Home Vita della chiesa Come faceva Gesù con i bambini e gli apostoli

Come faceva Gesù con i bambini e gli apostoli

È il desiderio inconfessato di ogni donna. Essere salutata come “la mia signora”, madonna (mea domina). E Dio si rivela un gran “Signore” anche sotto questo aspetto, perché al termine del memoriale dell’Alleanza (Eucaristia) saluta la Chiesa-Sposa come fu salutata la donna più bella della storia, la benedetta tra tutte le donne, la sua sposa nello Spirito Santo: «Rallegrati! Il Signore è con te, tu sei benedetta…».

I Riti conclusivi iniziano infatti con il Saluto liturgico che Cristo pronuncia con le labbra del sacerdote (in Persona Christi, quindi con le braccia allargate): «Il Signore sia con voi», a cui l’assemblea risponde: «E con il tuo spirito» (OGMR 167; Catechesi, n. 58). Lo stesso saluto con cui si è aperta la Messa; qui però non si tratta più di annunciare solennemente la presenza del Signore tra il suo Popolo radunato (sarebbe inutile!), ma piuttosto “rallegrarsi” del fatto che il Signore lo ha rigenerato e rinnovato nel suo Sangue; l’ha riempito di Sé: l’ha Cristi-ficato.
Anche la Chiesa-Sposa può ora essere detta la “piena di grazia”, perché il Signore “l’ha benedetta” e continua a benedirla, cioè le dice-il-bene, le infonde tutto il bene che ella riesce a recepire. Al Saluto liturgico, segue quindi la Benedizione finale (OGMR 90.167).

Di cosa si tratta?
Benedire, anzitutto, è l’atto proprio di Dio, iniziato con la creazione e culminato nella resurrezione del Figlio, vincitore del male e della morte. E quando Dio dice-il-bene, lo fa mentre lo dice; la sua parola (dabar) è sempre una parola che fa, potente, energetica. Inoltre, quando benedice, non benedice “a spruzzo”, ma ferma lo sguardo sulla sua creatura, la guarda negli occhi, la chiama per nome, le sorride.

Nella benedizione liturgica, Dio consegna il suo dabar alla Chiesa e alle labbra del sacerdote che, imponendo le mani come faceva Gesù per benedire gli apostoli e i bambini (Lc 24,50; Mt 19,13), dice: «Vi benedica Dio onnipotente» (Colui a cui nulla è impossibile!) e, tracciando sul popolo il segno di croce (da cui scaturisce ogni grazia!), prosegue: «Padre e Figlio e Spirito Santo».
Un gesto e poche parole da far tremare però le ginocchia, perché con la benedizione il Nome di Dio, cioè Lui stesso (Padre, Figlio e Spirito Santo), viene impresso su ogni fedele, come indicò ad Aronne: «Così benedirete gli Israeliti: “Ti benedica il Signore e ti custodisca; il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia; il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò» (Nm 6,23-27); un Nome che risplenderà poi per sempre sui nostri volti: «Gli eletti vedranno la faccia del Signore e porteranno il suo nome sulla fronte» (Ap 22,4).

Cosa significa avere il nome di Dio? Avere lo stesso nome, è come avere lo stesso cognome: si è della stessa famiglia, dello stesso sangue e, quindi, si possiedono tutti i diritti (e doveri!) della discendenza. Quando perciò i fedeli lo ricevono su di loro nella Benedizione finale, avviene un po’ come a quel principe che, alla partenza per un lungo viaggio per conoscere lo sterminato regno del padre, riceve da lui il suo anello regale, affinché tutti lo riconoscano figlio del Re e lui possa esercitare il potere ricevuto dal Padre.
Davvero, allora, “pieni di grazia”!
La Benedizione finale fu introdotta piuttosto tardi nella Messa (XII sec.) e trae origine dalle benedizioni con cui il celebrante congedava i catecumeni al termine della Liturgia della Parola e dalla prassi di benedire il popolo prima che tornasse alle proprie case e al proprio lavoro (IV sec., Costituzioni Apostoliche).
In alcuni giorni particolari, a discrezione del celebrante, la Benedizione può essere arricchita con espressioni più solenni (Benedizione solenne) o prendere la forma di Preghiera di benedizione sul popolo (OGMR 90.167), come quelle più antiche e quella di Aronne sopra citata. Di queste ultime, il Messale ne conta ben 26!
Molte di più sono invece le formulazioni delle Benedizioni solenni (diverse per ogni Tempo liturgico, festa e celebrazioni dei sacramenti), a cui il popolo risponde in genere con tre Amen. In ogni caso, esse hanno la stessa efficacia della benedizione “semplice”.
Il vescovo benedice invece con una formula a lui propria (Sia benedetto il nome del Signore… Il nostro aiuto… Vi benedica…), tracciando sul popolo tre segni di croce, corrispondenti al nome di Dio (Padre, Figlio, Spirito Santo), i quali non devono considerarsi tre benedizioni (quindi più “potenti”!), ma per indicare una verità di fede cruciale: ogni benedizione proviene dal Padre, per mezzo del Figlio e nello Spirito Santo, in azione sinergica, come si professa nel Credo.

Concludo con due provocazioni: una per i fedeli e l’altra per i celebranti. La Benedizione solenne e la Preghiera di benedizione sul popolo sono precedute, in genere, dall’invito del diacono «Inchinatevi per la benedizione» (OGMR 185), che non vuol dire «Buttatevi in ginocchio!», …basta inchinare leggermente il capo.
A chi invece si ostina a benedire dicendo «Ci benedica…», anziché «Vi benedica…», dimentica la propria ministerialità.

Elisabetta Casadei
(bettycasadei@hotmail.com)