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Commercio e turismo: scatta l’allarme russo

Non bastavano i rincari di gas e luce, adesso ci si mette anche la guerra. E in molte imprese romagnole suona l’allarme rosso. La conferma arriva anche dall’indagine flash effettuata dal Centro Studi di Confindustria. Quello dei paesi coinvolti nel conflitto, infatti, è un mercato di riferimento per molte aziende del territorio.

Tanto per capirci. Nei primi nove mesi del 2021, secondo i numeri Istat elaborati dalle Camere di commercio, in provincia di Forlì-Cesena, le esportazioni verso Russia e Ucraina ammontavano a 76 milioni di euro, mentre le importazioni raggiungevano quota 12.6 milioni di euro.

Nello stesso periodo, ma in provincia di Rimini, le esportazioni toccavano quota 85.3 milioni di euro mentre le importazioni sfioravano i 2 milioni di euro, per la precisione 1.8 milioni.

In provincia di Ravenna, invece, le esportazioni verso Russia e Ucraina ammontavano a 79.3 milioni di euro mentre le importazioni erano assestate sui 336.4 milioni di euro, questo per l’attività dello scalo portuale.

Commercio e turismo: il confronto con il 2019

Ricordiamo che nell’ultimo anno di riferimento prima della pandemia, cioè il 2019, le esportazioni della provincia di Rimini verso Russia e Ucraina sommavano rispettivamente 113 e 24 milioni di euro, mentre le importazioni dai medesimi paesi raggiungevano 835.000 e 4 milioni di euro. Il saldo positivo, con entrambi i paesi, a favore di Rimini, è evidente.

In Russia, Rimini, esporta soprattutto articoli di abbigliamento (63 milioni di euro) e macchinari (15 milioni). Lo stesso ordine e gli stessi articoli per l’Ucraina: rispettivamente 12 milioni di euro i primi e 3 milioni i secondi.

Considerando che in quello stesso anno (2019) il totale esportato da Rimini superava i 2.5 miliardi di euro, è facile comprendere come la componente russa occupi una fetta di poco sopra il 4 per cento del totale, mentre quella ucraina non raggiunge l’1 per cento.

Questo vuol dire che la guerra sta infliggendo perdite economiche importanti, ma per fortuna colpisce un segmento di mercato relativamente limitato.

Per il turismo un colpo da ko

Poi, è vero, c’è la componente turistica di cui tenere conto. Da diversi anni, la presenza russa, con mezzo milione di turisti, era diventata, dopo la Germania, la seconda nella graduatoria dei pernottamenti esteri in Riviera. Sono, invece, meno di 100.000 le presenze turistiche ucraine. La sensazione è che entrambi i bacini turistici, per diversi anni, non ci saranno più. Ed è un’ulteriore perdita che si aggiunge alla pandemia, rendendo più urgente la ricerca di mercati sostitutivi.

‘Fellini’, che disastro!

La conferma arriva anche dalle parole di Leonardo Corbucci, amministratore delegato di Airiminum, la società che gestisce l’aeroporto ‘Federico Fellini’ di Rimini.

“Quest’anno erano stati attivati 10 voli a settimana dall’Ucraina e altri 40 dalla Russia per un totale di 300.000 passeggeri solo nel 2022. Questo significa che se non ci fosse stata la guerra avremmo portato a Rimini un numero di turisti russi mai visto”.

Insomma, il colpo è duro, quasi da ko.

“Per capire la gravità della situazione basta sapere che i nostri primi mercati sono Russia, Ucraina e Polonia”.

Nonostante questo, però, Corbucci prova ancora a pensare positivo.

Aziende, fatturato in picchiata Tornando a prendere in esame la ricerca della Camera di commercio, in questa situazione, quattro aziende su dieci, prevedono un calo di fatturato estero fino al 20% nei prossimi sei mesi. Il sistema produttivo del territorio si attende anche un ulteriore rincaro dei costi energetici e di trasporto.

“ Il primo pensiero è all’emergenza umanitaria, alle vittime e ai profughi di questa guerra disumana: va adottata ogni misura possibile contro il tentativo di calpestare libertà e sovranità dei popoli con la violenza. afferma il presidente Roberto Bozzi – Confindustria ha subito accolto la proposta della Cisl di attivare un fondo per sostenere in modo concreto la popolazione ucraina. Il sistema delle sanzioni sta generando difficoltà negli scambi e nei rapporti commerciali e l’escalation degli eventi degli ultimi giorni impatterà pesantemente su energia e logistica”.

Il 38.1% delle imprese interpellate prevede appunto un calo fino al 20% del fatturato da export nel medio termine. Alla domanda su quali conseguenze sono maggiormente temute per la propria attività, chi ha risposto ha indicato i rincari dei costi energetici (63.5%), i costi di trasporto (50.8%) e l’erosione dei margini di profitto (47.6%).

I rincari dei costi energetici, dei trasporti e l’erosione dei margini di profitto spaventano gli imprenditori

“Questi dati ci confermano che va radicalmente rivisto l’approccio alla politica energetica. – conclude il presidente Bozzi – Dobbiamo rilanciare quindi la necessità di arrivare a un forte aumento dell’estrazione delle riserve nazionali di gas naturale, di potenziare la quota strutturale di energia da rinnovabili riservata alle imprese, e di aumentare la quota di Gas Naturale Liquefatto liquido via mare, diversificandone al massimo i Paesi di provenienza”.