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Colomba di pace, l’Europa dice sì

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Le proposte di Operazione Colomba sono arrivate in Europa. E l’Europa è disponibile ad accogliere la proposta di pace dei profughi siriani ospitati nei campi del nord del Libano raccolta dal Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII.
“Sono fiero di voi e darò tutto l’appoggio possibile per inserire le vostre proposte sulla Siria nel progetto di pace che stiamo costruendo con il presidente Juncker: sosterrò la creazione di zone umanitarie in Siria e supporterò i corpi civili di pace”, ha detto Frans Timmermans, primo vicepresidente della Commissione europea, rivolgendosi ai riminesi Alberto Capannini, Mara Rossi e ad altri componenti della delegazione di Operazione Colomba che si sono recati a Bruxelles.
Operazione Colomba è il corpo di pace della Comunità che ha incominciato a spiegare “le ali” nel 1992, coinvolgendo fino ad oggi oltre mille persone tra volontari di lungo periodo (che danno uno o più anni di disponibilità a tempo pieno) e volontari di breve periodo, cioè persone che danno uno o più mesi di disponibilità.
Operazione Colomba, presente dal 2013 nell’area nord del Libano.
Alberto Capannini, lei è uno dei fondatori del Corpo Non Violento di Pace. Lunedì a Bruxelles avete incontrato il Primo Vicepresidente della Commissione Europea Frans Timmermans per consegnare la proposta di pace dei profughi Siriani in Libano. Da chi è stata pensata e desiderata questa proposta?
“La proposta di pace è nata dal fatto che abbiamo vissuto per tre anni e mezzo con i profughi, nei campi profughi al confine con la Siria. Fin dall’inizio per spiegare chi fossimo raccontavamo le presenze di Operazione Colomba in Colombia, Palestina, Albania, e le tante altre, ed in particolare raccontavamo che in Colombia esistono delle comunità di contadini che pur vivendo in mezzo alla guerra da 40 anni, hanno liberato le loro aree umanitarie e non danno appoggio a nessun gruppo armato. Questo toccava molto queste persone, le cui risposte erano principalmente due: la prima è che anche loro avrebbero voluto creare delle zone umanitarie, la seconda è che noi non potevamo difenderli perché essere un europeo in Colombia è uno strumento di difesa mentre essere un europeo in Siria significa rapimento, omicidio, e comunque un obiettivo da colpire.
Quindi, per rispondere alla domanda, il desiderio della proposta è nato dalla vita con queste persone, le quali chiedevano da subito di non essere profughi, perchè ci dicevano «Siamo persone come voi, vogliamo tornare nelle nostre case, a fare i nostri lavori e poter dire la nostra su quello che succede in Siria e dire la nostra significa che noi civili non vogliamo né uccidere né essere uccisi», è così che abbiamo scritto insieme questa proposta di pace”.

“Darò tutto l’appoggio possibile per inserire le vostre proposte sulla Siria nel progetto di pace che stiamo costruendo con il presidente Junker: sosterrò la creazione di zone umanitarie in Siria e supporterò i corpi civili di pace”. Una reazione importante e sbilanciata, quella del Vicepresidente europeo. Secondo lei cosa ha colpito Frans Timmermans?
“Il vicepresidente ad un certo punto mi ha raccontato che suo figlio di 12 anni gli chiede spesso che cosa stia facendo per la guerra in Siria, e lui non sa cosa rispondere, perché attualmente mancano proposte concrete. Ha sottolineato la concretezza della nostra proposta di pace, ed ha condiviso il desiderio che l’UE la faccia propria, in toto.
Io credo ci sia un vuoto di capacità politica in quanto proposte, e dove queste mancano, c’è la violenza. Penso che quello di ieri sia stato un incontro tra chi ha bisogno di proposte e chi ne ha molte e concrete.
Alla fine dell’incontro ci siamo detti due cose, la prima rispetto a chi presentare questa proposta: se non all’Europa, di certo non a Russia o Stati Uniti. La seconda: questo non è per noi un punto di arrivo, bensì un punto di partenza. Abbiamo chiesto al vicepresidente di definire un contatto presso il suo ufficio che segua e aiuti nell’attuazione della proposta di pace; che ci desse un’ulteriore possibilità di presentazione al Parlamento Europeo; che ci supporti nel cammino della proposta verso l’ONU a Ginevra. A tutte queste richieste il vicepresidente ha risposto positivamente: ora speriamo di vedere risvolti concreti”.

A Bruxelles la voce dei profughi Siriani, qualche giorno fa a Rimini la voce dei Rappresentanti della Comunità di Pace di San José de Apartadò in Colombia: si evince una scelta chiara di dare voce a chi vive sulla propria pelle il contesto e gli effetti del conflitto e della guerra. Ma non c’è il rischio che queste voci restino inascoltate? Come rafforzarne l’eco?
“Penso che il primo ad ascoltare queste voci devo essere io, il mio problema è sempre convincere me stesso non gli altri, quindi una volta convinta la mia durezza, il resto è in discesa: nessuno resiste ad una persona che crede in quello che fa. Certo c’è il rischio che io rimanga sordo a questa voce.
La seconda cosa è che si è cercato di far parlare queste persone tra loro. Al vicepresidente è stato presentato un video realizzato da due Rappresentanti della Comunità di Pace di San José de Apartado in Colombia, in cui spiegavano cos’è la Comunità di Pace e dove si dicevano pronti ad accompagnare e consigliare i Siriani in questo cammino. Un’altra cosa che è stata fatta quando abbiamo accompagnato in Italia i profughi Siriani, è stato farli incontrare con Hafez Huraini, il leader della lotta nonviolenta dei palestinesi delle Colline a Sud di Hebron, perché è importante che queste esperienze si conoscano, si parlino, si scambino, si uniscano. Mentre parlavano tra loro due io stavo lontano, pensavo: «Qui sta succedendo qualcosa che io non capisco, ma resto perché anche se non capisco sono curioso»”.

Il punto quindi non è come rafforzare l’eco, il rischio è il non ascolto.
“Se noi non ascoltiamo moriamo, loro invece vanno avanti. Se noi non ascoltiamo ci perdiamo qualcosa, peggio per noi più ancora che per loro, perché loro un significato nella vita ce l’hanno noi no”.
(a cura di p.g.)