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Con le scarpe sempre ai piedi

E’ la storia di un percorso cominciato all’insegna di un motto tanto caro a don Oreste: “Le cose belle prima si fanno poi si pensano”. Quanto basta per raccogliere entusiasmo e idee e allestire un gruppo di amici volenterosi nel tentativo non facile di raccontare col linguaggio teatrale il “don”. Ma ce l’hanno fatta e molto bene.
“Con le scarpe sempre ai piedi”, è stato presentato in anteprima per due volte in occasione del convegno su don Oreste e sempre col tutto esaurito al Teatro Novelli.
A cinque anni dalla sua morte, la Comunità Papa Giovanni XXIII ha scelto di rendere presente la sua vita e le sue opere anche attraverso uno spettacolo teatrale. Lo ha fatto mettendo insieme sul palco uno spicchio di umanità tanto cara al don: bambini, ospiti di strutture comunitarie, amici professionisti.
Lo ha fatto attraverso un racconto teatrale originale scritto e a più mani da Emanuela Frisoni e altri membri della Comunità in collaborazione con la drammaturga Costanza Savini. Lo ha fatto attraverso musiche create ad hoc da alcuni musicisti professionisti dell’ambito comunitario e altri amici, coordinati da Chiara Aldrovandi e Davide Bianchini. Un insieme di volti, storie e parole che si intrecciano per rendere viva la voce di don Oreste.
“Non mettete i santi nelle nicchie” capitava spesso di sentir dire al “Don”, ovvero “se ciò che ha vissuto quella persona ti ha colpito, anche tu lo puoi vivere, anche tu puoi rispondere al motivo per cui Dio ti ha creato”. “Lo spirito dello spettacolo – dice Emanuela Frisoni- è proprio quello di ripartire da dove don Benzi ci ha lasciati, non limitandoci, per quanto importante, a fare un’operazione di sola memoria storica, ma tentando di rendere attuale e propositivo il messaggio che il don ha testimoniato con la sua vita, consapevoli del fatto che la sua Comunità e chiunque sia stato accarezzato da lui, oggi sia chiamato a portare avanti la sua eredità”.
Lo testimonianza teatrale si presenta come un contenitore pieno di appunti vari, come varia e poliedrica è stata la sua vita, ma tutti legati da un filo invisibile: la tenerezza, lo sguardo benevolo sull’uomo, l’amore ai piccoli e a Dio.
Per 85 minuti la scena “corre” davanti agli occhi dello spettatore sempre attento, prima incuriosito, poi stupito, infine emozionato. L’abile regia di Pasquale D’Alessio alterna momenti di riflessione ad altri distesi e familiari, raccontando don Oreste senza mostrarlo, se non all’inizio e alla fine dello spettacolo. Il linguaggio è ricco di multimedialità. Bella la scenografia, come pure le coreografie. Bravi e simpatici gli attori, di ogni età, professionisti oppure alle prime armi.
Tanto impegno non si deve concludere con queste due recite, speriamo che lo spettacolo possa circolare a lungo. Lo merita. (GvT)