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Con l’azzardo c’è ben poco da… giocare

Con questo azzardo c’è ben poco da scherzare. Rimini e la Riviera romagnola non hanno più intenzione di stare a guardare un “gioco” che modifica al ribasso le esistenze, con il rischio di portarle pericolosamente fuoristrada. Il Centro Elisabetta Renzi di Riccione ospita così un percorso formativo/informativo composto da quattro incontri (il giovedì dalle 21 alle 23) e rivolto ad educatori, operatori di sportello, insegnanti e famiglie, dal titolo “Il gioco d’azzardo non è un gioco: mi metto in gioco”. Davide Melucci, educatore sociale e culturale, introduce il gioco d’azzardo come fenomeno sociologico allo scopo di sensibilizzare i cittadini, perché “il gioco d’azzardo non è un vizio – spiega – ma è una malattia e come tale, deve essere curato”.

Cosa si intende per gioco d’azzardo?
“Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali lo inserisce nella categoria delle new addiction: le dipendenze comportamentali, da distinguere dalla droga o dall’alcol che sono dipendenze da sostanze. Il gioco d’azzardo si identifica per la presenza di una posta in palio, per l’esito del gioco, che dipende esclusivamente dal caso, e perché non è reversibile: non si possono mai ritirare le giocate. Per questo non si deve confondere con la ludopatia, che pur essendo una dipendenza da videogiochi, non richiede alcuna scommessa”.

Come si possono identificare i giocatori? Che problemi derivano da questa dipendenza?
“I giocatori si distinguono in occasionali, abituali e patologici. I primi giocano solo in particolari occasioni, come la tombola di Natale. Gli abituali giocano un po’ più spesso ma hanno il pieno controllo del gioco e sono in grado di smettere quando vogliono. Il giocatore patologico smette di giocare solo quando ha finito i soldi, perché per lui vincere o perdere non è importante. L’importante è solo giocare. Da questa dipendenza derivano problemi come stress, fatica a dormire, problemi economici, problemi lavorativi e anche scolastici. Senza contare i problemi relazionali. È stimato infatti che per una persona affetta da disturbo del gioco d’azzardo, sono sette le persone sulle quali il giocatore influisce negativamente a livello morale”.

Ma come si diventa giocatori?
“Ci si avvicina al gioco per motivi differenti. Molte persone hanno una predisposizione biologica, altri invece vivono forti momenti di stress nella vita di tutti i giorni. Lo stress infatti viene combattuto dalla creazione di dopamina, un neuro-trasmettitore che ci fa sentire gratificati. Inoltre, le persone più colpite sembrano essere quelle che hanno un basso livello di istruzione logico-matematica. La dipendenza diventa un problema quando per fuggire dalla realtà si dedica più tempo al gioco che al lavoro e alla famiglia”.

Perché sta crescendo sempre di più l’attrattiva verso il gioco d’azzardo?
“Quando ci si trova davanti le Videolottery (anche chiamate VLT), le Slot Machine o un gratta e vinci, si percepisce una sorta di democrazia: ricchi e poveri sono uguali davanti al gioco. Inoltre un problema da non sottovalutare è che ai giorni nostri ci sono tanti elementi che socializzano al gioco. Le nuove tecnologie hanno favorito l’abitudine, come i giochi sul cellulare e al PC”.

Esiste un gioco più pericoloso di un altro?
“Potenzialmente ogni gioco può favorire dipendenza. Ma le VLT rappresentano un pericolo maggiore. Hanno partite molto veloci, non più lunghe di 4 secondi. Questa velocità favorisce una febbre continua del gioco, con piccole vincite ma frequenti che invogliano a continuare. Le VLT si trovano poi in luoghi bui e senza orologio, studiati appositamente per far perdere la cognizione del tempo”.

Come mai corriamo questo pericolo del gioco d’azzardo?
“In Italia non c’è una cultura del gioco, quindi le persone non sono preparate a trovarsi davanti ad un qualcosa che li fa diventare dipendenti. Questa mancanza di cultura abbassa la soglia di percezione del pericolo. Inoltre queste macchinette si vedono tutti i giorni e in ogni posto, rientrando quindi nella quotidianità. Il pericolo sussiste per tutti, senza differenza di estrazione sociale, sesso o stile di vita”.

Sara Ceccarelli
(1 – continua)