ancor più, da ciò che si è fatto prima. In altri termini, i ragazzi lasciano la Chiesa o, di fatto, non ci sono mai entrati? Non credo che il problema venga accentuato dall’eventuale anticipo della celebrazione della Cresima e comunque non è giusto piegare strumentalmente un sacramento a finalità pastorali col rischio di stravolgerne il significato.
Invece bisogna vivere bene il tempo della preparazione alla vita cristiana (più ancora che al sacramento) e porre le condizioni perché la celebrazione non sia il momento dell’addio, ma dell’esercizio della stessa vita di fede. Nell’antico catecumenato, alla celebrazione dei sacramenti seguiva il momento della cosiddetta “mistagogia”, ossia della scoperta di quanto era stato celebrato e delle conseguenze per la vita. Credo sia questa la strada da percorrere, pensando a itinerari di fede veri e adatti ai preadolescenti per accompagnarli nella vita cristiana dopo la celebrazione dei sacramenti. Su questo stiamo lavorando con l’equipe che segue il progetto dell’iniziazione cristiana. Certamente da ciò che si riuscirà a proporre per questa età difficile dipenderà la riuscita di tutto il progetto. In alcune diocesi la meta finale del periodo della mistagogia è la “professione di fede”, al termine della terza media. Si tratta di una meta pedagogica, ma può essere significativa”.

In conclusione, dobbiamo essere pessimisti o ottimisti?
“Un cristiano non può mai essere pessimista, perché sa che il Signore guida la Chiesa e lo Spirito soffia sempre su essa. Credo che si debba essere insieme realisti ed ottimisti: ottimisti perché, appunto, a noi spetta fare la nostra parte, lasciando al Signore la sua, che è ben più ampia. Insieme però dobbiamo essere realisti e saper leggere la situazione attuale senza rimpianti per i tempi passati (erano poi davvero migliori di quello che stiamo vivendo?) e senza sconsiderate fughe in avanti, unendo la sapienza e la prudenza di chi fa tesoro della storia all’audacia del profeta che sa guardare il presente e leggere il futuro con gli stessi occhi di Dio”.

Giovanni Tonelli